Come diventare esseri umani

Narmada Baldeva Gond, 60enne indiana, si era sempre sentita “predestinata” alla deprivazione e allo sfruttamento. Analfabeta, contadina del gruppo aborigeno Adivasi (una delle popolazioni più disprezzate e svantaggiate dell’intero continente), espulsa dalla foresta che dava da vivere a lei e ad altre migliaia di persone, doveva cercare di sopravvivere in città guadagnando meno di un euro al giorno con lavori di fatica. Per molto tempo, Narmada ha pensato che dignità e rispetto erano parole che non potevano applicarsi ne’ a lei ne’ agli altri Adivasi. Oggi, Narmada è riconosciuta come colei che ha ridato orgoglio e speranza all’intera comunità.

Vent’anni fa, la donna partecipò a un programma di seminari organizzato da “Ekta Parishad”, un’organizzazione gandhiana, che aveva come scopo l’incoraggiare le masse rurali indiane a prendere voce nello spazio democratico. Narmada scoprì che la sua povertà non era un effetto del karma, non era fato invincibile, ma era il prodotto di varie condizioni sociali ed economiche che potevano essere cambiate.

Ekta” significa “unità” e “Parishad” può essere tradotto come “forum” o “spazio.”: il nome riflette il convincimento che l’associazione di base sia “lo spazio perfetto in cui piantare e nutrire i semi dell’unità e della nonviolenza che possono creare cambiamenti positivi a livello sociale, politico ed economico”. L’organizzazione attualmente federa 11.000 gruppi comunitari e ha altre svariate migliaia di membri individuali.

Pochi anni più tardi, Narmada convinse 200 famiglie Adivasi che vivevano in condizioni di assoluta miseria a occupare terreni inutilizzati. L’opposizione al suo progetto fu condotta con forza e con ingente dispiego di forze dell’ordine: a ogni assalto gli occupanti risposero in maniera nonviolenta e nonostante gli innumerevoli ostacoli posti alla loro azione, alla fine ottennero di poter restare dov’erano e di coltivare quelle terre. Il nuovo villaggio di Chilghat era nato. Narmada fu riconosciuta come leader dalla comunità Adivasi, cosa che la spinse a istruirsi con un impegno incessante e a creare un “panchayat”, un consiglio di villaggio in cui fu eletta.

Nel 2007, Narmada fu tra gli organizzatori di una marcia pacifica che durò trenta giorni. La marcia portò a Nuova Delhi 25.000 braccianti disoccupati che reclamavano il loro diritto alla terra, all’acqua e alla foresta. Grazie a questa azione fu istituita una Commissione nazionale per la riforma agraria e sensibili cambiamenti furono portati alle leggi forestali, cambiamenti tesi ad assicurare una migliore protezione alle popolazioni indigene. Nel villaggio di Chilghat, a esempio, le famiglie stanno cominciando a ottenere diritti di proprietà sulla terra che coltivano perché le leggi ora prevedono questa possibilità dopo cinque anni di coltivazione di un terreno inutilizzato.

Ma “ottenere buone leggi” spiega Narmada Baldeva Gond “non è sufficiente, perché troppo spesso non vengono applicate”. Questa è la ragione per cui ora Narmada si sta occupando di aiutare a organizzare una nuova mobilitazione generale, che occuperà buona parte del 2012 con azioni dirette nonviolente locali e nazionali, e terminerà con una marcia per la giustizia detta “Jan Satyagraha”. La forza della verità dovrebbe unire, in questa fase finale, 100.000 spossessati che chiederanno al governo di Nuova Delhi di occuparsi dei loro diritti umani.

L’anno scorso Narmada ha avuto un riconoscimento internazionale; era infatti fra le undici vincitrici del 2010 del “Premio per la creatività femminile nella vita rurale”. Il premio è conferito sin dal 1994 dalla Women’s World Summit Foundation a “donne e gruppi di donne in tutto il mondo che mostrano eccezionale creatività, coraggio e impegno nel migliorare la qualità della vita nelle comunità rurali”. Narmada crede che gesti di solidarietà come questo contribuiscano ad attrarre l’attenzione sulle lotte delle donne per lo sviluppo sostenibile, la sicurezza alimentare, la pace e i diritti umani, e che aumentino il sostegno al loro lavoro.

Narmada è la prova vivente che chiunque può rifiutare i limiti imposti dalla cultura, dalla socializzazione di genere e dalle condizioni di nascita e darsi potere da sé. E’ la nonviolenza, dice l’attivista, che le ha permesso questo: “Con Ekta Parishad scoprimmo un altro mondo. Eravamo così ignoranti e così spaventati, ma ora i nostri occhi si sono aperti. Da schiavi condannati a vivere negli slums di Delhi o Mumbai, siamo diventati esseri umani, fieri di lottare per i nostri diritti”.

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