Tonino Bello: un santo con i piedi per terra, ancora

Il racconto di un fine settimana “con don Tonino Bello”, dal 30 giugno al 2 luglio, a Tortora (parco del Pollino).

di Angelo Maddalena

 


A Tortora, dentro la Chiesa seicentesca dell’Annunziata, e poi nel piccolo chiostro adiacente alla Chiesa, inizia così il fine settimana “con don Tonino Bello”: perché un santo non diventi un santino…ma un passaggio di consegna.

Organizzato da don Giovanni Mazzillo, parroco di Tortora e teologo, animatore della Comunità per la pace o Eremo delle Sarre, dal nome della contrada sopra
Tortora in cui si trova. Dopo un breve saluto del sindaco Antonio Iorio e del neo vescovo Stefano Rega, nel pomeriggio del venerdì 30 giugno, inizia il viaggio sulle orme di don Tonino Bello.

Gianni Novello, che aveva a suo tempo sostenuto la candidatura di don Tonino alla presidenza di Pax Christi, presenta don Tonino con il supporto di due tracce audio dal titolo “A coloro che non contano niente” (si trovano facilmente su youtube), e introduce così: “E’ importante sentire la sua voce per sentire il suo coraggio”, e poi avoca “i piedi”: “Don Tonino ci teneva a guardare dove ci portano i nostri piedi, verso chi, chi frequentano i nostri piedi”.

Don Giovanni Mazzillo che, come Gianni Novello, è stato amico e collaboratore di don Tonino all’interno dell’associazione Pax Christi, dice che don Tonino “era un uomo di una umanità straripante”. Basta vedere un video a caso su youtube digitando “don Tonino Bello” per capire di cosa stiamo parlando. Forse basta guardare i suoi occhi, “la mobilità del volto, gli occhi di don Tonino”; come suggerisce Gianni Novello: “Un’espressività dello sguardo che rievoca gli occhi di Frere Roger e Charles de Foucaud”.

Di questi due giorni di seminario sono interessanti i rimandi. Come quello dei piedi:
nella mia testimonianza di artista sociale del sud, iniziata con una lettura di un passo di don Tonino Bello, ho citato questa frase del vescovo di Molfetta: “Beati i piedi di coloro che annunziano la pace, beati i piedi, non le astuzie politiche”.
In un luogo circondato dalle montagne del parco del Pollino, in un borgo di montagna dell’alto cosentino, con circa di trenta persone partecipanti, c’è un’atmosfera raccolta e popolare: molti i partecipanti del luogo, donne della parrocchia e del circondario, forse sarebbe piaciuto questo clima a don Tonino, lui che ogni sera faceva la ronda per vedere se c’era qualcuno per strada senza casa e senza aiuto, e che si è fatto ipotecare i beni di famiglia per poter aprire una casa di accoglienza, uno che, come ci ricorda Nicla, venuta da Conversano: “A volte dormiva in macchina per ospitare chi non aveva un letto dove riposare le ossa stanche”.

Maria Pia Facchini, sempre nel pomeriggio del venerdì, con il supporto di alcuni spezzoni del docufilm “L’anima attesa”, ispirato alla vita di don Tonino, ci racconta le vicissitudini e la quotidianità, la pedagogia di questo vescovo che scriveva lettere a un giovane di 22 anni ucciso a Molfetta, intitolandola “Lettera a un ladro”, in modo provocatorio, per interrogare la coscienza di quanti si permettono (magari si riferiva a tanti operatori televisivi e giornalisti?) di negare la dignità del nome a una persona, “perché non ha nessuno che lo possa difendere”. E ci ricorda il metodo educativo di don Tonino: “Andava a cercare a casa le persone, che fossero disperati o future figure di spicco, come quando Nichi Vendola, non appena don Tonino diventò vescovo di Molfetta, lo contestò e don Tonino, invece di rispondere “dandomi di testa, come mi aspettavo (…) mi disse: “Ma tu frequenti una sezione di partito? Vengo a trovarti, vengo sull’uscio della tua sezione, sediamoci sul marciapiede, sui gradini, parliamo”.

Nel finale di quel film don Tonino dice “dobbiamo spostare il baricentro fuori di noi”. E lui lo aveva spostato, a tal punto che a dicembre del 1992, con un tumore ormai allo stadio quasi terminale, era partito per Sarajevo – sull’esempio di Francesco di Assisi che era andato a incontrare il sultano Malik al Kamil durante una delle più cruente crociate del medioevo – e aveva coinvolto 500 cosiddetti folli, talmente “folli” da marciare sotto i possibili bombardamenti… dopo le 17, orario oltre il quale nemmeno i caschi blu dell’ONU si avventuravano per le strade di Sarajevo per timore di sparatorie. Gianni Novello cita anche alcuni “slogan” di don Tonino: “Riappropriatevi della città, vivetela” e poi “L’avvenire ha i piedi scalzi”, frase di uno scrittore francese citato spesso da don Tonino. “Il potere dei segni” è un altro “slogan” di don Tonino che poi è diventata una rubrica del mensile Mosaico di pace, rivista di Pax Christi da lui fondata. “Non
si può amare i poveri senza combattere le cause della povertà”, ripeteva spesso don Tonino.

E questa frase è stata apprezzata in particolar modo dallo zio Vincenzo Martino, eremita laico di Tortora, comunista storico che è intervenuto per ribadire l’importanza di vivere dal di dentro le condizioni dei poveri. Ancora prima di morire, nell’aprile del 1993, don Tonino sognava una marcia di tutti i malati di cancro d’Europa a Sarajevo, come a dire: i prossimi alla morte vogliono provocare l’indifferenza dilagante per dire no alla cultura di morte. “Aveva paura della massificazione don Tonino”, ci tiene a dire Gianni Novello.

Stimolava le persone a diventare autonome, mature, responsabili e aperti alla comunità, sulla scia di don Lorenzo Milani. E voleva che si passasse dalla carità personale alla carità politica, discorso che dopo trent’anni papa Francesco ha rispolverato. “Altrimenti”, dice don Tonino dal video del film “L’anima attesa”, “altrimenti è come voler spegnere il fuoco a un uomo con gli abiti che vanno in fiamme”. E’ quel “mordere la vita” che don Tonino professa e pratica, e così facendo infiamma chi lo ascolta. E’ lo stile di molti artisti sociali del sud che ho rievocato nel mio intervento di venerdì sera, partendo dalla lettura del testo “La pace cammina sulle strade del sud”, discorso pronunciato da don Tonino
in occasione della Route dei giovani di Pax Christi del 1985.

Ho preso spunto da tre passi di quel testo per illustrare la repressione e la criminalizzazione dell’arte e della vita di strada (“l’unico bene di cui possono ancora disporre i poveri”, diceva don Tonino); la banalizzazione e la superficialità di
molti comici finti satirici di oggi che raccontano il sud solo sotto forma di luoghi comuni al ribasso, quindi gli uomini del sud sarebbero tutti fannulloni e parassiti, mentre dimenticano di accennare ai molti uomini e donne del sud che lavorano per paghe da fame, e ho citato a tal proposito un articolo di Daniele Luttazzi apparso su Il Fatto quotidiano il 15 febbraio del 2023; questo e altri aspetti ho sviluppato nel libro “Nè matto, né scemo né ubriaco”, da poco pubblicato e allegato al docufilm “Mi sembra di viaggiare con te”, di Gabriele Perni.

Ho fatto l’esempio di certi “poeti” del sud di oggi che speculano sull’abbandono e sul malessere degli abitanti del sud, negando e omettendo sia l’emigrazione in quanto tale che le cause profonde di tanti giovani e adulti che dal sud vanno a lavorare al nord o all’estero, colpevolizzandoli. Ho chiuso il mio intervento rievocando la dignità e la “concretezza” del movimento Notav della Val di Susa, anche perché sarebbero dovuti arrivare
alcuni membri del gruppo dei Cattolici per la vita della Val di Susa, che hanno pubblicato il libro “Prendiamoci cura della casa comune”, un’attualizzazione dell’enciclica Laudatio sì, edito dalle edizioni Emi con una prefazione di Alex Zantoelli.

Nella mattina del sabato è arrivato Francesco Savino, vescovo di Cassano Ionio, che esordisce con un invito a non tacere, riprendendo un altro passo di don Tonino: “Smettiamola di tacere. Ricordiamo che delle nostre parole dobbiamo rendere conto agli uomini, ma dei nostri silenzi dobbiamo rendere conto a Dio”. In certi momenti Savino duetta con don Giovanni Mazzillo, quando citano insieme Karl Rhaner (“Un Dio incosciente che si fa uomo”, “la follia dell’amore di Dio…”), e poi anche Pasolini “profeta laico”, per quanto riguarda la tragedia dell’omologazione culturale che anche don Tonino condannava.

Le parole di Savino, sull’importanza del silenzio come adorazione “ma poi occorre urlare al mondo per non permettere che l’ingiustizia si compia senza obiezioni”, riportano anche allo stile di Francesco di Assisi che, otto secoli fa, aveva avuto l’intuizione, allora rivoluzionaria, di una vita mistica che conciliasse il silenzio per stare con Dio e poi l’erranza per
annunciare il Vangelo. E anche qui ritornano le parole di don Tonino pronunciate a un’assemblea di politici pugliesi a Molfetta, a metà anni ‘80: “Per fare politica occorre essere mistici e artisti”.

Pasolini, invece, invita a capire che la lucidità dell’analisi che si fa parola e immagine, racconto e canto, è molto più potente di tanti gesti narcisistici che negli ultimi decenni hanno sostituito l’analisi della realtà e lo studio, per arrivare a derive di narcisismo politico anche di movimenti con grande visibilità mediatica o di molto ecologismo facile che tende sempre di più a pacificare la coscienza anziché a farsi lotta supportata da lucidità di analisi e di parola che inchioda. E anche qui arriva un altro spunto dal vescovo Savino supportato da don Giovanni Mazzillo: “Lotta e contemplazione”, come diceva don Tonino Bello: “Bisogna essere contemplattivi”.

Oltre che Pasolini e Rhaner, sono stati citati anche Giuseppe Dossetti e politiche culturali dei papati degli ultimi anni: è stato detto che durante il papato di Benedetto XVI era difficile trovare nelle librerie cattoliche libri di Rhaner, mentre con papa Francesco gli stessi libri sono “tornati”!
A Karl Rhaner si riferisce anche don Roberto Oliva, parroco di Praja a mare, quando dice che “la chiesa è ancora troppo clerico centrica, lontana dal Concilio Vaticano II e da don Tonino” e po aggiunge la citazione di Rhaner: “Le chiese devono fare morale senza moralizzare”. Calzante la sua osservazione sulla carenza di elaborazione e di pensiero critico, “pericoloso di fronte a un mondo sempre più complesso”.

“Osiamo l’aurora nonostante la notte”, diceva don Tonino citando Rostand. Savino, a tal proposito, ha ricordato l’importanza dell’obiezione di coscienza di cui si sono quasi perse le tracce, ma che per don Tonino era una pratica quasi quotidiana, personale e collettiva, e quindi Savino parla della sua obiezione di coscienza, come vescovo, ai decreti Salvini sui migranti del governo Conte 1, ma anche al recente decreto Cutro, dopo il naufragio dello scorso febbraio. Mazzillo, nella sua relazione, ha parlato del Regno di Dio che è in mezzo a noi, “profezia che colora di eternità ogni gesto quotidiano” ed è “un anelito progettuale di pace”. Gianni Novello, verso la chiusura, ha ricordato le parole di Pietro Ingrao: “Senza il silenzio anche un grande rivoluzionario può diventare un fanatico”, sempre per rievocare lo stile della “lotta e della contemplazione”.

Si è accennato anche ai collaboratori di don Tonino Bello, che non era un eroe solo, tra gli altri è stato citato Guglielmo Minervini, sindaco di Molfetta che collaborò in varie forme con il vescovo “della stola e del grembiule”. Maria Pia Facchini ha ricordato l’importanza di provare la profezia: “Dio ci premia per le volte che ci abbiamo provato e non perché ci siamo riusciti”. Ogni 20 del mese, ha ricordato Maria Pia, alle ore 20,00, con l’associazione Un’ala di riserva di cui lei è fondatrice e presidente, da anni si incontrano come gruppo parrocchiale per riflettere sul messaggio di don Tonino Bello, ma da qualche anno l’incontro si è esteso a chi è lontano tramite una piattaforma telematica. E poi cita
quel “miracolo delle armi spuntate” di don Tonino che, prima di morire, volle incontrare Vito Alfieri Fontana, della Tecnovar di Bari, un’ ”eccellenza italiana nella produzione di mine
antiuomo”. Da una campagna di pressione architettata da don Tonino dal basso e dall’invito di don Tonino a incontrarlo (l’incontro non avvenne perché don Bello morì poco dopo) scaturì la decisione di Vito Alfieri di chiudere la sua fabbrica, dopo aver messo in sicurezza tutti i suoi operai, e poi lui stesso andò in “missione” nella ex Jugoslavia per andare a sminare i territori infestati anche dalle mine che lui aveva venduto a vari governi di paesi del mediterraneo e Medio Oriente.

E’ questa l’importanza di insinuare dubbi, la fatica del negoziato. Savino ha ricordato gli obiettori di coscienza russi e ucraini, i giornalisti che stimolano chi legge a dubitare, anziché a pensare in modo binario, e qui il pensiero va a Nello Scavo che aveva espresso la volontà di partecipare al seminario per una sua testimonianza, ma è tornato da poco da Kiev e non ce l’ha fatta a venire. Alla fine, viene fuori che don Tonino tutti i venerdì sera faceva una riunione con i vari operatori parrocchiali e sociali, laici e politici, una forma di catechesi che era già un cammino di sinodalità, quello che si sta preparando in questi ultimi due anni all’interno della Chiesa di papa Francesco.

In chiusura del convegno, il maestro Gianvito Tannoia ha suonato l’organo della Chiesa di San Pietro apostolo di Tortora, prima della celebrazione della cresima e della comunione con il vescovo Rega. Tannoia insegna organo e fisarmonica al conservatorio di Matera, al che qualcuno dei presenti ha osservato che don Tonino suonava la fisarmonica, ed ecco che Tannoia ha annunciato di aver suonato la fisarmonica di don Tonino ad Alessano, nella casa museo intitolata a don Bello, nel 2013, in occasione del ventennale della morte, oggi noi abbiamo condiviso un fine settimana con don Tonino nel trentennale e ancora una volta c’è bambino con la fisarmonica nella scena finale del film “L’anima attesa”, e noi continuiamo a vivere un presente con una pace attesa, cioè coltivata, non passivamente ma con un anelito progettuale…

Redazione
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3 commenti

  • bravo Angelo, ottimo articolo, Sì, fu una «gran persona» Tonino Bello, anche per chi come me non è credente (o forse sì, una specie di panteista) e comunque anche per chi è fermamente nemico delle religioni «organizzate» (e dunque integraliste). E benissimo hai/avete fatto a ricordare «la marcia dei 500» su Sarajevo; solo che la faccenda è LEGGERMENTE più complicata (lo so perchè ero appunto uno dei 500); un pochino più complessa e “ricca” … Sarebbe bello ricordare, nel modo più completo, quella “pazzia” oggi che se si marcia è solo per la guerra. Chiedo alle mie compagne/compagni di quel viaggio, di scrivere e/o aiutarmi a ricostruire tutta la vicenda, così poco nota. Lo dobbiamo a Tonino, certo ma potrebbe essere un’utile occasione per guardarci nell’ultimo degli specchi che ci resta, prima della catastrofe finale (la guerra NATO-Russia, per interposta Ucraina, è lo squillante annuncio della catastrofe… possibile che non lo sentiate?).
    PS: fu “santo” don Tonino? E’ la cosa che meno mi interessa, anzi un po’ il termine mi disgusta visto come sono i santi più caratteristici della Chiesa cattolica: fra ignoranti e boia c’è solo da scegliere… Tonino era all’opposto di quei santi.

  • angelo maddalena

    Grazie Daniele, è una sorpresa per me sapere che eri uno dei 500 grandi e mi interessa ancora di più l’invito che fai per una ricostruzione di quelli che c’erano, per i Santi…la tua conclusione mi sembra un po’ sommaria, Francesco e Chiara di Assisi non furono né ignoranti né boia, ma riconosco che ce ne sono di ambigui e poco “edificanti” dietro il manto della Santità, papà Wojtyla potrebbe essere uno di questi, anzi San Giovanni Paolo II, ho scritto un monologo teatrale su padre Pio che scava nel torbido della sua vicenda e della sua persona, però poi ci sono bisogno profondi, irrazionali che non riusciamo a scandagliare facilmente, uno fra tutti il fatto che molti liguri e toscani, fino a qualche decennio fa, erano la maggioranza dei pellegrini che andava da padre Pio, e anche emiliani, terre e luoghi dove c’è un’altra concentrazione di tessuto idrologico comunista, eppure…ci sarebbe da studiare, intanto vorrei ristampare San Giuseppe e San Piopio, di Antonio Strano, nel decennale della Malanotte, cioè il prossimo settembre

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