Eco-tasse, petrolio, clima e trasporti – 1

di Mario Agostinelli

Adesso che alla Cop 24 di Katowice tutto è andato come purtroppo si temeva (v. http://asud.net/chiude-la-cop24-ancora-promesse-e-non-chiari-impegni-per-salvare-il-pianeta/ ) gli abitanti del pianeta delusi, a partire dagli Europei, devono abbandonare quell’apatia nei confronti del cambiamento climatico che permette ai governanti di essere sconsideratamente negazionisti e di accreditare la frottola che le misure ambientali penalizzerebbero l’economia e le fasce meno abbienti. Il Governo italiano non fa che accreditare di fatto una impostazione tanto spudorata: Salvini e Di Maio, all’ombra del loro stravagante “contratto” e di baratti rabberciati all’ultimo minuto, sviano continuamente l’attenzione dai problemi reali e dalla possibilità di creare al riguardo una coscienza matura. E’ quel che sta avvenendo sul nodo della necessaria decarbonizzazione dell’economia, mentre i vicepremier duellano il mattino per rappacificarsii la sera. L’obbiettivo del potere spazza via i contenuti da un tavolo da gioco che frustra la rappresentanza democratica e deprime ogni istanza sociale e ambientale che provenga dal basso. E’ per questa ragione che questo post parte da una premessa “politica” preoccupata per passare subito ai contenuti e all’informazione. Non starei a criticare un sistema praticamente extraparlamentare inaugurato con l’invenzione di un premier virtuale, se non fossi certo che esso tarpa le ali alla presa di coscienza della crisi in atto, in cui il clima è fattore determinante, oscurato nella sua drammatica apparizione alla Cop 24 appena terminata. Come è successo per la TAP, anche sull’ecotassa sembra proibito poter discutere, confrontarsi, mentre la Lega rafforza gli steccati di un liberismo sovranista che prende quota, anche a dispetto delle basi politiche democratiche e culturali del Paese.

Senza tener conto che la prospettiva più urgente è quella di decarbonizzare i trasporti, e che questa è l’indicazione europea per tutti i Paesi membri, nelle schermaglie sui ridicoli provvedimenti fiscali per l’auto, chiamati ecotasse, si è cercato alla fin fine di far passare che la difesa dell’ambiente la debbano pagare i lavoratori ed i meno ricchi. Al contrario, la questione dell’impatto sulla mobilità, sull’occupazione, sul reddito, sulla salute e sul clima del superamento del motore a scoppio (che è la vera ragione per una politica fiscale sulle motorizzazioni) merita ben altra informazione e ben altro dibattito rispetto a quello che ci viene cucinato.

In questa prima nota affronto il problema della rivoluzione nel sistema dei trasporti, per poi discutere nel prossimo post la questione della carbon tax entro cui collocare la cosiddetta ecotassa con i risvolti sociali che essa comporta.

Che il motore a scoppio – a benzina o gasolio – non faccia bene lo sa chiunque si sia avvicinato ad un tubo di scappamento. La sua massiccia diffusione nell’ambiente in cui viviamo produce sia effetti cancerogeni dovuti principalmente a polveri sottili, sia un contributo all’aumento di temperatura dovuto alle emissioni di CO2. Dato che la mobilità, anche se porta inconvenienti alla salute, è un diritto cui difficilmente si rinuncia, programmarne il futuro è questione di natura squisitamente sociale. Siamo di fronte a sfide inedite su cui vengono giudicati i governi, come è il caso di tutti i Paesi sviluppati e come testimonia la vicenda dei gilet gialli francesi, che ha messo in luce tutti i rischi di un intervento autoritario in materia di tasse, mobilità e tutela ambientale.

Se partiamo da considerazioni su inquinamento e clima, dobbiamo avere presente che il diesel è più pericoloso per i suoi effetti cancerogeni (anche se i veicoli a benzina sono tutt’altro che esenti da conseguenze nefaste), mentre per il clima la maggior perniciosità dei due carburanti si inverte. Tutto sommato, non risulta granché sostituire un motore a combustione all’altro (benzina al diesel), tranne che nel traffico cittadino. Affidare in prevalenza all’abbandono del diesel il superamento della crisi del binomio (auto individuale + petrolio) è ingannevole. Non si può far finta che sia indifferente che un barile di petrolio (159 litri) finito in raffineria produca vari composti fra cui, per più di metà, benzina e gasolio per autotrazione, l’una e l’altro combustibili destinati al trasporto delle persone e delle merci, con quest’ultime che viaggiano spinte da motori esclusivamente diesel. Se il problema è considerato in tutto il suo risvolto è il motore a combustione che ha raggiunto il suo limite, dato che per ogni litro di carburante consumato vengono emessi circa 2,5 chilogrammi di CO2. (media sommaria fra i vari tipi di carburante, GPL e Metano compresi). Quindi, il motore a scoppio (compreso quello alimentato a metano) andrà progressivamente sostituito con altre motorizzazioni e combustibili che non producano effetti climalteranti.

La riconversione verso l’elettrico dei veicoli su gomma è una soluzione di prospettiva. Considerando l’intero ciclo “dal pozzo alla ruota” (well to wheel) l motore elettrico (alimentato a batteria o rifornito a idrogeno con pile a combustibile) per non comportare effetti perniciosi sul clima, deve essere il terminale di un sistema diffuso di trasformazione e stoccaggio di vettori prodotti da fonti rinnovabili. Se, al contrario, si ricorresse ad elettricità prodotta dai fossili, andrebbero aggiunte nuove centrali, mancando nei fatti l’obbiettivo della decarbonizzazione dell’intero ciclo del trasporto. (A proposito, in quale ottica i nostri due vicepremier hanno detto sì all’unisono al gasdotto pugliese TAP?). Nell’obiettivo della decarbonizzazione e del progressivo superamento dell’auto di proprietà, nella transizione va incentivato lo sviluppo di tecnologie che migliorino il rendimento dei motori e le loro emissioni, con la combinazione di motore a scoppio e generatore di corrente (veicoli ibridi). Sarebbe così messo a disposizione un tempo per la riorganizzare delle stazioni di servizio con colonnine di ricarica.

Secondo la proiezione dell’istituto europeo CES (le tecnologie di elettrificazione) nel 2030 il 70% di tutte le autovetture utilizzerà almeno un motore elettrico come fonte di propulsione. Se consideriamo che la velocità media di un mezzo nel traffico del nord è di 29 km orari (dati da scatole nere montate su molti veicoli dalle assicurazioni), è facile capire che l’aumento di potenza dei nuovi mezzi unito alla diminuzione delle velocità effettive comporta in realtà un aumento reale dei consumi di carburante pur in presenza di mezzi più recenti. Detto questo, bisogna valutare l’insostenibilità della congestione spaziale provocata dalle auto a proprietà individuale. Questa valutazione mette un freno all’entusiasmo per l’auto elettrica a guida automatica, che è l’escamotage con cui le case automobilistiche rilanciano il mercato offrendo non più un sogno, ma almeno uno status symbol per benestanti. L’auto elettrica è uno sconvolgimento del panorama attuale, ma bisogna assicurarsi che eventuali benefici siano condivisi da tutti e che nessuno rimanga indietro.

Se vogliamo letteralmente sopravvivere dobbiamo comunque ridurre il consumo di mobilità su mezzi individuali. Una simile prospettiva richiede una pianificazione urbanistica che riduca i creatori di traffico e di inquinamento: i centri commerciali di proporzioni sempre maggiori, le infrastrutture che obbligano a convergere nel traffico cittadino (tutte le autostrade lombarde convergono su Milano!), la duplicazione di corsie senza un criterio di preferenzialità per trasporti merci e bus elettrici, corsie in città per traffico merci a orari dedicati. Bisogna rifare le infrastrutture e riconsegnarle allo stato. Rendere il sistema più resiliente agli effetti dei cambiamenti climatici. Questi criteri dovrebbero essere sviluppati in consultazione con gli stati, le comunità locali, gli utenti delle autostrade e il pubblico in generale. Il regime fiscale deve accompagnare la transizione con una strategia ben precisa, ma questo lo vedremo nel prossimo post.

L’IMMAGINE – scelta dalla “bottega” – è di Giuliano Spagnul.

 

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