Ci manca(va) un Venerdì – 9

Dove un astrofilosofo del calibro di Fabrizio Melodia risponde alle provocazioni oppure si inventa qualcosa; oggi parte da Jung, passa per un certo Pkd e finisce con Ah (…mica vi posso anticipare tutto)

 

Ieri sono andato in soffitta a rimettere a posto la mia libreria personale, la quale – similmente a quella del mio rivale diretto Martin Mystère, noto detective dell’Impossibile oltre che bibliomane incallito – rivaleggia per disordine e numero di volumi presenti.

Sistemando la sezione Psicologia, come per magia cade sul mio piede un ponderoso testo Bollati-Boringhieri, che riconosco immediatamente per forma e colore. E’ un testo del celebre psicologo e filosofo svizzero Carl Gustav Jung, figlio putativo prediletto di Sigmund Freud, nonché promessa mancata a proseguire sul sentiero del padre della psicanalisi e dunque reo di parricidio intellettuale del maestro-padre.

Il volume si apre su una pagina ben precisa e il mio occhio cade su una frase che riporto fedelmente.

«Il genere umano non può sopportare troppa realtà» scriveva Carl Gustav Jung, qui grande ispiratore nientemeno che di Philip K. Dick, il quale infatti consigliava caldamente i testi junghiani (con quelli alchemici e di metallurgia medievale) ai giovani scrittori, oltre alla doverosa lettura di Van Vogt e di Ernest Hemingway.

«Lo strumento fondamentale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se puoi controllare il significato delle parole, puoi controllare le persone che devono usare le parole» scriveva infatti Alice… no scusate volevo dire il buon Phil nella sua nota conferenza-saggio «How to build a universe that doesn’t fall apart two days later» traducibile in «Come costruire un universo che non cada in pezzi dopo due giorni».

Parole molto sagge e risposta necessaria, se si pensa ai testi fondamentalmente junghiani di Pkd, tutti all’insegna della consapevolezza che il reale è illusorio e della dissoluzione della coscienza.

Gli eroi di Dick naufragano nel mare del nulla, mentre cercano in ogni modo di mantenere le proprie identità, ben sapendo (spesso) quanto esse stesse siano fittizie.

Garson Poole impazzisce scoprendo che è un androide, mettendosi a giocare poi con il suo nastro di realtà fino ad arrivare alla dissoluzione di se stesso, in perfetta corrispondenza con quanto detto da Jung.

Altri “eroi” dickiani trovano una via di salvezza nel comprendere quanto la loro stessa illusione sia necessaria al mondo per esistere, come notato bene da Nobosuke Tagomi in «La svastica sul sole» e da Rick Deckard in «Gli androidi sognano pecore elettriche?». Entrambi arrivano a vedere la propria vita come diretta finzione di… una illusione, dove alla fine un atto di umanità o d’amore – come portare una ranocchia alla propria moglie – possa significare una via di salvezza in una molteplicità che continua ad annullare ogni certezza.

Per concludere junghianamente: «C’è qualcosa di più importante della logica: l’immaginazione» amava dire il grande Ah… e se non lo avete capito è Alfred Hitchcock.

Una immaginazione che porta a uscire dal luogo angusto del proprio corpo per abbracciare l’essenziale caos che è il mondo in fase di decomposizione (e forse ricomposizione?) dove il “ruolo” più difficile è amare il caos così come è.

 

Redazione
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