Di che antimafia c’è bisogno?

di Gian Marco Martignoni

Con la graduale trasformazione dei partiti di massa in partiti personali dei leader è lentamente cambiata la natura e la composizione del movimento antimafia, poiché

 

in quest’ultimo trentennio si è sviluppato – come segnala l’interessante pampleth di Nando Dalla Chiesa «Manifesto dell’Antimafia» (Einaudi: 110 pagg, 10 euri) – un «poliedrico universo antimafioso» che capillarmente si è diffuso in varie forme e modalità su tutto il territorio nazionale, riuscendo a mobilitare decine di migliaia di persone (fra cui molti giovani).

Universo antimafioso che non trova normalmente riscontro e visibilità nelle pagine della stampa tradizionale o del mezzo televisivo, ma promuove e diffonde le sue molteplici iniziative mediante l’ambiente della rete informatica.

In particolare spicca il ruolo dell’associazione Libera, fondata nel 1995 da don Luigi Ciotti, che oltre a promuovere gli “Stati generali” dell’Antimafia, ha dato vita a una vera e propria economia antimafiosa, sostanzialmente no profit, intervenendo positivamente sulla destinazione sociale dei beni confiscati alle mafie. Generando quindi sia nuove forme di imprenditorialità che una mole riguardevole di occasioni di lavoro, specialmente in territori ove la disoccupazione è dilagante come nel Sud d’Italia, oltre a favorire la diffusione di un’ampia rete distributiva legata al commercio equosolidale.

Al contempo – grazie all’elaborazione teorica del Centro Documentazione Peppino Impastato, diretto da Umberto Santino, che ha veicolato in chiave marxista i concetti di accumulazione e borghesia mafiosa, e al contributo ormai più che ventennale della rivista «Narcomafie» – la parte più sensibile e avanzata del Paese si è dotata di quegli strumenti di conoscenza scientifica necessari per combattere il dilagante e tentacolare fenomeno mafioso.

Se come sostiene Dalla Chiesa «la forza vera della mafia sta fuori dalla mafia» (poiché vi è un vasta area grigia della società, composta dalle figure del complice, del codardo e del cretino che ha favorito e ne favorisce l’espansione in tutto il Centro-nord) compito ambizioso di questo «Manifesto dell’Antimafia» è l’individuazione dei caratteri distintivi di una società antimafiosa nonché comprendere con quali proposte confrontarsi e sfidare la politica, l’imprenditoria e la magistratura.

Per quanto concerne le contraddizioni interne ai magistrati, che appaiono sempre più un freno al dispiegarsi della lotta alla mafia, riprendendo le intuizioni di Ilda Bocassini in qualità di delegata alla Direzione distrettuale antimafia di Milano, emerge come non possono essere chiamati i magistrati di provincia, senza alcuna specializzazione specifica, a occuparsi e a giudicare problemi di tale complessità, implicanti la non facile dimostrazione del reato di associazione mafiosa.

Sul fronte del mondo imprenditoriale si sono rivelati pura retorica gli inni alle “virtù salvifiche” del libero mercato e della concorrenza, conditi dagli immancabili strali contro la politica corrotta, quando poi la stragrande maggioranza delle imprese – come ha documentato implacabilmente Enzo Ciconte in «‘Ndrangheta padana» – hanno stretto patti o si sono piegati alle intimidazioni e alle minacce delle cosche mafiose. Senza pertanto erigere quelle barriere, fatte di comportamenti concreti e irreprensibili, volte a impedire che le cosche mafiose la facciano da padrone nell’aggiudicazione dei sub-appalti nelle grandi opere in corso non solo nel Nord d’Italia, oppure gestiscano con la loro presenza ingombrante i grandi mercati ortofrutticoli di Fondi (in provincia di Latina) e di Milano.

Infine il capitolo dolente della politica, che Dalla Chiesa aveva già affrontato criticamente nel libro «La convergenza» denunciando come il centro-sinistra nel quinquennio 1996-2001 avesse «progressivamente smontato il precedente clima di mobilitazione e d’impegno istituzionale», delegando i compiti di contrasto alle mafie esclusivamente alle forze dell’ordine e alla magistratura.

Dopo la lunga stagione del berlusconismo, contraddistinta da una profonda lesione del principio di legalità, il fenomeno mafioso non è oggi fra le priorità dell’attuale compagine governativa. Poiché le mafie proseguono in maniera silente nei loro affari legati al narcotraffico e occupano parecchi gangli vitali dell’economia, risulta difficile immaginare un’adeguata azione di contrasto senza un rigenerazione morale e maggiormente partecipata del sistema dei partiti, a partire da una diversa selezione del ceto politico.

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