Danilo Dolci: lo Stato, il popolo e l’intellettuale

Il libro di Antonio Fiscarelli sarà presentato il 18 agosto a Finale Ligure.

Parole magiche di Susanna Coppolecchia

Un testo che accende domande, ispira pratiche, invita alla cura del reale.

Ci mostra come Danilo Dolci abbia incarnato un’idea rivoluzionaria: l’educazione come atto politico, come forma di giustizia, come creazione collettiva di senso.

In questo lavoro intenso e appassionato, Antonio Fiscarelli ci accompagna nella vita e nel pensiero di Dolci, intrecciando parole, esperienze e visioni con uno sguardo profondo e necessario.

Una lettura imprescindibile per chi crede che cambiare il mondo sia ancora possibile cominciando da come ci relazioniamo, da come parliamo, da come sogniamo insieme.

Nel cuore di un’epoca in cui la velocità disgrega le relazioni e le parole sembrano perdere la loro forza generativa, la figura di Danilo Dolci emerge come un richiamo potente a un’educazione fondata sulla responsabilità, sull’ascolto e sulla nonviolenza.

Poeta, sociologo e attivista civile, Dolci ha saputo coniugare pensiero e azione in una pratica pedagogica r a dicalmente trasformativa: la maieutica reciproca.

In un contesto segnato da disuguaglianze e smarrimenti, la proposta dolciana si configura come una via per ripensare il ruolo dell’educazione pubblica, della parola e del dialogo nella costruzione di un tessuto sociale vivo, plurale e democratico.

Educare, significa interrogare, coabitare l’incertezza e generare spazi di libertà condivisa. In questo senso, la sua eredità ci riguarda ancora, e forse più che mai.

Due parole dell’autore

Parlare di Danilo Dolci non significa quasi mai parlare di lui. Oppure parlare di lui significa sempre parlare di storia sociale, politica e culturale. Distinguere Danilo Dolci dalle sue iniziative e le sue iniziative da quelle dei collettivi e degli individui con cui ha collaborato è quasi impossibile; ancor più difficile è distinguere la sua personale esperienza dall’esperienza collettiva in senso lato, il suo pensiero e la sua concezione della società dalla moltitudine di punti di vista che egli per decenni ha incorporato valorizzando ne i soggetti, dando voce non solo agli ultimi ma anche a chi con questi ultimi ci lavorava, in un altro modo, con altri approcci, creando profonde radici in cui società e cultura diventano un organismo a se stante, in cui la cultura radica nei cuori prima di ramificare nelle menti. Nella parabola di Danilo Dolci, se uno vuole davvero approfondirla, si incontra in primo luogo una molteplicità di cosmi, gli universi intimi di persone che prima di lui forse neanche sapevano di essere archivi viventi di saperi inesplorati…

Sì, con Danilo Dolci la ragione si apre all’immaginazione, i concetti si fanno metafore, e viceversa, e nello sviluppo di questa dialettica l’esperienza impone la verifica, in un laboratorio condiviso: la verifica impone l’errore – e l’errore fa crescere la ricerca – ma soprattutto, condivisa, favorisce l’osservazione dei dettagli e una gestione più fertile della complessità umana. Non solo, l’esperienza rivela le possibilità dell’invenzione, della creazione, delle strutture portanti dell’humanitas in quanto specie creativa. L’invenzione implica necessariamente l’alleanza delle forze della ragione e dell’immaginazione. Per la visione di Danilo Dolci, la formula “L’imagination au pouvoir“, che iniziò a circolare, nel ’68 , è senza dubbio una infelice espressione di un pensiero castrato, di una coscienza parziale della persona. Perché ci sia sviluppo conforme a natura è necessario lo sviluppo organico della persona, e quello della persona nel gruppo, nel gruppo e nella comunità, nella collettività nazionale e internazionale: ma sviluppo creativo organico democratico maieutico significa che ogni gruppo deve tendere agli altri e questo implica anche una dialettica dei gruppi “portanti”…

Sì con Danilo Dolci si affondano le radici nell’humanitas nel senso stretto del termine, in questo radicarsi si aprono orizzonti che indicano la strada da intraprendere: nello scavare in profondità sgorgano zampillano gli orientamenti. Bisognerà pure intendersi sugli approcci necessari a questi scavi. ​E forse anche sul fatto che certe radici vanno necessariamente, anche conflittualmente recise, divelte, perché delle nuove possano attecchire. Si tratta anche di approfondire un comunicare non solo per comunicare, ma per cambiare il mondo che è in ciascuno di noi e quello in cui ciascuno di noi è gettato insieme agli altri sin dalla nascita. Probabilmente ci vorrà ancora del tempo per capire tutto ciò ed agire di conseguenza. Ma penso che prima o poi ci riusciremo. Per ora ci tocca solo sognarlo, evocarlo​, contemplarlo all’orizzonte.


Antonio Fiscarelli

Stralci

dal capitolo ‘’Radici e orizzonti della scienza nuova: coscienza e co-scienza’

Ogni individuo forgia la sua personalità nei climi che abita e che lo abitano dentro quotidianamente, in una condizione in cui non è assodato che possa distinguere, in sé, ciò che proviene dall’altro da sé. Egli «cresce secondo il modello ideale che ha in sé, e secondo il modello ideale che si formano gli altri di lui, cioè i nutrimenti e le pressioni culturali-morali che gli altri esercitano su di lui». Anche il contrasto tra «modelli ideali» e «bisogni immediati» è di centrale importanza per lo «sviluppo della coscienza». Possiamo dire che per Dolci la vita dell’individuo è caratterizzata da determinati vissuti conflittuali, nel cui corso la coscienza forma ovvero progetta e proietta dialetticamente se stessa nel mondo, nel suo fare e pensare, ma non necessariamente in modo «creativo». L’avventura dell’individuo nel mondo è conflittuale a vari livelli, ma soprattutto a livello dei rapporti di produzione, poiché il lavoro è l’attività principale con cui può far fronte ai suoi bisogni di sussistenza e perché nella società contemporanea si articola in un sistema non poco sofisticato, che certo favorisce meno la creatività che l’appiattimento. In questa dialettica socio-esistenziale, in cui ideali e bisogni, teorie e pratiche si mescolano, la coscienza stessa sembra ritrovarsi in uno stato confusionale. Per quanto «ricerca» ed «esperienza dell’umanità» abbiano raggiunto notevoli risultati, fornendo non poche «indicazioni» e «princìpi fondamentali», questi «non sono stati rapportati in modo organico, dosati in giusta misura», e per questo «stanno ammucchiati in noi confusamente» […]

Ora, malgrado le pressioni dell’ambiente, in cui prevalgono «gli incontri-scontri del lavoro e della vita quotidiana», la realtà umana non soccombe necessariamente, perché è al contempo un organismo particolarmente assorbente, se non fagocitante, capace di «captare milioni di impressioni e di dati», e una macchina calcolatrice, una specie di «radar-calcolatore», capace di «raccoglierli ed elaborarli spesso con notevole esattezza» e con ciò affinare in continuazione le sue antenne. Certo l’umanità non possiede né «la verità assoluta», né «il metro perfetto» per definire i suoi bisogni «legittimi e validi», ma ha sempre davanti a sé la «possibilità di aprirsi», di allargare gli orizzonti e di trasformare nella sua interiorità tutto ciò che assorbe dall’esterno. L’uomo, per Dolci, è un organismo sempre capace, anche nelle peggiori condizioni, di «osservare, analizzare, ordinare, ricordare, confrontare, connettere, bilanciare, verificare, sintetizzare, intuire, ipotizzare» (nota 1). Tutto ciò lo rende un organismo singolarmente sviluppato sul piano intellettuale, l’unico che costruisce conoscenza in senso stretto. La nozione stessa di coscienza è spogliata dalle connotazioni derivanti da una certa tradizione filosofica: «Il termine coscienza, ora ripiegato in certe culture solo in senso introspettivo, va anche alzato, spalancato e ampliato alla partecipazione, come suggerisce la radice primitiva del vocabolo». In altre parole, per Dolci, co-scienza è conoscere insieme, come essere è essenzialmente con-essere e fare insieme. Cioè nell’essere-fare insieme si formano gruppi, associazioni, movimenti non solo per fini pragmatici, ma anche per riorganizzare questa materia in continua evoluzione che è la co-scienza. È chiaro che, in questa prospettiva, un certo paradigma moderno della conoscenza, incentrato principalmente sulla funzione dell’io pensante o, se si preferisce, del cogito, è prodigiosamente ridimensionato, se non anche destituito del suo valore storico. Ciò che si può senz’altro riassumere in questa affermazione di Dolci: «Gli uomini possono davvero imparare solo se vogliono cercare e sanno come cercare insieme».

Dalla ‘Prefazione’ – di Luigi Bonanate

Un principio di “collaborazione” spontanea dovrebbe regolare i nostri rapporti con la natura e i suoi diritti, natura che a sua volta vanta con noi dei “crediti”, per così dire, in termini di salvaguardia e di conservazione, tanto più che è grazie a loro che una buona parte della nostra alimentazione ci è garantita. La vicenda della diga sul fiume Jato è l’origine e allo stesso tempo il perfezionamento spontaneo culturale del progetto «rivoluzionario» di Danilo Dolci. Il fiume Jato simboleggia la povertà e la fame degli abitanti, la politica locale, la capacità di mobilitare i contadini e di coinvolgerli nella lotta per il lavoro […]

Quella vicenda è lontana da noi tre quarti di secolo; la Sicilia nella quale Dolci iniziò la sua opera non è quella che conosciamo noi oggi, più ricca, più sana, meglio organizzata, ma sempre ugualmente “politicizzata”, come se il tempo sia trascorso troppo lentamente. Ma se le riforme sociali hanno come fine l’equi-distribuzione delle risorse e dei beni, Dolci risulta essere stato un rivoluzionario perché la sua opera è consistita nel costruire uguaglianza e nell’abbattere le disparità, nel proporre – nei fatti e non solo nelle parole – compartecipazione democratica che è in se stessa un’opera architettonica, cioè il lavorio che serve per costruire qualche cosa di nuovo (su questi elementi inizia la seconda parte del libro a lui dedicato). Impresa disperata ma non utopistica: difficilissima perché vuole trasformare la nostra socialità (e dove arriva ci riesce pure, appunto), che ciascuno deve istituire non solo con un generico ‘altro’, come sovente si dice, ma con tutti gli altri. L’incontro reciproco fra io e altri darebbe vita a un vero e proprio «cantiere», mai finito, incessantemente in costruzione, dove tutte le attività tendono alla generazione di un vero e proprio “nuovo mondo” davvero rivoluzionario.

Un mondo immenso, uno solo, uguale per tutti, contiene in sé quello microscopico delle vicende umane individuali, familiari, sociali, come se tutti insieme si potesse lavorare all’architettura rivoluzionaria del cantiere di Dolci. Ma divisioni, separazioni e ostilità non sono sparite. Da una parte ci saranno gli Stati: con il monopolio della violenza che detengono plasmano o deformano le società (nel libro di Fiscarelli, la funzione di questo monopolio si avverte con estrema nitidezza, al riguardo dello Stato italiano). Gli Stati organizzano gerarchicamente i rapporti dei cittadini; le società approntano gli strumenti per consentire l’integrazione dei cittadini. Ma come possono gerarchia ed eguaglianza collaborare? È facile dire subito che è una vana speranza […]

E Fiscarelli? Che dire del suo ruolo nella ricostruzione della vita e delle opere di Dolci, in un mondo come il nostro? Senz’altro, chi lo conosce non potrà fare a meno di notare le affinità e la strana combinazione fra il ricercatore e il suo oggetto di ricerca. Sembrano quasi lo stesso soggetto… o forse ciò è solo l’impressione che lascia uno studioso che conosce bene la sua materia. Fiscarelli ha iniziato il suo percorso di ricerca, in Italia, con filosofi come Vattimo e ha continuato in Francia con pedagogisti come Philippe Meirieu (pioniere della moderna pedagogia francese). Si è occupato di autori come Nietzsche, Hegel, Sartre. È biografo e filosofo. I suoi lavori scientifici (in italiano e in francese) riguardano i problemi della scuola, questioni pedagogiche e filosofiche. Ma anche di lui andrebbe detto che non è stato sempre e solo sui libri e molto poco in accademia. Anzi, forse non è un caso che sia toccato proprio a lui occuparsi dell’opera di Danilo Dolci su un piano scientifico, perché anche lui si è mosso e si muove azione e pensiero. Me lo ricordo sempre indaffarato in contesti sociali marginali, in Italia e all’estero, in Francia, in Inghilterra, in Sicilia, in Puglia. Talvolta mi sono chiesto perché ci siamo incontrati solo ad Asti, visto che studiava a Torino quando io non ero ancora in pensione. Pur sempre immerso in attività impegnative, non ha mai smesso di studiare, ricercare, scrivere… Il piano delle sue ricerche è parecchio ampio, sconfinato, ma tutto inclinato verso un approccio pragmatico alla realtà. Anche lui nel sogno di cambiare la società, ha coniugato natura, società e cultura; anche lui ha inseguito e insegue un “mondo nuovo”, nel quale combatte come un eroe popolare ma anche come un lucido realista.

Si potrebbe concludere che Fiscarelli, come Dolci, sia un visionario? Sì, certo, ma ciò che l’uno vide allora e l’altro sta contemplando oggi, è vero – e non è ancora conquistato o realizzato. Che cosa resta di tutto ciò che in questo libro è descritto con tanta critica gentilezza da farci desiderare di poter rivivere, dell’arco temporale preso in considerazione, certi momenti che, in sostanza, hanno determinato il nostro presente? La Sicilia, un po’ meno povera e violenta, forse, ma la mafia non è stata sconfitta… La società contemporanea, con meno poveri, forse, ma sempre ugualmente violenta; il mondo meno bellicoso, forse, ma non c’è da accontentarsi… In tante parti del mondo sembra che le cose abbiano da tempo smesso di migliorare, come se al progresso materiale stia corrispondendo un degrado morale, e l’ingiustizia abbia scacciato la giustizia e l’onestà.

Se così è, rischiamo che le cose del mondo peggiorino. Ma Dolci ci direbbe allora: siamo stati “mal-educati”. E se non possiamo cambiare la storia già vissuta, almeno una cosa si può fare: contare sui giovani e i bambini se si educheranno reciprocamente evitando i nostri errori. Il futuro è chi è ora bambino o sta per nascere. Daremo loro il benvenuto, ma bisognerà fare in modo che siano felici.

Una recensione

Danilo Dolci per esteso – di Francesca Rigotti

https://www.doppiozero.com/danilo-dolci-per-esteso

Un evento

Presentazione del libro il 18 agosto 2025, a Finale Ligure, Sala Gallesio, via Tommaso Pertica 24, a caura di Vita Nova, a.p.s e Coordinamento Savonese NoRearmEu

DANILO DOLCI. LO STATO, IL POPOLO E L’INTELLETTUALE

Autore: Antonio Fiscarelli

Prefazione di Luigi Bonanate

Edizioni Castelvecchi, 2025 – pp. 350

Foto di copertina di Elena Norman

https://www.castelvecchieditore.com/prodotto/danilo-dolci-lo-stato-il-popolo-e-lintellettuale/

In “bottega” cfr , Danilo Dolci e la Sicilia…, «Chi gioca solo» (non vince), Danilo Dolci…, Scor-data: 25 marzo 1970, Scor-data: 30 dicembre 1997 e Danilo Dolci: passaggi in Sardegna ma anche Niente nasce come i funghi: Belice 1968, il prima e il dopo e Vince chi resiste alla nausea (uno scritto di Danilo Dolci)

 

Redazione
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