Ci manca(va) un venerdì – 63

«Se è necessario il sangue, presidente andate voi a darne un po’»: Fabrizio “astrofilosofo” Melodia in un elogio di Boris Vian, necessario per i tempi che viviamo

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«In Bretagna o in Provenza / in giro per la Francia / vivrò con qualche mancia / e alla gente dirò: / Rifiuta d’obbedire, / non andare alla guerra, / rifiuta di farla, / rifiuta di partir. / Se è necessario il sangue, / illustre presidente, / il vostro è caldo, è ardente: / andate a darne un po’./ Se mi perseguite / dite ai vostri gendarmi: / che sarò armato, / e che io so sparare»: così canta nella sua canzone «Le deserteur» lo scrittore e anarchico francese Boris Vian.

Harold Berg compose la melodia e Boris Vian ne scrisse le parole nel 1954, pubblicandola non casualmente il 7 maggio dello stesso anno, il giorno della disfatta francese a Dien Bien Phu, in Indocina, una battaglia decisiva che pose fine alla sanguinosa guerra iniziata nel settembre del 1946, a seguito dell’insurrezione dei Vietminh e del tentativo della Francia di non perdere la propria influenza sul Vietnam e sull’Indocina in regime di protettorato, che era stato siglato con un “accordo” – si fa per dire – nel 1883.

In una guerra trasformata in carneficina e ormai persa dalle truppe francesi, Boris Vian diede voce alla sofferenza dei soldati e delle famiglie, con una canzone fortemente antimilitarista, censurata su tutti i fronti.

Il cantore spiega molto chiaramente che non vuole diventare un assassino in nome del potere, servo dell’imperialismo e buttando al macero i suoi valori di libertà.

La canzone è ironica e abrasiva, la chiusa finale fortemente censurata già alla sua uscita, per renderla più tollerabile: il suo primo interprete, il cantante Marcel Mouloudji, la cantò in forma edulcorata pare su suggerimento dello stesso Boris Vian per evitare denunce. Ciò non fu sufficiente e la canzone fu totalmente bandita per molto tempo e causò un ostracismo annoso per Mouloudji e Vian, il quale, a più riprese, ebbe modo di rispondere ai politici francesi, in particolare al consigliere Paul Faber: «Ex combattente è una parola pericolosa; non ci si dovrebbe vantare di aver fatto la guerra, dovrebbe dispiacere. Un ex combattente è in condizione più di chiunque altro di odiare la guerra. Quasi tutti i veri disertori sono ex-combattenti che non hanno avuto la forza di arrivare fino alla fine del combattimento. E chi scaglierà loro contro la prima pietra? No. Se la mia canzone può spiacere, non è certo a un ex combattente, signor Faber».

Purtroppo a Boris Vian verrà fatta giustizia solo dopo la sua morte, tre anni dopo, per la precisione, nel 1962, quando la Francia tolse la censura. Nel frattempo c’era stata l’infame guerra – persa anche quella – contro il popolo algerino. In coincidenza dei moti di contestazione a Berkeley del 1966, «Le deserteur» rivedrà la luce grazie al terzetto Peter Paul and Mary, che la portò a simbolo di protesta contro la guerra del Vietnam.

«Il disertore» ebbe l’onore di innumerevoli versioni in altre lingue con i più svariati interpreti. Nel 1964 fu incisa in italiano per la prima volta – in versione originale senza la strofa edulcorata – da Margot, al secolo Margherita Galante Garrone, moglie di Sergio Liberovici, fondatore, insieme a Michele L. Straniero, del Cantacronache, gruppo storico di poeti e musicisti sorto per valorizzare la canzone italiana nell’impegno letterario e sociale. Il Cantacronache fu considerato da Umberto Eco la fucina della canzone d’autore italiana. A Margot fecero seguito le versioni tradotte da Paolo Villaggio, da Luigi Tenco, la cui versione sarebbe rimasta inedita fino al 1979, dal poeta livornese Giorgio Caproni, da Giangilberto Monti e infine da Giorgio Calabrese, che la fece interpretare da Ornella Vanoni. In seguito tale versione fu ripresa e incisa da Ivano Fossati per il suo album «Lindbergh». Joan Baez fece grande scalpore portandola alla ribalta in molte marce per la pace, visto che i versi non sono proprio “pacifici”.

L’antimilitarismo di Boris Vian si protrae nel tempo e senza tempo, mentre alla guerra fredda e a quelle calde si sostituiscono oggi operazioni dette di “polizia internazionale” o una presunta lotta al terrorismo.

Marlon Brando, interprete di «Apocalypse Now», il film di Francis Ford Coppola, disse: «Non capirò mai come possano addestrare i ragazzi a bombardare dei villaggi con il napalm e poi non lasciare che scrivano la parola “cazzo” sui loro aerei».

Più lapidario lo scrittore svizzero Friedrich Durrenmatt: «Lo Stato che t’insegna a uccidere, si fa chiamare patria».

E lo stesso Boris Vian, rispondendo ironicamente a quel consigliere Faber, ebbe modo di sottolineare: «Ma chanson n’est nullement antimilitariste, mais, je le reconnais, violemment pro-civile» cioè la mia canzone non è affatto antimilitarista, ma, lo riconosco, violentemente pro-civili.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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