Da «Andromeda» a «Baywatch Nights»: le…

serie tv di sci-fi dimenticate

di Fabrizio Melodia

 

Alle volte succede. Serie tv di fantascienza con ottime idee di partenza, iniziano con il botto e poi vanno a fondo. Al contrario, altre che decollano maluccio, con un buon lavoro dietro alle quinte degli sceneggiatori – autentici supereroi dei serial adesso per fortuna meno sfruttati e sottopagati – di registi, attori e geniali tecnici degli effetti speciali riescono a volare alto.

Sento voci: ecco, adesso torna a parlarci di “Star Trek”, sempre la solita minestra di fagioli, che te possino…

Beh, ci siete andati vicino. Ma procediamo con ordine. 

È bello girare per librerie dell’usato: spesso a poco prezzo si trovano chicche con le quali passare belle giornate. Con la tv – nonostante l’epoca dell’on demand, dello streaming, della pirateria – purtroppo a volte bisogna affidarsi alla lungimiranza delle emittenti tv anche via web. Ed ecco apparire serie tv a volte ingiustamente dimenticate.

Iniziamo con «Andromeda» (trasmessa nel 2000) voluta nientemeno che da Majell Barrett, la vedova di Gene Roddenberry, storico creatore di «Star Trek».

Sento voci: Ecco, lo sapevamo.

Ma Roddenberry non ha scritto solo dell’Enterprise; avevo già parlato in bottega della sua serie paranormale sci-fi horror «The outer limits». Sua moglie, che bene lo conosceva, chiese allo scrittore Robert Wolfe di sviluppare un’idea che Roddenberry aveva avuto agli inizi degli anni Settanta, dopo la breve meteora delle tre stagioni originali di «Star Trek» e del fallito tentativo di lanciare una nuova serie. Nacque così una serie tv che, nonostante le 5 più che dignitose stagioni non raggiunse mai un successo stratosferico, rimanendo di nicchia.

La storia si sviluppa sulla nave spaziale Andromeda Ascendant guidata dal capitano Dylan Hunt, interpretato dal bravetto Kevin Sorbo noto ai più per aver contribuito al successo della serie tv «Hercules». L’astronave Andromeda si muove in un futuro remoto, dove presidia alla sicurezza del Commonwealth dei Sistemi (la brutta copia della Federazione Unita dei Pianeti?) minacciato dai temibili Magog e dai terribili Nietzscheani (e qui si desta il mio orecchio sonnacchioso di “Astrofilosofo”).

L’Andromeda rimane intrappolata in un buco nero e si ritrova sbalzata in avanti di tre secoli, dove il capitano Hunt e il suo equipaggio trovano un Commonwealth distrutto. Il loro compito, tutt’altro che da poco, sarà di restaurare la civiltà.

Decisamente si presenta come una serie diversa da «Star Trek», forse figlia di quelle idee trekkiane del crollo della civiltà e di paradossi temporali che hanno dato origine ai migliori episodi come l’universo alternativo di «Specchio, specchio» oppure «La città sull’orlo dell’eternità».

Nonostante l’impegno degli sceneggiatori e un budget contenuto, non riuscì a tenere il passo con altre serie tv rivali, come l’arci noto reboot di «Battlestar Galactica».

Altro discorso per una serie tv che ho amato molto e che in Italia è andata in onda a singhiozzo e a orari improbabili, con ben poca accortezza da parte della RAI, che ha poi cercato di rimediare trasmettendo su RAI 4 tutta la prima stagione completa. Sto parlando di «Babylon 5» datata 1994, scaturita dalla folle mente del produttore e sceneggiatore J. Michael Straczynski, e che annoverava come consulente quel ragazzaccio di Harlan Ellison, colpevole anche di alcuni dei migliori episodi di «Star Trek».

Con lo sguardo di oggi la serie a molti farà sorridere per effetti speciali meccanici, pupazzi, modellini e quanto altro non sia computer grafica. Ma le storie sono quanto di più coinvolgente si possa chiedere.

Contrariamente a serie simili, «Babylon 5» puntava a raccontare storie interconnesse fra loro e di ampio respiro, non concentrate in singoli episodi. Personaggi ben caratterizzati che durante la serie hanno uno sviluppo personale armonico con i cambiamenti a livello d’ambientazione.

La vicenda è ambientata nella terza era dell’umanità, alla fine della guerra fra terrestri e Minbari. Dopo la fragile pace, viene realizzata la stazione Babylon 5, vero porto franco per gli scambi commerciali e la diplomazia politica, presidiata da un contingente militare. Purtroppo i conflitti fra le varie specie aliene e gli intrallazzi per dominare la galassia minacciano costantemente la pace. Non ultimo, c’è un episodio molto particolare della prima stagione, in cui gli operai che garantiscono la manutenzione della stazione incrociano le braccia dopo un brutto incidente sul lavoro, scioperando per avere condizioni lavorative in sicurezza. Troppo comunista, vero?

E ci risiamo con «Star Trek», visto che William Shatner – il noto capitano Kirk – decise a un certo punto di sfruttare la propria notorietà creando il franchise mediatico «TekWar» (l’assonanza è limpida) inaugurato all’inizio con una serie di libri scritti non da Shatner ma da Ron Goulart, qui in veste di vero “ghost writer”. Seguirono fumetti, videogame e una serie tv di cui si persero le tracce, magari inghiottita dal solito e provvidenziale buco nero… degli ascolti.

Andata in onda per due stagione, dal 1994 al 1996, la serie è ambientata nell’anno 2045: si incentra sulle vicende dell’ex poliziotto Jack Cardigan, incastrato per contrabbando di Tek, una droga pericolosa e illegale.

Scontata una breve detenzione in ibernazione, Jack viene assunto come investigatore privato dalla azienda di sicurezza Cosmos, il cui direttore e fondatore è interpretato dallo stesso William Shatner, che gli ha garantito prima del tempo di uscire fuori dal frigorifero. Con la sua vita distrutta, Jack accetta il nuovo lavoro e ingaggia una personale battaglia contro i contrabbandieri di Tek, per riabilitare il suo nome.

La critica stroncò la serie, considerata un tentativo poco riuscito di rivitalizzare il genere “crime” mescolandolo con la fantascienza cyberpunk. Eppure i 22 episodi trasmessi funzionano: magari le storie non saranno il massimo dell’originalità ma risultano godibili. Una seconda possibilità la meriterebbe di sicuro, con i produttori giusti e validi showrunners.

E veniamo a una serie davvero sfortunata, cancellata nell’ottobre 2009 e della quale ricorre l’anniversario.

Sto parlando di «Defying Gravity», prodotta dalla Abc, una serie tv considerata scherzosamente una “Grey’s Anatomy” dello spazio, forse perché la nota serie medical era prodotta proprio da loro.

«Defying Gravity» segue le vicende di otto astronauti, quattro uomini e quattro donne, intenti in una missione spaziale intorno al sistema solare. Degno di nota è l’espediente narrativo, ovvero come un reality trasmesso dall’astronave verso la Terra.

A rendere complicate le cose semplici, tutti gli astronauti sono dotati di un dispositivo chiamato Halo (Hormone Activated Libido Oppressors) che sarebbe servito a evitare i contatti extraprofessionali fra di loro.

Peccato però che gli episodi si dipanino proprio sui rapporti interpersonali che inevitabilmente si instaurano fra i partecipanti alla missione, i quali trasportano qualcosa di assai misterioso e segreto chiamato Beta, che avrebbe una notevole influenza sulla missione stessa. Purtroppo non sapremo mai cosa trasportavano, visto che dei tredici episodi in programma ne andarono in onda solo otto. Peccato.

Menzione finale per «Baywatch Nights» (1995) nato come spin off della più nota «Baywatch», successo mondiale pluripremiato. Qui si tentò una operazione commerciale per dedicare una serie tutta sua al personaggio principale, il bagnino poliziotto Mitch Buchannon (interpretato da David Hasseloff) che apre una agenzia investigativa,  insieme al collega Ellerbee, in un nightclub, giusto per ricreare l’atmosfera delle bagnine sinuose.

Successo scarso e la produzione corse ai ripari con una svolta inaspettata e che fa entrare la serie nel genere sci-fi: cercarono d’imitare il successo della serie tv «X-Files» introducendo alieni, vampiri e, certo che sì, mostri marini.

Il risultato è un godibilissimo prodotto trash che consiglio di guardare quando si è tristi, anche per godere della bella presenza dell’attrice Angie Harmon, nota ora per molti ruoli da protagonista nelle serie tv «Rizzoli & Isles» e «Law and order».

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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