Christian Frascella, Giampaolo Simi, Sonia Sacrato con…

…Beniamino Deidda, Tomaso Montanari, Enrico Caneva, William Raineri, Francesco Guccini, Loriano Macchiavelli, Raja Shehadeh, Amira Hass, Talye Selasi, Asma’ al-Atawna, Elisabetta Bartuli, Nour Abuzaid, Yumna Patel, Widad Tamimi, Eleonora Vio, Ibtisam Azem, Reem Kassis, Ivan Sciapeconi, Antonio Manzini, Frans de Waal – dodici libri recensiti da Valerio Calzolaio

Non si uccide il primo che passa. L’estate rovente di Contrera – Christian Frascella

Einaudi Torino 2023

Pag. 313 euro 18

 

Torino, Barriera di Milano. Inizio luglio 2023. Contrera lo avete presente ormai, no? Non si è mai spostato dal quartiere, padre locale glorioso sovrintendente di polizia; ha fatto gloriosamente parte della categoria degli irriconoscenti cornificatori e l’ex moglie Anna è via di testa (perdipiù dopo aver perso il bambino il dicembre scorso, concepito con lui in una notte alcolica); la figlia 16enne Valentina non lo sopporta, se ne va dai nonni materni e gli ingiunge di assistere la madre; fuma Camel e continua a bere una Corona dietro l’altra, ubriacandosi senza accorgersene; vive solo e malandato in uno scassato camper davanti casa della bella sorella Paola e degli affettuosi nipoti studenti dopo che l’odioso cognato Ermanno (forse pure lui cornificatore, occorre indagare) ha messo fine all’ospitalità; non ha una casa, un ufficio, un’innamorata, un conto in banca, una macchina (casomai gira con la Suzuki di Paola); uno e settantatre, sguardo perso, ghigno ebete, barba lunga, lo conoscono tutti e tutti sanno che è un ex sbirro mandato via; farebbe talora lo scalcagnato investigatore privato in nero per cento euro al giorno più le spese, scontabili; s’annoia. Un bel giorno la sorella gli procura una cliente: Giulia convive da anni con Enzo, da qualche mese lui è cambiato, torna a casa tardi dal lavoro in fabbrica con la scusa degli straordinari, è stato promosso caposquadra e appare felice, ma sembra pensare ad altro (o altra), non la cerca più: frequenta un’amante e sta forse per lasciarla? Continuamente distratto Contrera prova a seguirlo con l’aiuto di Giorgia, minuta splendida cameriera nera e flessuosa di un pub ben frequentato, cintura marrone di Krav Maga (una volta gli ha rotto il braccio). Solo che a tarda notte Enzo viene ucciso, nella sua Cinquecento rossa con a bordo una prostituta, appare subito anche la mafia nigeriana e l’omicidio sembra comunque proprio pianificato.

L’ottimo scrittore Christian Frascella (Torino, 1973) vive ormai a Roma e ambienta a Barriera (più che a Torino, il resto della città non appare mai) anche questa quinta avventura della fortunata serie (2018, 2019, 2020. 2022) dedicata al mitico Contrera. La narrazione è in prima persona al presente, il flusso di pensieri, sogni, azioni, reazioni, incontri, dialoghi del protagonista, cinico e tenero, lingua tagliente e istinto autodistruttivo. Il titolo prende spunto da un colloquio al funerale: il marito della sorellastra dell’assassinato ha sul caso l’opportuna teoria che non si possa uccidere giusto il primo che passa. Contrera riflette poi su quanto ha scoperto indagando su quello strano Enzo: “orfano incattivito, compare inaffidabile di rapine, compagno traditore, giocatore incapace al tavolo da poker che inguaia un amico, collega in grado di fare le scarpe a chi gli aveva insegnato il lavoro. Ma anche: uomo redento. La gente ha mille facce e le usa tutte, confondendo e confondendosi, corrompendo e corrompendosi. Siamo tutti un mistero irrisolvibile…” Possono così essere stati tanti a ucciderlo e, inevitabilmente, si rischia molto se si cerca di scoprirlo, anche di essere perseguitati dal poliziotto cattivo (altro cornificatore corrotto) o mangiati da un coccodrillo lungo tre metri (da cui la copertina) o coinvolti negli incontri degli Alcolisti Anonimi (addirittura peggio?). Lui tracanna birra ma fu il vecchio vicino della ex moglie a fornire il vino galeotto in quella squallida sera d’ottobre. Il riff di The Edge, durante One degli U2, illustra la camminata di Giorgia.

 

 

 

Disobbedienza profetica. La Firenze di Milani, Balducci, Borghi, Brandani, La Pira, Mazzi, Turoldo, Santoro

A cura di Beniamino Deidda e Tomaso Montanari

 

Edizioni GruppoAbele Torino 2023

Pag. 175 euro 10

 

Firenze. Il secolo scorso. C’è stato un tempo (pure vicino, non solo antico) in cui Firenze ha nutrito un pensiero profetico, addirittura fiorente negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, nel nome di una critica intransigente della realtà e per una sua rivoluzionaria riscrittura. Alcuni scritti si possono raccogliere insieme, sono scritti cristiani, in buona parte di preti, inseriti nella tradizione di lungo periodo di un radicalismo politico cristiano tipicamente toscano, significativi e ispiranti anche per chi sia animato dal più convinto laicismo. Spunti di reazioni vitali vengono da don Lorenzo Milani (1923 – 1967), soprattutto nella Lettera ai giudici, padre Ernesto Balducci (1922 – 1992) in un dialogo radiofonico a più voci, da don Bruno Borghi (1921 – 2006), attraverso canoni (preghiere) per la messa domenicale o lettere rivolte ai compagni di lavoro scioperanti durante il processo dopo il licenziamento, da don Bruno Brandani (1925 – 1987), in particolare dopo l’alluvione del novembre 1966, dal sindaco Giorgio La Pira (1904 – 1977) con due motivati atti istituzionali per fronteggiare la crisi abitativa, da don Enzo Mazzi (1927 – 2011), appassionato e illuminato parroco all’Isolotto, da padre David Maria Turoldo (1916 – 1992), poeta (e commentatore) militante, da don Alessandro Santoro (1965), lettere aperte dalla Comunità di Base delle Piagge. In un’Italia sempre più lontana dalla forza rivoluzionaria del Vangelo e della sua Costituzione quelle riflessioni e quelle azioni appaiono risorse preziose.

L’ex magistrato di origini sarde (Lanusei) Beniamino Deidda, dal 2009 Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze, in pensione dal 2012, e lo storico dell’arte e saggista, Tomaso Montanari (Firenze, 15 ottobre 1971), dal 2021 Rettore dell’Università per stranieri di Siena, hanno magistralmente individuato alcuni profetici scritti di grandi personalità fiorentine dedicati in qualche modo alla disobbedienza civile, tema che percorre in differenti forme un lungo periodo della vita della Firenze della seconda metà del secolo scorso, durante il quale religiosi e laici hanno animato la cultura cittadina, coinvolgendo inevitabilmente la Chiesa e le istituzioni della politica. Per gli autori e per i curatori della raccolta, oltre che per tanti altri, disobbedire (ovvero rifiutare la logica del potere e l’ordine stabilito, la legge del più forte) è parsa e pare l’unica strada per cambiare lo stato delle cose, profeti in patria (da cui il titolo). Non a caso la collana (diretta dallo stesso Montanari e da Francesco Pallante) è intitolata al “Futuro Remoto”. Nell’introduzione, i curatori Deidda e Montanari accennano ai fili comuni e presentano i singoli autori nelle loro attività e gli scritti nel contesto biografico o politico-sociale. La Lettera di don Milani è un classico, gli altri testi sono spesso meno noti, chiari e coinvolgenti, scritti negli anni che precedono e seguono il Concilio Vaticano II. Ne emerge un’idea di Chiesa, ma anche un’idea di società civile e di democrazia, alternativa alle logiche del potere costituito e in profonda sintonia con le parole del Vangelo e con il progetto della Costituzione repubblicana.

 

 

Il cliente di riguardo – Giampaolo Simi

Sellerio Palermo 2023

Pag. 407 euro 16

Viareggio e Versilia. Ottobre 2018 – giugno 2019. Il bravo giornalista ex cronista di nera Dario Corbo racconta ora di quando ha compiuto i cinquant’anni, all’inizio dell’autunno. Dopo la chiusura del giornale aveva divorziato, era tornato in Versilia, aveva incontrato Nora Beckford, è stato comunque capace di aiutare il figlio 18enne durante una storia terribile: pur non entrandoci nulla, Luca (ex atleta professionista) adesso è a Roma ai servizi sociali volontari presso l’associazione Zona Mista (è stato condannato con divieto di spostamenti), incaricato di allenare per due anni una squadra di calcio di diversamente abili, utenti dei servizi psichiatrici. Dario lavora per la ricca Fondazione della 45enne Nora, come comunicatore e braccio destro, anche se fra loro c’è forse ormai una stabile intima attrazione amorosa, lei accetta addirittura un qualche contatto fisico, lui sa di essere innamorato e si è convinto di doversi dimettere presto. Nel tempo libero si allena davvero con la tavola da surf (come promesso al figlio), ma solo in piscina. Fra calcoli con cardio-gps, incubi notturni o insonnia, avvertimenti minacciosi, fantasmi del tragico passato antico (i loschi omicidi del 2009) e recentissimo (il dubbio incidente che ha ucciso la mamma di Luca, investita da un furgoncino) e le indagini segrete sul clan di Vincenzo Currè coordinate dal colonnello Mazzocchi e dal maresciallo Donati, accade ora qualcosa che inevitabilmente porterà tanti a svoltare: Maddalena Currè, arrapata gallerista rampante e figlia del criminale trafficante d’arte, è venuta in possesso di un quadro firmato dal padre di Nora, artista famoso come scultore, un settanta-cento orizzontale (ritratto della figlia di spalle), risalente al 2010-2011, dal valore inestimabile. Dario deve rituffarsi in ingranaggi, manovre e depistaggi del mondo professionale dell’arte oltre che nei permanentemente incombenti traffici di reperti e scambisti intorno ai siti archeologici. Prende botte e rischia la vita, non solo sua.

L’ottimo scrittore e sceneggiatore toscano Giampaolo Simi (Viareggio, 1965), protagonista del Premio Camaiore di Letteratura Gialla dal 2003 al 2013, vincitore del Premio Scerbanenco nel 2015, prosegue una succosa serie di successo, narrata in prima dal protagonista. Dopo vent’anni professionali da nerista a Roma, Dario Corbo è ormai il consolidato direttore delle relazioni esterne della Fondazione Thomas Beckford, il padre di Nora, grande notissimo artista inglese. Deve evitare stress per ragioni di salute ma gli stress non lo scansano per ragioni altrettanto vitali. Ora non lotta solo con i cattivi tradizionali, deve esserci qualcuno dietro, una primula rossa alla ricerca delle ali della sfinge etrusca, un cliente di riguardo degli affari criminali con complici insospettabili, il quale non potrà che perseguitarlo a lungo (da cui il titolo del nuovo godibile romanzo). Certo, da anni pensa sempre e solo alla magnifica sensuale Nora (che ha misteriosi trascorsi in prigione), occhi color nebbia e capelli neri, ma rispettarne gli interessi impone scelte audaci e amarla stanca, ormai è deciso ad andarsene in qualche modo dalla Versilia. Anche il bell’acrilico su tela della copertina mostra una filiforme donna di spalle (di Darek Grabus). Segnalo che lo Stato di Ginevra è il principale azionista del Porto Franco, cento miliardi di dollari per più di un milione di pezzi fra opere e reperti, trattative e scambi senza che esca niente e senza pubblicità alcuna. Lì vicino Dario assaggia un vino bianco alsaziano, non un gran che. Come sempre si rifà con ouzo e birra, o con Vermentino e sidro.

 

 

L’enigma del gatto – Sonia Sacrato

Covo della Ladra Milano 2023

Pag. 253 euro 15,90

 

Torino. Fra l’11 settembre e il 28 dicembre 2017 (con qualche evento precedente). Finalmente il battello Valentina II viene riportato a terra da una gru, era affondato poco meno di un anno prima avendo rotto gli ormeggi causa maltempo ed essendosi schiantato contro i piloni del ponte Vittorio Emanuele I. Durante le operazioni di recupero emerge dal fango un femore umano, così all’alba arrivano anche il prestante vicequestore quasi 50enne Luca Ferraris, l’ispettrice Celeste Priante, il vice ispettore Paolo Schiavo e, ovviamente, pure Alex, fratello di Celeste e aspirante giornalista, pubblicista a “Torino News”. I vigili urbani trovano pure le spoglie di un cadavere senza nome. Luca commenta che saranno “cazzi al limone” e per mesi effettivamente non fanno progressi nell’investigazione. Pochi giorni prima del Natale torna in città Cloe Damiani, giovane insegnante di storia dell’arte, col fido inseparabile gatto Pablo. Luca ne è felice, vanno a stare da lui. Si erano conosciuti a luglio (quando lei era stata rapita) ed era iniziata una storia molto coinvolgente; poi le era stata assegnata una supplenza in un liceo di Cordecons e a Torino si faceva ospitare dall’amica Cristina nel B&B; a lui i pochi giorni liberi servivano per scendere a Roma dalla figlia Francesca. La sintonia era forte tuttavia, ora provano a vivere sotto lo stesso tetto: Cloe comunque attenta agli amici come la drag queen diabetica Roberto (alle prese con una ghostwriter che aiuterà a raccontare la storia del rapimento) e in permanente contatto telefonico con le lontane sorella e Madre; Luca preso dalle inconcludenti indagini, che fortuitamente però presto si incrociano (visto che l’editore viene ucciso) e diventano via via sempre più febbrili, finendo inevitabilmente ancora una volta nelle grinfie infallibili del linguaggio felino del persiano nero Pablo.

La brava scrittrice circa 45enne Sonia Sacrato è nata e vive a Padova, risulta però Torino-dipendente da tempo immemore e ancora nel capoluogo piemontese ambienta l’ennesima avventura della simpatica serie del gatto (iniziata nel 2018). La lince del Bengala si trova qui alle prese col nuovo compagno della padrona, preparato e preciso sul lavoro, distratto ma premuroso a casa: prima si osservano a distanza, poi il vicequestore si fa ammaestrare a dovere, comprende e applica con timore reverenziale i saggi insegnamenti del felino, che gli concede l’onore della sua calorosa vicinanza; niente fusa all’inizio affinché non si monti troppo la testa, le riserva solo a Cloe. Pablo pesa circa nove chili, sa a sua volta ascoltare e mantiene comunque l’attitudine a risolvere le situazioni più intricate ed enigmatiche (da cui il titolo). Durante la convalescenza Cloe aveva goduto Casino Totale di Izzo ed era rimasta colpita da molte frasi (come ogni lettore, del resto), in particolare una (non si può amare senza pensare di avere qualcosa da perdere) le era servita a spiegare a Fabrizio che era finita e a scegliere Luca per guardare avanti. La narrazione è mista: in terza persona al passato prevalentemente su Luca, Roberto e pochi altri, in prima al presente racconta Cloe (con un breve inserto a Padova il 17 agosto 2005). Chiara utile (al caso) lezione su Artemisia Gentileschi da pagina 124. Whisky Carol Ila e vino Nebbiolo, fra abbastanza altro. Quando chiama Madre la suoneria attiva La Cavalcata delle Valchirie, poi appaiono innumerevoli citazioni cinematografiche e musicali, fra queste segnaliamo Ezio Bosso, Michael Bublé e Ludovico Einaudi.

 

 

La flora preistorica. I giardini del Giurassico – Enrico Caneva

Prefazione di Walter Landini

Töpffer Sestri Levante 2023

Pag. 217 euro 39

 

Mondo vegetale. Da centinaia di milioni di anni. Le piante fossili e le piante preistoriche incuriosiscono e affascinano, in un modo o nell’altro sono riuscite a sopravvivere a meteoriti, a fenomeni di estinzione di massa, all’attacco di patogeni e di insetti e, per ultimo, sono riuscite a sfuggire alla deforestazione e all’uso del loro legno, mostrando quelle straordinarie capacità adattative ed evolutive che hanno condotto alle specie vegetali successive (oggi presenti ovunque). Furono, inoltre, quelle piante primigenie a bilanciare nell’atmosfera le percentuali di ossigeno necessarie alla vita di noi mammiferi. Sono così di fatto ancor oggi indispensabili alla vita sulla Terra: petrolio e carbone sono i loro resti, dobbiamo proprio a loro l’energia fossile che muove il mondo moderno e contemporaneo. Tutte le specie utili in agricoltura e le piante di ornamento attuali discendono da loro, eppure sono ai più abbastanza sconosciute, pochi conoscono le loro antiche origini e la relativa diffusione prima delle grandi glaciazioni. Nasce da questa esigenza di conoscenza concreta e diretta l’idea di un giardino preistorico ove vedere, toccare e fisicamente camminare tra queste piante, dai primissimi muschi e licheni alle primordiali piante a fusto, poi dalle gimnosperme alle primitive angiosperme. Ovviamente, la frammentarietà dei reperti riesce a comunicarci solo piccola parte della realtà del passato, dovendo poi sempre più tener conto della rivoluzione dello studio tassonomico, con il passaggio dalla classificazione morfologica linneana alla classificazione basata sul genoma. I giardini preistorici nel mondo si contano sulle dita della mano. Uno si trova a Sarzana, che bello!

L’affermato ingegnere e botanico autodidatta Enrico Caneva si è trasferito nel 2018 da Parigi a Sarzana e ha recuperato un campo abbandonato, aprendovi un giardino botanico: un ettaro e mezzo sviluppato su tre balze con approccio paesaggistico, già quindici mila piante e oltre due mila specie provenienti da tutto il mondo, il tutto a un passo dal centro della cittadina ligure. Il suggestivo progetto riguarda in futuro anche il recupero di aspetti della remota vita vegetale della zona, uno studio sulle piante preistoriche delle Alpi Apuane e dei Monti Pisani, quelle presenti prima della glaciazione, da 250 a 50 milioni di anni fa, al tempo dei dinosauri, creando una sorta di ampio boschetto preistorico (tra queste per esempio il Trochodendron aralioides, pianta preistorica di cui sono in bella mostra una quindicina di esemplari nel giardino di Via Berghini inaugurato nell’agosto 2022). Prima sfida: reperire semi o plantule delle rarissime specie superstiti. Seconda sfida: piantumare e riuscire a ri-acclimatare le piante reperite. Esce ora il primo volume (di tre) dedicato alla flora preistorica nel periodo del Giurassico, appunto (dopo la fine del Triassico) da circa 201 milioni a circa 145 milioni di anni fa: non solo un elenco dettagliato bensì una sorta di guida alla preservazione e allo sviluppo di antichissime piante biodiverse, che ci consente di ragionare meglio sullo stesso concetto di “autoctono”. La personale passione dell’autore per le conifere rende le gimnosperme primitive le principali protagoniste del testo. Ogni capitolo parte da riflessioni sulla paleogeografia, sulla tettonica delle placche, sull’evoluzionismo e sulle grandi estinzioni. Molte figure (oltre 120) e foto (scattate nei giardini Caneva). Accurate referenze scientifiche. Finali glossario e lista delle specie citate.

 

 

Chi porta le ombre -William Raineri

Sem Milano 2023

Pag. 284 euro 19

 

Val Tenebrina, provincia di Brescia. 1943-44 e fine 1950. Un novembre del dopoguerra il commerciante 61enne Giorgio Prevosti viene sorpreso a Verona nel proprio deposito di prodotti chimici del seminterrato. Qualcuno gli fa bere olio di ricino, poi muore causa acido muriatico. Forse è stato ucciso e non è il primo, anche questo viene fatto passare per suicidio (come già a Rovigo, una sega per aprirsi la pancia, e a Treviso, impiccagione); questa volta l’uomo aveva in tasca una lettera anonima del giorno prima, in cui lo si avvisava del tradimento della moglie. Tutti e tre erano stati fascisti, poveri e cattivi durante la seconda guerra mondiale, poi si erano sistemati benino. A svolgere indagini private su di loro è stato sicuramente anche il bel trentenne dai baffi neri, alto ed elegante, Benito Pietra, da molti conosciuto come Olmo, già giovane coraggioso leggendario comandante partigiano da quelle parti. Vive a Mugno con la madre vedova Stella, gira in moto Guzzi per le campagne gardesane, fa lavoretti investigativi senza licenza, ha una relazione mantenuta al minimo sindacale, insegue i ricordi. Su un giornale locale esce un articolo sui “finti suicidi” e il tenente dei carabinieri Enrico Carraro, da quattro anni operativo a Brescia, s’insospettisce, poco convinto delle dinamiche della morte di Prevosti e colpito dalla perspicacia di Olmo nella vicenda di una ragazzina uccisa. Insieme al vicebrigadiere Giannelli cercano faticosamente il giornalista Fogaz, studiano i pochi frammentari incartamenti, fanno domande in giro: forse i casi analoghi sono anche altri, c’è qualcuno che si sta vendicando o sta eliminando testimoni di un qualche eccidio contro i partigiani pochi anni prima. Nel frattempo anche Olmo non si dà ancora pace, raccoglie ulteriori notizie da un altro carabiniere (figlio di partigiana) per rintracciare antichi colpevoli e aiuta un amico preoccupato che la moglie gli mette le corna. Correranno tutti molti rischi.

Bell’esordio nel romanzo, storico e giallo, per il pubblicitario e soggettista William Raineri (Brescia, 1970). La narrazione è in terza varia al passato, soprattutto riferita a Olmo e Carraro, per il primo su due piani temporali: il periodo dei mesi della lotta partigiana dal dicembre 1943, con amici e compagni della banda Fulmine in montagna; la solitaria irrequieta vita successiva anni dopo, fra le cascine operose della vallata, piccoli ecosistemi “inventati” dall’autore in provincia di Brescia. I due personaggi sono destinati a tornare presto. Entrambi sono a loro modo ombrosi: sulle proprie ombre Carraro scrive lettere alla sorella che imbusta e non spedisce, Olmo cerca una serenità finalmente senza più ombre del passato (da cui il titolo). Comprensibili alcuni modesti inciampi nella complessa trama, per un romanzo comunque molto solido e godibile, i personaggi ben articolati, un incedere di ritmo e spiccata personalità. Il Tenebrino appare come un fiume copioso dalle acque limpide, che scorre su un altipiano imperniato a sudovest sul grande centro urbano di Mugno con lo Stradone che conduce al piccolo borgo di Lambrotto e al monte Grembo e alla grotta più impervia (ideale per nascondersi dai nazisti). Raineri abita lì più o meno e voleva luoghi pure vicini alla Repubblica di Salò, per creare maggior senso di tensione e di paura e imporre attenzione nei movimenti rischiosi; inoltre, Brescia ha una provincia vastissima, con laghi, montagne, terre agricole ed esistono tante tipologie di “bresciani”, diversi mix tra montanari e campagnoli, cittadini e abitanti dei corsi d’acqua. Molto vino sfuso, bianco e rosso, allora non c’erano ancora Docg e Doc che poi hanno reso famosa la zona. Meraviglioso il mitico Bossolà della madre, simbolo alimentare dell’autonomia locale.

 

 

Vola Golondrina – Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli

Giunti Firenze 2023

Pag. 283 euro 18

 

Montefosco, Appennino tosco-emiliano. 1972 e 1948 (con altre incursioni nello mondo e nel passato). Alla vigilia delle prime calde elezioni del dopoguerra (fissate per il 18 aprile 1948) lì accadde un fatto strano: per alcune notti si ripeté il fenomeno della motocicletta fantasma, rombante lungo la strada principale col guidatore che cantava una canzone a squarciagola e con accento straniero, finché finì e nella stalla di una casa contadina abbandonata venne trovato barbaramente ucciso un uomo irriconoscibile, accanto a una moto Guzzi GT 17 con sidecar. Il maresciallo Mazzanti non ci capì molto, spiegazioni e protagonisti non furono trovati, non arrivarono seguiti ufficiali. La sera del 18 aprile 1972, il camerata Ardito Richeldi, lì nato nel 1909 e ora tornato per la campagna elettorale dell’arrembante MSI (voto fissato per il 7 maggio), sta bruciando documenti compromettenti, finché non viene interrotto e ucciso con una pistola degli anni Trenta di fabbricazione spagnola. Indagano il maresciallo Talamini e l’appuntato Leonelli e presto si mette di mezzo anche la bella intraprendente reattiva giornalista 25enne dai capelli scuri Penelope Lope Rocchi, nata pure lei lì ma assente da tanto, inviata dal quotidiano nazionale di Bologna per scrivere un articolo di commemorazione. Richeldi era un pessimo elemento, già picchiatore durante il regime fascista, maschilista violento, cattivo accanto ai franchisti durante la guerra di Spagna, fra i protagonisti dell’estrema destra complottista nei primi decenni della Repubblica, ora candidato nelle liste missine, ma inviso anche a parte dei suoi in quanto arrivista e traffichino, coinvolto in uno scandalo connesso a ricchi illeciti della massoneria e al finanziamento di gruppi neofascisti. Lope ritrova tante conoscenze, in particolare Gambetta detto Bakunin, anarchico titolare dell’officina per auto e moto che su Richeldi potrebbe farle capire molto.

A oltre venticinque anni dalla loro prima collaborazione letteraria gialla (un “romanzo di santi e delinquenti”, gennaio 1997) Francesco Guccini (Modena, 1940) e Loriano Macchiavelli (Bologna, 1934) continuano a sfornare curate coinvolgenti ottime narrazioni di alto artigianato artistico. La decima prova congiunta (oltre a varie riedizioni e a una raccolta di racconti) è sempre prevalentemente ambientata nelle splendide montagne del loro buen retiro. La narrazione è in terza varia, continui andirivieni con Bologna e nei tempi storici, comprese varie città spagnole nel 1936-1937. Si tratta di trentotto godibili capitoli ben congegnati (loro scrivono in genere a corrente alternata con reciproche correzioni e integrazioni), come al solito con l’elenco dei personaggi all’inizio (da giallo classico) e sottotitoli riassuntivi in corsivo (da romanzo classico). La tela della trama va dai pezzi grossi del Movimento Sociale ai Servizi segreti, alla Magistratura, alla Massoneria e ai faccendieri trafficanti di armi. George Orwell lo trovate in esergo e in alcuni brani sulla Catalogna fine anni Trenta, incisi in corsivo nel testo. A marzo 1937 i due militanti delle Brigate internazionali alloggiarono da Golondrina nell’antico Barrio Gótico di Barcellona e conobbero la meravigliosa basca Ignacia Esteban, Golondrina per i compagni (da cui il titolo). Forse la figlia della figlia potrebbe essere ancora in giro, da verificare con ardore. Vi si collegò anche una canzona, vera colonna sonora del romanzo con il contributo dell’imperituro Juan Carlos “Flaco” Biondini. Segnalo che il maresciallo Talamini seguiva il radiodramma poliziesco di Ezio D’Errico, a pag. 146. Vini vari, sangria, grappa e, soprattutto, in trattoria bolognese, un digestivo della casa chiamato maliziosamente “L’Antiruggine”, miscela infernale di alcuni imprecisati liquori. Da non perdere

 

 

Palestina

Autori vari (Raja Shehadeh, Amira Hass, Talye Selasi, Asma’ al-Atawna, Elisabetta Bartuli, Nour Abuzaid, Yumna Patel, Widad Tamimi, Eleonora Vio, Ibtisam Azem, Reem Kassis)

Traduzioni varie (Anna Lovisolo, Raffaella Scardi, Cristiano Peddis, Cristina Dozio, Luigi Maria Sponzilli, Ada Arduini, Silvia Rota Sperti)

Fotografie varie (Ahmad al-Bazz, Pietro Masturzo, Tanya Habjouqa, Paddy Dowling, Yasmine Omari, Anne Paq, Antonio Faccilongo, oltre ad alcune agenzie)

Iperborea Milano – 2023 (testi 2023, uno 2007, uno 2017, uno 2022)

Pag. 192, euro 22

 

Palestina. Quando? In teoria oggi (a cavallo del fatidico 7 ottobre 2023) si tratta di soli 6 mila km² (5,6 Cisgiordania, con 140 checkpoint, e 0,4 striscia di Gaza, 40 chilometri di costa senza approdi) ove vivono 5,4 milioni di sapiens palestinesi (3,3 nella prima, esclusi i coloni israeliani, e 2,1 nella seconda) ufficialmente Refugees da generazioni (dal 1947-48), a fronte di una popolazione palestinese nel mondo di 14,3 milioni, di cui 5,9 sono appunto complessivamente i Refugees sotto mandato UNRWA, ovvero altri 0,5 in campi profughi di Stati limitrofi. La giornalista israeliana trapiantata in Cisgiordania Amira Hass compie una lucidissima analisi della progressiva feroce occupazione delle terre palestinesi conquistate da Israele nel 1967: se la frammentazione dello spazio fisico con muri, strade, insediamenti e posti di blocco è parte integrante della strategia usata dallo stato occupante per tenere la Palestina sotto il proprio controllo, è attraverso l’accumulo e la giustapposizione di storie individuali e collettive che la sofferenza e i danni inflitti vengono fuori in tutta la loro drammatica entità. Proviamo ad approfondire, allora, le cronache recenti di vite a Ramallah, a Gaza, a Gerusalemme, a Jenin, a Hebron, in Israele, nell’esilio e nella diaspora, le esistenze dei profughi palestinesi, maschili e femminili, anziane e infantili, anche quelle connesse alla religione islamica monoteista abramitica e a una società conservatrice ultrapatriarcale.

La collana The Passenger (per esploratori del mondo) è ormai nota e molto apprezzata, commissiona o raccoglie articoli recenti su luoghi umani del pianeta (città, paesi ed ecosistemi) in bei volumi illustrati e vuol farci meglio capire, partendo sempre da temi d’attualità. Questa volta ha anticipato una drammatica evoluzione storica. Il volume è uscito a settembre 2023, il criminale attacco terroristico di Hamas è stato effettuato alla fine della prima settimana di ottobre, il conflitto preesisteva e persiste. Leggere la ricchezza dell’esperienza umana e l’individualità delle voci e delle situazioni che animano la frammentata Palestina può aiutare a contestualizzare le opportunità di futuro, per loro, per Israele, per noi. Il volume è ricchissimo di foto (d’autore), frequenti precisi significativi dati grafici schede illustrazioni infografiche (originali e ben leggibili). Dopo due pagine di numeri (angoscianti quelli sul consumo d’acqua e la sete, sui fondi e i redditi, sulle importazioni e l’assistenza umanitaria), nel primo servizio lo scrittore, avvocato e attivista Raja Shehadeh presenta e aggiorna il suo famoso libro del 2007 (tradotto in italiano nel 2010) sul girovagare (sarhat) tra le colline intorno a Ramallah, con la continua riduzione del raggio d’azione per l’espansione degli insediamenti dei coloni. Seguono una decina di pezzi di autori palestinesi, israeliani e italiani per raccontare storie d’amore e fughe, letterature e pulizie etniche, campi profughi e belle esperienze di convivenza, paure e caos. Qualcosa di importante è cambiato il 7 ottobre ma la storia è fatta soprattutto di lunghe durate, una parte del futuro è ancora da scrivere ed è meglio sapere quanto più possibile del passato prossimo. A chiusura una curiosa riflessione con ricette di Reem Kassis (autrice di libri di cucina, originaria di Gerusalemme e residente negli Stati Uniti) su “la cucina palestinese e l’appropriazione culinaria israeliana”, una spiegazione su Handala, l’immagine del piccolo orfano di schiena riprodotta ovunque, una playlist e una breve bibliografia.

 

 

Il nome che diamo ai colori – Ivan Sciapeconi

Piemme Milano – 2023

Pag. 214 euro 17,90

 

Provincia di Modena. Fine anni Sessanta. Dalla finestra della camerata un ragazzo ospite del Giardino, struttura di contenimento per “subnormali” e “irrecuperabili” a mezza strada tra manicomio e scuola speciale, vede entrare in cortile un tipo strano, diverso dai soliti sorveglianti, dato che indossa giacca di lana scura, sciarpa, cappello e scarpe alte sopra le caviglie, alla moda di quegli anni fuori da quel posto (“vestire come pastori di un presepe”). Lì dentro con lui da anni ci sono incontinenti, oligofrenici, maniaci, laceratori, distribuiti in varie palazzine (i piccoli, i ragazzi, le femmine, oltre al refettorio con la stanza per il frate, agli uffici del direttore, del personale e della segreteria e al capanno degli attrezzi), chiusi da recinzioni e cancelli, circondati da un fossato d’acqua marcia. Il tipo accetta di fare il “maestro”, c’è una classe scoperta nella palazzina dei piccoli. Giorno dopo giorno quel signore strano comincia ad arrivare con una Cinquecento verde, posteggiandola fuori dal cancello principale, come un estraneo qualsiasi, un visitatore. Porta con sé buste di carta, lana, stoffa, tappi, tavolette di legno, vecchi giornali, altri oggetti da spazzatura per attizzare (forse) la fantasia dei bambini. Recupera un pulmino sbattuto e abbandonato e ne porta otto a vedere per la prima volta il fiume e gli Appennini. Si barcamena fra la vita turbolenta dell’istituto, le violente manganellate e la terribile cella di punizione per chi si comporta fuori dalle regole. Riesce a coinvolgere sei ragazzi nella classe dei piccoli, li accompagna al bar, parla di loro a famiglie di conoscenti e prova a metterli in contatto con un giornalista. Scopriamo che il ragazzo si chiama Ettore, ha una storia, aveva una famiglia. Con il suo amico Sante riescono a testimoniare qualcosa su quanto accade dentro. Il maestro viene allontanato, ma loro forse si saranno conquistati un futuro diverso, come racconta ora Ettore, cinquant’anni dopo.

Il creativo insegnante di scuola primaria (a Modena) Ivan Sciapeconi (Macerata, 1969) ha al suo attivo già vari testi didattici e di narrativa per ragazzi e a inizio 2022 un riuscito esordio nel romanzo con la storia vera di aiuto agli ebrei ambientata fra il 1938 e il 1943 a Villa Emma di Nonantola. Attraverso tono giusto e garbato, scelse il punto di vista di un bambino ai bordi della pubertà, con mescolanza sapiente di tempi e contesti, di ricordi e illusioni, di pensieri e dialoghi. Il secondo romanzo è una preziosa straordinaria conferma letteraria. Commuovetevi, or dunque, ne vale la pena! Anche qui la narrazione è in prima persona, questa volta al passato perché Ettore, l’io narrante, è vivo e ha avuto una colorata vita professionale e affettiva, dopo le sofferenze e gli incubi della vera Villa Giardini di Casinalbo. Tutto doloroso e dolorante, seppur narrato in modo mirabile e lirico, intelligente e toccante, specie se si hanno avuto o si hanno contiguità con sapiens sofferenti di ritardo cognitivo o di malattia psichica, nell’antica ignavia o nella costante parzialità di servizi pubblici e privati. Nessuno può stare dentro una sola definizione, abbiamo imparato. L’alternanza tra fasi di umore estremamente elevato, euforico o irritabile (mania) e fasi di umore depresso non ha titolarità esclusive. La canzone chiave è quella del ritorno al Giardino, decenni dopo: un famoso autore canta e rassicura un figlio, non avere paura (gli dice) perché il mostro se ne è già andato. Il titolo richiama il costante filo narrativo del libro, i colori di ogni cosa, materiale e pensata, oggettivi e soggettivi, reali e metaforici: “il nome che diamo ai colori, mi dico, è solo la paura che proviamo di fronte all’immensa profondità del mondo”. La struttura è conforme: l’autore scandisce sedici capitoli riferiti tutti al periodo del “maestro” (a cui Ettore si rivolge sempre con il “tu”, presente che sia o assente ed evocato di continuo), eccetto l’ultimo ambientato oggi sull’Adriatico (“io mescolo colori, non ho mai smesso”), intervallandoli spesso con capitoli brevissimi di poche frasi in corsivo dedicati ai colori (lì l’interlocutrice è la madre di Ettore, che gli regalò “parole per il futuro” ovvero una scatola di colori, prima che la prematura morte fosse di fatto all’origine del precoce ricovero del figlio): bianco, blu, arancio, verde, rosso, giallo, azzurro, rosa, nero, ancora bianco, infine.

 

 

Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Sud America?Antonio Manzini

Sellerio Palermo – 2023

Pag. 145 euro 10

 

Argentina, Messico, Costa Rica. Marzo 2015 (probabilmente, o l’anno prima). La questione va risolta. Erano quattro ragazzini amici al bar, a scuola, a giocare, ad arraparsi, a criminaleggiare, inseparabili fra vicoli, piazze e squarci di Trastevere, del Ghetto e di tutta Roma. Sono rimasti tali per quarant’anni, nonostante varie traversie delle reciproche vite, poi di recente Seba ha tradito gli altri tre, ha fatto danni non solo ai cuori ed è sparito. Furio vuole vendicarsi e fargliela pagare, si è messo sulle sue tracce oltre oceano, partono anche Brizio e Rocco, Brizio forse per condividere l’impresa, Rocco per esserci comunque e magari, possibilmente, per impedire un esito brutto che si ritorca contro tutti loro. Il burbero vicequestore Schiavone si fa quattordici lunghe ore d’aereo senza fumare, infinite quando anche la prima classe ha i sedili stretti e le ginocchia toccano la poltrona davanti, un’impresa mai tentata a mente lucida. A Buenos Aires è autunno, nessuno dei due vi era mai stato, si trattano bene per albergo e pasti e si mettono a cercare eventuali vaghe tracce del passaggio di Furio o Seba nelle banche o fra possibili conoscenti emigrati dall’Italia. D’altra parte, l’Argentina è stata da sempre pure un buen retiro per nazisti vari e fascisti italiani in fuga, e quelli restano il canale migliore per procurarsi armi o correre altri pericoli. Furio e Brizio sono banditi esperti ovunque, sempre disponibili ad altre conoscenze femminili; Rocco è competente vicequestore all’estero, sempre travagliato con tante rotture di coglioni da gestire. Ci si può ritrovare anche se si devono fare altre nove ore d’aereo per Città del Messico e se si tratta infine di imbarcarsi tutti e tre verso San José in Costa Rica e girare in auto fra i due oceani. D’altro canto Seba ha apparentemente lasciato una sorta di messaggio da decifrare.

Tredicesimo romanzo con Schiavone per l’attore e regista di teatro Antonio Manzini (Roma, 1964), eccelsa serie concepita come opera unica “alla ricerca del tempo perduto”, qui una forma breve ed episodica (da cui il lungo significativo titolo), dopo il corposo articolato testo precedente (“ELP”). Si tratta di affrontare di petto il passaggio da quattro a tre amici per la pelle. Non troverete nessuno dei personaggi valdostani, nemmeno il ricordo, tanto meno il rimpianto da parte di Rocco. Il suo mondo emotivo è quello antico e duraturo, tanto di più dopo la perdita della cara moglie: Sebastiano Seba Cecchetti, Fabrizio Brizio Marchetti, Furio Lattanzi. Qui c’è l’avventura in Sud America, giusto il tempo per le solite introspezioni affettive e qualche memoria giovanile, godibili incisi sulla loro adolescenza comune. Oltre ai connessi tredici romanzi e a finora altrettanti racconti della serie, a ottimi altri sette romanzi e a due racconti fuori serie, dal 2013 finora Manzini ha narrato venti mesi valdostani del suo personaggio romano (con incisi sul passato e “apparizioni” affettuose della moglie uccisa Marina), sempre con uno straordinario meritato successo (anche in televisione, spassosa e coinvolgente la quinta stagione, uno dei più grandi successi della storia di Rai Fiction; la sesta stagione è ancora in forse, purtroppo). Nella nuova divertente avventura il contingente processo di desertificazione interiore (il continuo circuito di inedia e rabbia, illusioni e delusioni) è distratto se non mitigato dal contesto geografico tutto diverso, le domande riguardano il posto di Sebastiano, vecchio e nuovo. Rocco provvisoriamente prescinde da Loden e Clarks, riesce a rilassarsi solo una volta con la solita canna (là “la maria è buona”), si sfoga con le Camel quando e come si può, non riesce a ignorare orrori ricordi lacrime, si concentra solo sull’amicizia ferita, con tanta pazienza e il solito acume. Gli abbastanza fuorilegge Brizio e Furio sono in sintonia, a loro modo. Segnalo EN, si sa, per dormire. Guacamole e gin tonic certo, ma soprattutto rum, anche i mignon dell’aereo in prima classe (prelevati da Brizio, peraltro). Birra inevitabilmente, se è vino questa volta sono i californiani in Messico. Prima o poi i nostri eroi torneranno in patria.

 

 

 

Un lungo Capodanno in noir

Gianni Biondillo, Gian Andrea Cerone, Luca Crovi, Giancarlo De Cataldo, Marco De Franchi, Diego De Silva, Andrea Fazioli, Marcello Fois, Leonardo Gori, Marco Vichi

Guanda Milano – 2023

Pag. 255 euro 18

Varie città italiane (anche del Canton Ticino). Nell’ultimo secolo, soprattutto di recente. Un elegante disinvolto esperto quarantacinquenne assassino seriale racconta una propria decisiva avventura, verificatasi proprio alla vigilia di un fatidico San Silvestro. Usualmente non è che lavori tantissimo: svolge dai tre ai cinque incarichi l’anno, tutti di un certo livello e conseguente corrispettivo; l’agente gli telefona sull’apposita linea (attivata tre ore esatte, tre volte alla settimana) e poi lo riceve in giornata nel proprio studio per comunicare obiettivo e mandato professionale, guadagnandoci sopra il nove per cento; lui fa quel lavoro da tredici anni senza aver mai fallito, discreto essenziale metodico chirurgico; non conosce i committenti, non tratta sul prezzo, non si pone domande e non si fa problemi etici. Certo è che prova un sintomatico senso di vuoto solo quando s’imbatte negli accidentali e deve occuparsene di conseguenza: non è una ricaduta morale legata alla contingenza, al limite potrebbe ravvedersi e lasciar perdere volontariamente, ma, se vuoi fare una frittata, è ovvio, devi rompere qualche uovo. Il problema, piuttosto, è che gli accidentali ti danno la misura della tua pochezza di esecutore. Capisci cioè di essere un facente funzioni incapace di decidere, privo di qualsiasi margine di autonomia, buono per svolgere un incarico e anche un altro che non c’entra direttamente con quello che ti è stato affidato. E non è una bella scoperta. Quella volta è entrato facilmente nell’albergo, salutando il portiere da ospite recente; è arrivato alla stanza interessata, aprendo la serratura con la lastra fotografica di una cartellina sotto braccio; sul letto ha visto distesa una ragazza a fumare davanti alla tv, il bersaglio stava in bagno; ha agito con semplicità senza far rumore ma poi la televisione si è spenta e la ragazza ha bussato.

“Gli accidentali” di Diego De Silva è il primo leggiadro efficace racconto noir (il più breve) dei dieci contenuti nell’antologia dedicata all’ormai prossimo Capodanno. Gli altri nove autori sono (in ordine di apparizione): Giancarlo De Cataldo, Leonardo Gori, Gian Andrea Cerone, Marco De Franchi, Gianni Biondillo, Andrea Fazioli (con il racconto più lungo), Luca Crovi, Marcello Fois e Marco Vichi. Tutto ottimi scrittori maschi, ben tre con il patronimico “De”, ritenuto popolarmente indizio di nobile casato (il predicato nobiliare viene, tuttavia, segnalato solitamente dal carattere minuscolo), questione eventualmente da approfondire in loro presenza. Intrecci e crimini riguardano differenti località, narrate con personale inconfondibile maestria, prendendo lo spunto o trattando incidentalmente quel periodo dell’anno. Ovviamente incontriamo alcuni fra i personaggi più amati del genere italiano contemporaneo: il colonnello Bruno Arcieri (Gori), l’ispettore Michele Ferraro (Biondillo, in parte ambientato a Barcellona), l’investigatore privato Elia Contini (Fazioli), il commissario Carlo De Vincenzi (anche lui con il “De”, Crovi), quest’ultimo che continua ad andare a trovare a San Vittore il detenuto comunista Antonio Gramsci, il quale il primo gennaio del 1916 aveva scritto un fondo sulle pagine torinesi del quotidiano socialista Avanti su un certo necessario odio nei confronti delle ricorrenze, intitolato appunto “Capodanno”: “fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale…fanno perdere il senso della continuità…ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno…”. Tra un brindisi e uno scambio di auguri, accidenti e incidenti, crimini e misfatti, ci si diverte in modo spesso intelligente. In fondo le note biografiche degli autori.

 

 

 

Diversi. Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo – Frans de Waal

Traduzione di Allegra Panini

Con fotografie e disegni dell’autore

Raffaello Cortina Milano – 2022 (orig. 2022)

Pag. 470 euro 28

 

Terra. Da decine di milioni di anni. Tra le persone che oggi camminano sul pianeta, nessuna sarebbe qui se i nostri antenati (anche primati non umani, anche umani non sapienti) non fossero sopravvissuti riuscendo a riprodursi. Tutti gli “antenati” concepirono figli e riuscirono ad allevarli, oppure aiutarono altri a crescere loro. Non esistono eccezioni a questa regola perché chi non è riuscito a farlo non è potuto diventare l’antenato di nessuno. Sappiamo bene che le differenze comportamentali tra i sessi della stessa specie, negli esseri umani e negli altri animali, sollevano dubbi che sono al centro di quasi tutti gli accesi dibattiti riguardanti le questioni di genere (inteso come maschi e femmine, non come Homo) nella nostra specie (sapiens). Per esempio, i comportamenti aggressivi nei maschi e nelle femmine vengono talora considerati in modo diverso: ammiriamo le madri che prendono le difese della propria prole, non vediamo di buon occhio lo spirito combattivo dell’individuo maschio. Il fatto è ed è sempre stato che entrambi i sessi hanno evoluto comportamenti utili a garantirsi un’eredità genetica. Nella maggior parte dei mammiferi i maschi lottano per il loro status o per il territorio, mentre le femmine difendono con vigore la prole. Siamo tutti eguali primati ma non ci somigliamo tutti, come tipologie e specie e individui. Mentre non mancano differenze comportamentali tra primati maschi e femmine, le capacità mentali sono evolute insieme e non ci sono differenze cognitive ascrivibili al genere (come purtroppo si è creduto e scritto). Sono frequenti immagini stereotipate dei nostri amici primati, per esempio è errato il concetto per cui il capo debba obbligatoriamente essere maschio. Approfondiamo senza preconcetti.

Il grande etologo e primatologo di origini olandesi Fransiscus Bernardus Maria Frans de Waal (‘s-Hertogenbosch, 1948) insegna oggi Psicologia presso l’università statunitense di Atlanta, continuando a dedicare la propria ricerca allo studio dei primati, il nostro stesso ordine di mammiferi placentati, soprattutto l’etologia sociale degli scimpanzé (aggressivi e guidati dai maschi) e dei bonobo (pacifici e dominati dalle femmine). Qui mostra con competenza e chiarezza che la biologia non avalla automaticamente i tradizionali ruoli di genere presenti nelle società umane. Gli altri primati ci fanno da specchio permettendoci di osservare i generi maschili e femminili sotto una luce diversa. Non sono modelli da emulare, non ci sono regole assolute ed eccezioni relative. Per esempio, le due specie di grandi antropomorfe citate sono caratterizzate da rapporti tra i sessi (comportamenti e sentimenti) radicalmente diversi (da cui il titolo). Sono egualmente interessanti per uno scienziato o per un cittadino consapevole e rivelano (entrambe!) aspetti differenti di noi stessi: abbiamo un poco di ogni antropomorfa dentro di noi, a cui si sono aggiunti molti milioni di anni di evoluzione perché emergessero le nostre caratteristiche esclusive. Un’indagine sulle differenze sessuali tra gli esseri umani e tra i primati non convalida ideologie o sopraffazioni, tantomeno il sistema vigente, certo troppo spesso caratterizzato da violenze e maschilismi. Tredici gli interessantissimi capitoli con le comparazioni animali: i giochi di bambine e bambini; l’autosocializzazione di genere; crescere senza sorelle; il patriarcato tra i primati senza esagerazioni; la sorellanza bonobo; i genitali e la bellezza; i segnali sessuali; il mito della femmina riservata; stupro e omicidio; differenze tra dominanza e potere; la rivalità e la cooperazione; amorevoli cure di madri e padri; sesso con lo stesso sesso (gli animali arcobaleno); il presunto dualismo (mente, cervello e corpo sono una cosa sola). Ricchissima bibliografia e utile indice analitico.

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *