Donne che corrono…

lasciando i lupi ai blocchi di partenza

di Maria G. Di Rienzo

«Non ho una tuta ne’ un paio di pantaloni, così per correre mi arrotolo il phanek (una veste detta anche sarong) alle ginocchia. Corro per tre chilometri, due o tre volte al giorno. Quando ho iniziato la gente mi guardava sorpresa o rideva, perciò preferivo correre prima dell’alba, quando c’erano meno persone per strada. Ho passato tutta la vita nell’angolo oscuro di un oscuro villaggio del remoto Stato di Manipur: non avrei mai pensato, neppure nei miei sogni, di diventare una sportiva».

Salam ongbi Patamo, che così racconta, oggi non è più solo una celebrità locale. Ha vinto un bel mucchio di medaglie d’oro e d’argento in gare di corsa (fondo e mezzofondo) in tutta l’India.

«La mia prima gara l’ho fatta un po’ per scherzo. Alcune delle mie compagne di lavoro si erano iscritte a una maratona e mi hanno chiesto di fare lo stesso. Allora avevo 60 anni. La maggior parte di loro era molto più giovane di me, per cui ho pensato volessero prendermi in giro ma mi sono detta: Perché no, se mi vogliono insieme con loro. E con mia sorpresa, arrivai sesta nella categoria “veterane” e vinsi 500 rupie. Il denaro non era importante, lo usai per pagare un buon pranzo alle mie colleghe con cui avevo corso. La cosa davvero importante fu il rispetto che la gente cominciava a mostrarmi. Nei collettivi di donne o di anziane mi sono sempre trovata bene, ma era la prima volta che i miei compaesani mi offrivano un riconoscimento».

Salam ongbi Patamo lavora come cavatrice da quand’era bambina, come numerose altre donne della sua zona: «Lavoriamo sulle rive del fiume Leimakhong, il fiume che consideriamo nostra madre perché ci assicura la sopravvivenza. Setacciamo le sabbie e cerchiamo dapprima le pietre più grosse, poi raffiniamo la sabbia con un secondo setaccio per quelle più piccole. Cominciamo a lavorare molto presto al mattino, facciamo una breve pausa per mangiare e poi continuiamo a lavorare sino al tramonto. La mia vita è stata la vita tipica di una donna di Manipur: moglie, madre, nonna. Io ero la più giovane di quattro figli e sono stata istruita solo al punto in cui sono riuscita a scrivere il mio nome. A 17 anni mi sono sposata con un compaesano e ho avuto una bambina e tre bambini. Mio marito beveva parecchio: a volte tornava a casa ubriaco solo per litigare. Sono rientrata a casa mia molte volte, ma poi finivo per tornare indietro per via dei bambini. Ho passato tante notti nascondendomi con loro fuori di casa, quando lui era ubriaco. Non ho mai pensato di domandarmi nulla sulla mia vita, non ho mai pensato che potesse esserci un’alternativa».

Ma l’alternativa c’era. Un atleta di un villaggio vicino la persuase a partecipare alle selezioni per i campionati nazionali di atletica nella categoria over-60. Salam ongbi Patamo fu selezionata per rappresentare il proprio Stato ai campionati: «Quando sono entrata nello stadio assieme alla squadra di Manipur, con addosso i pantaloncini e la maglietta, a momenti svenivo. Era la prima volta, per me. Non ero mai andata così lontana da casa. Guardavo le altre partecipanti e mi dicevo: Dio, come sono alte, non posso correre con loro. Avevo voglia di scappare e mi maledicevo per essere stata sciocca e aver avuto tanta fretta di fare sport. Ma ormai ero là e ho corso. Più tardi, quando gli altoparlanti hanno annunciato il mio nome, dicendo che avevo vinto, sono scoppiata in lacrime. Ho vinto la medaglia d’oro in tutte le gare a cui ho partecipato: 800 metri, 1.500 metri e 5.000 metri. Ho telefonato alla mia famiglia dopo la prima medaglia, era l’una e mezza di notte… e mia nuora, Kunjamani, si è messa a correre per l’intero villaggio non appena è sorta l’alba, per dirlo a tutti. Quando sono tornata, ad aspettarmi c’erano i miei due fratelli maggiori, Chaoba e Bijoy: li ho visti piangere per la prima volta in vita mia. Oggi, le stesse persone che mi ridevano dietro mentre mi allenavo mi lanciano grida di incoraggiamento quando mi vedono passare di corsa. Di recente, a febbraio, ho vinto due medaglie d’argento ai campionati nazionali che si sono tenuti a Bangalore, nei 1.500 metri e nei 10.000. Una cosa che trovavo frustrante però, durante le gare, è che non potevo parlare a nessuno che venisse da un altro Stato. Io conosco solo il Meiteilon, la lingua della comunità Meitei di Manipur. Le altre atlete parlavano hindi, o inglese, o entrambi. Così ho cominciato a frequentare la scuola serale. A casa, mio nipote Abhinash che ha cinque anni mi aiuta con i compiti. Adesso so contare sino a 100 e scrivere l’alfabeto in stampatello, ma ho ancora qualche difficoltà con il corsivo. Lo sport mi ha dato una nuova identità: perciò continuerò a correre e a migliorare me stessa».

Marina Gang, brasiliana, conta una decina d’anni in meno di Salam ongbi Patamo. Ha cominciato a correre come maratoneta nel 1991. Cresciuta in miseria nella periferia di Curitiba, Marina ha fatto la domestica da quando aveva 12 anni. A 19 si è sposata e a 31, quando il marito perennemente disoccupato ha deciso di lasciarla, doveva assicurare la sopravvivenza ai quattro figli e al proprio padre allettato di 82 anni: «Sono sempre stata io ad aver cura della famiglia, anche finanziariamente. Mio marito non riusciva a mantenere nessuno dei lavori che trovava. Volevo che i bambini, a differenza di me, potessero studiare. Ho dato loro tutto quello che avevo: amore, istruzione, sport, fede e onestà». Marina ha mandato all’università tutti e quattro i ragazzi, usando la sua passione, la corsa, quell’abilità che sembrava non servire a nulla se per lavoro si devono pulire pavimenti e pentole. I premi che vinceva (e vince tuttora) nelle gare di atletica hanno fatto la differenza. In casa, oggi, ha più di 500 fra trofei e medaglie, è considerata una delle migliori atlete del Brasile, nonostante sia una delle più anziane.

«Adesso che i figli hanno meno bisogno di me ho cominciato a studiare anch’io. Voglio diventare un’insegnante di educazione fisica. Ci sto mettendo tutto il mio impegno: voglio incoraggiare le donne a vincere, ad abbattere le barriere. Voglio mostrare a tutti cosa le donne sono capaci di fare».


Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *