Carceri: le istituzioni devono vergognarsi

di Vito Totire

Per “spiegare” la strage di Modena torniamo alla favola del lupo e dell’agnello?

Terribili notizie provengono da carcere di Modena e da decine di atre carceri italiane; notizie che parlano di 6 morti solo a Modena e di incriminazioni per resistenza e violenza privata;

che la situazione nelle carceri fosse al limite della esplosione era evidente a tutti tranne che ai decisi politici e a “Palazzo”;  dal 2003 commentiamo ogni sei mesi il rapporto semestrale Ausl sulle carceri di Bologna  e proponiamo questo metodo di lavoro in tutta Italia; abbiamo fatto denunce – alle Procura, ai NAS, ad altre istituzioni denunciando le condizioni di degrado, di rischio di abuso di mezzi di correzione; il secondo rapporto semestrale del 2019, richiesto alla Ausl di Bologna fin dall’inizio dell’anno non ci è ancora stato inviato;

ma la situazione di Bologna non è dissimile da quella di Modena o di tante altre carceri; la legge di riforma penitenziaria del 1975 mutuò una prassi che era in essere già nell’ottocento; il medico condotto, poi divenuto ufficiale sanitario, aveva il compito di vigilare le condizioni di rischio biologico/infettivo nelle carceri; l’interesse non era per la salute dei carcerati ma riguardava la consapevolezza che una comunità chiusa poteva essere il terreno favorevole all’attecchimento di malattie poi diffusibili alla comunità esterna dei “sani”;

purtroppo la impostazione – malcelata – dei rapporti semestrali si è attestata su questa lunghezza d’onda ;   ogni sei mesi commentando il rapporto Ausl abbiamo richiamato alla necessità di cambiare registro;

ma al peggio non c’è limite: ormai le istituzioni hanno fallito anche nel tentativo di “controllare” il rischio biologico/infettivo ;

peggiorando le condizioni di deprivazione affettiva e socio-sensoriale delle persone detenute si è aggravata la loro condizione di distress e di costrittività quasi a “volere” provocare una reazione e una rivolta ;

tutti gli studi di prossemica , di psicologia sociale e di psiconidinamica, dimtrano e confermano (orami da tanti decenni) che il sovraffollamento, il rumore, la carenza di sonno, i soprusi continui  esasperano il rischio di induzione di compoeamenti aggressivi;

DIRE CHE QUELLO CHE E’ SUCCESSO A MODENA, SALERNO, ECC. FOSSE PREVEDIBILE E’ PERSINO BANALE E SCONTATO?

Si risponderà anche a questi eventi in termini “repressivi”?

la medicina psicosomatica e la semplice intelligenza umana insegnano che la serenità d’animo non è un antidoto totale contro i virus ma una componente importante delle difese psichiche e immunitarie;

proponiamo di costituire un comitato per la verità e la giustizia per i fatti di Modena e delle carceri italiane;

che non succeda ancora di confondere l’azione del lupo con la reazione dell’agnello;

ben evidente che tutti auspichiamo reazioni e condotte non violente da parte delle persone detenute ma sarebbe ipocrita e infame vedere quel che è successo stando  in poltrona con mascherina FFP3 e mani a bagno nella amuchina;

abbiamo denunciato recentissimamente come nella ultima campagna elettorale in E-R il tema “carcere” sia stato rimosso da tutti , compreso i “coraggiosi” e i finti progressisti;

in Emilia e in Italia questa luttuosa pagina di Modena non potrà mai essere dimenticata , come quella dei morti operai del dopoguerra uccisi negli scontri con le “forze dell’ordine”.

Verità e giustizia per le persone private della libertà e della dignità.

Vito Totire, psichiatra, portavoce del coordinamento circolo “Chico” Mendes-Centro “Francesco Lorusso” via Polese 30 40122 Bologna

Nota:

Per farvi un’idea della situazione disastrosa alla Dozza prima dell’emergenza coronavirus:
Carcere di Bologna primo rapporto della Ausl per il 2019, di Vito Totire, 29/12/19.

 

alexik

2 commenti

  • Daniele Barbieri

    segnalo questo intervento di ORNELLA FAVERO
    Carceri e rivolte: il conto dei morti di rabbia, metadone, paura, overdose di farmaci
    di Ornella Favero (*)
    “L’infermeria è stata devastata, hanno aperto l’armadio cassaforte dove è custodito il metadone puro in bottiglioni… poi hanno preso farmaci di tutti i tipi… Ci sono volti e immagini che non dimentico, così come i due carri funebri che sono entrati tra le urla dei famigliari e poi usciti con due bare…”: è una volontaria a raccontarmi la rivolta in carcere a Modena, con il suo tragico bilancio, nove morti. Quella stessa rivolta la sento raccontare al TG2 da Matteo Salvini, e mi viene voglia di piangere. Come se parlasse di topi di fogna…
    Io non sono una volontaria “tenera” che giustifica tutto e mi fa rabbia pensare a tutta quella violenza, ma poi penso anche alle vite disperate di tanti tossicodipendenti, i tossicodipendenti sono circa il 25% dei detenuti, il dato è stabile negli ultimi 5 anni, dunque, all’incirca, 15.000 persone che stanno in galera, devastate dalla droga, spesso giovani, stranieri anche, lontani da casa. Conosco detenuti che non vedono la loro madre da otto, da dieci anni. Aggiungo che il 49 % dei farmaci prescritti in carcere sono psicofarmaci, quindi farmaci per non pensare, per dormire, per dimenticarsi della propria vita. Mi viene in mente il messaggio che ho ricevuto in questi giorni, dopo la chiusura di tutte le attività, da un detenuto della mia redazione, Luca, anche lui tossicodipendente: “Qui tutto si è fermato, nemmeno gli agenti sanno come si svolgeranno le giornate d’ora in poi, quindi sale dentro di me un senso di angoscia, ansia, depressione, tristezza e smarrimento perché siamo in balia di eventi su cui non abbiamo il minimo controllo e questo peggiora tutto”.
    E mi vengono in mente le Case circondariali, e quello che segnalano anche ora i volontari impegnati su quel “fronte”: la fatica del Servizio Tossicodipendenze che ha poco personale presente in istituto, che ha pochi strumenti anche per gli italiani, figurarsi per i detenuti stranieri, le poche ore di presenza degli psichiatri e degli psicologi, in situazioni in cui il disagio psichico è sempre più diffuso, il fatto che la gran parte dei detenuti cerca, per lo più inutilmente, il lavoro, che consentirebbe almeno di avere due soldi per le sigarette e per le telefonate, e che vedono raramente gli educatori, che dovrebbero essere decisamente di più e invece sono davvero un numero esiguo e pure loro hanno pochi strumenti se non inserirli nelle rare attività formative disponibili. E non mi dimentico che in questi contesti così degradati alla Polizia penitenziaria è affidato un compito disumano, di far fronte alla rabbia crescente contro le istituzioni che spesso non hanno saputo affrontare questa emergenza vera e drammatica informando, dialogando, confrontandosi a partire dall’unico “esercizio” che ognuno di noi oggi dovrebbe imparare a fare: provare a mettersi nei panni dell’altro, a vedere le cose, come ci insegna lo scrittore israeliano David Grossman, “con gli occhi del nemico”.
    In questi giorni ho pensato che queste rivolte ci faranno tornare indietro di anni in quel delicato lavoro che facciamo per ridurre la distanza fra la società e il carcere: perché già si sta procedendo a creare i mostri, ci fanno vedere uomini sui tetti delle carceri, che urlano, che spaccano tutto, e ognuno si sente in dovere di condannare, di prendere le distanze, di esprimere la propria riprovazione. L’ho fatto e lo faccio anch’io con profonda convinzione, ho orrore della violenza, però penso anche allo stato di abbandono in cui versano tante galere, le giornate passate ad ammazzare il tempo, i corpi accatastati in spazi inadeguati, la perenne emergenza sovraffollamento, e ora su tutto questo la paura del virus, il senso di impotenza, la rabbia, e capisco quanta fatica si faccia a restare umani in quei luoghi, e quanto il pensiero di chi ha partecipato a queste rivolte alla fine sia stato anche quello di sballarsi fino a dimenticare, fino alla morte.
    (*) Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e direttrice di “Ristretti Orizzonti”

  • sono triste e angosciata, queste rivolte nelle carceri mi hanno fatto pensare a una realtà su cui non riflettevo da anni, e che è tanto lontana dalla vita di noi tutti. mi fa paura pensarci anche in condizioni normali, perché so che quella condizione di costrizione è quanto di più umiliante e lontano dalla possibilità di recupero. conosco volontari che lavorano nelle carceri, ma il problema deve essere affrontato tornando a concepire la pena come un passaggio verso il ritorno nella società, non come una punizione-punizione, che ti cala solo al livello inferiore della società per lasciarti lì. La tossicodipendenza poi, ma quella dei poveri, è ancora un problema aggiuntivo ed esplosivo, ma in quelle condizioni cosa altro si può desiderare, se già non si era tossicodipendenti prima? il problema delle carceri deve rimanere in primo piano, non per le rivolte, ma perchèétanti devono parlarne e interrogarsi

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