Carmelo Musumeci: finalmente

Sentenza storica del Tribunale di Sorveglianza di Perugia. Concessa la libertà condizionale (era all’ergastolo “ostativo”) a Carmelo Musumeci

Riproponiamo alcuni suoi articoli ospitati su “A rivista anarchica”

 

Carmelo Musumeci a 15 anni e oggi

 

Carmelo Musumeci scarcerato, era all’ergastolo ostativo

Sentenza storica del Tribunale di Sorveglianza di Perugia. Concessa la libertà condizionale a Carmelo Musumeci

Con un provvedimento “storico”, il Tribunale di Sorveglianza di Perugia ha concesso la liberazione condizionale a Carmelo Musumeci, condannato all’ergastolo ostativo per reati di criminalità organizzata e in carcere dall’ottobre del 1991.

A dare notizia della scarcerazione è lo stesso Musumeci ieri sul suo profilo Facebook: ‘ L’altro ieri ho ricevuto una di quelle telefonate che ti cambiano la vita. Il numero era quello del carcere di Perugia. Mi avvisano di rientrare in carcere perchè devo essere scarcerato’.

Per i giudici che gli hanno concesso la liberazione condizionale, Carmelo Musumeci è un ‘ uomo nuovo’, com’è testimoniato anche dal fatto che persegue il suo ‘ riscatto dal passato impegnandosi quotidianamente ad assistere la disabilità’ in una casa famiglia. Nella decisione, il Tribunale della Sorveglianza di Perugia argomenta il provvedimento col quale viene concessa la liberazione condizionale a un ergastolano ostativo evidenziando pure il ‘ percorso di grande crescita personale che ha portato Musumeci a leggere e studiare in carcere con granitica volontà, così da lasciarsi alle spalle la mera licenza elementare posseduta all’avvio della detenzione per fregiarsi di tre lauree’. Musumeci, si legge ancora nel provvedimento, ‘ è inoltre divenuto scrittore e conferenziere, princi- palmente sulle tematiche dell’ergastolo ostativo e in tale veste collabora con studenti universitari delle facoltà giuridiche che a lui si rivolgono’.

Maria Brucale, avvocato ed esponente dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” spiega all’Agi la portata del provvedimento firmato dai giudici umbri: ‘ Non mi risultano altre casi di liberazione condizionale concessi a ergastolani ostativi. Musumeci godeva già della semilibertà da due anni, dopo che i giudici avevano riconosciuto l’’ inesigibilità della collaborazione”. È una notizia meravigliosa, un grido di speranza nel buio‘.

Gli ergastolano ostativi, a differenza di quelli comuni, non hanno diritto a benefici penitenziari in assenza di una ‘ condotta collaborante’ con la giustizia, salvo i casi, rari, in cui venga riconosciuta l’ inesigibilità della collaborazionè. Musumeci durante il periodo di semilibertà lavorava di giorno in una casa famiglia di don Oreste Benzi e di notte faceva rientro in carcere. Ora, con la decisione dei giudici non dovrà invece far rientro dietro le sbarre, ovviamente rispettando le prescrizioni imposte.

L’ex boss della Versilia, 63 anni, entrato in carcere con la licenza elementare ne esce con due lauree, una in Legge e l’altra in Sociologia. Tra le sue opere anche “L’urlo di un uomo ombra”. Nei giorni scorsi, ha scritto una lettera sul tema del carcere al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, pubblicata anche dal blog di Beppe Grillo. ‘ Non si può educare una persona tenendola all’inferno per decenni – le parole di Musumeci – senza dirle quando finirà la sua pena. Lasciandola in questa situazione di sospensione e d’inerzia la si distrugge e dopo un simile trattamento anche il peggior assassino si sentirà ‘ innocentè’’.

Con il suo blog dalla prigione ( i testi erano affidati a persone a lui vicine che provvedevano a pubblicarli in rete) e alcuni libri, uno scritto col costituzionalista Andrea Pugiotto, Musumeci è diventato la voce degli “uomini ombra”, cioè i reclusi la cui pena detentiva coincide con la durate della vita e una data che non lascia speranze: 31/ 12/ 99999.

da qui

 

Lettera ai giornalisti

Scrivo da tanti anni, ma solo ultimamente ho capito quanto sia veramente importante come si fa informazione e, soprattutto, quanti danni fanno i giornalisti che la fanno in maniera “cattiva” e solo per essere più accolti e piacenti alla pancia della gente. Allora questa volta voglio scrivere proprio ai giornalisti, ed essere io a fare loro delle domande.
Penso che ci dovrebbe essere più attenzione, sensibilità e responsabilità nel dare le notizie. Spesso la rappresentazione mediatica dei reati, della prigione e dei detenuti è sbagliata. Ed in certi casi fa più male della stessa pena detentiva.
Penso che alcuni giornalisti di cronaca nera spesso, più che informare, scrivano quello che va di moda al momento. Per esempio, si prende un tragico caso, scandaloso o emotivamente coinvolgente, poi lo si enfatizza con servizi, foto, titoli, ospiti noti, analisi approssimative ed esperti all’occorrenza, che si prestano ad una informazione da spettacolo noir. E la televisione è peggio della carta stampata perché ha un ruolo più rilevante. E spesso si vedono giornalisti che cercano costantemente lo scoop, assaltando e marcando strette le vittime dei reati, approfittando dei loro sentimenti, a pochi giorni, e a volte anche a poche ore, dal reato subito e fanno loro la brutta e invasiva domanda: è disposto a perdonare?
Il grande giornalista Kapuscinski ripeteva spesso che per essere un buon giornalista si devono avere queste qualità: “L’empatia con la fonte, la lontananza da un certo cinismo giornalistico, la comprensione delle diverse culture, l’ascolto, l’utilizzo di fonti e storie poco battute, la vicinanza con il territorio e con le persone, con le comunità locali, la condivisione”. Si sa, i giornalisti hanno sempre esercitato un’importante funzione di crescita culturale e sociale a favore dell’opinione pubblica. Ricordo che i giornalisti impegnati sul fronte della guerra del Vietnam, quando si resero conto che i notiziari ufficiali mentivano rispetto alle proporzioni e alle caratteristiche dell’impegno bellico statunitense, avviarono una campagna d’informazione che sarebbe diventata decisiva per convincere l’opinione pubblica a prendere posizione contro la guerra.
Io credo che in Italia la giustizia e le prigioni siano quelle che sono anche perché, a differenza di altri Paesi, nel nostro manca un’informazione corretta sull’argomento. Le notizie molto spesso si danno, ma si danno senza approfondimento e a proprio piacimento o tornaconto per essere letti. E una buona proposta di legge sull’affettività in carcere può trasformarsi in una proposta di legge per istituire bordelli in carcere… Ne potrei fare tanti di esempi come questo, che in tutti questi anni mi hanno fatto male, ma soprattutto hanno fatto male alla coscienza sociale della gente.
Ora avrei io delle domande per chi fa informazione sul carcere:
1) La società vorrebbe chiudere i criminali e buttare via le chiavi, ma perché non scrivete che prima o poi in parecchi usciranno? E che molti di loro quando saranno fuori potrebbero vendicarsi di essere usciti più cattivi di quando sono entrati?
2) Siamo anche quello che leggiamo. Non credete che sia difficile migliorare le persone che stanno dentro solo con la sofferenza del carcere, e fuori con un’informazione superficiale e sensazionalistica?
3) Lo sapete che in Italia esiste una pena che non finisce mai (o che finisce nel 9.999)? Come mai le persone sono convinte che in Italia l’ergastolo non esista o che non lo sconti nessuno, quando invece ci sono persone che sono dentro da venti, trenta, quarant’anni? Che ne pensate?
4) Scrivete con la penna, con il cuore o con la testa?
5) È corretto scrivere che un assassino è uscito dopo “solo” vent’anni di carcere?
6) Pensate che siano più i giornalisti che influenzano l’opinione pubblica o è l’opinione pubblica che influenza il modo di informare dei giornalisti?
7) Io penso che il carcere non sia la medicina, ma è la malattia; non cura quindi, non curano, soprattutto, proprio le pene troppo lunghe: ma voi che cosa intendete con la formula “certezza della pena”?

Grazie a quei giornalisti che risponderanno.
Un sorriso fra le sbarre.

Carmelo Musumeci 
Carcere di Padova 2016
www.carmelomusumeci.com

da qui

 

Abbiamo chiesto a Carmelo Musumeci qualche informazione sulla detenzione “al femminile”. E in particolare sulle ergastolane. Temi dei quali si parla molto poco. Ci ha inviato queste due schede, che aprono una conoscenza, una riflessione, una solidarietà.
Illuminare anche anfratti di vite e sensibilità sepolte vive: questo è uno dei compiti che si prefigge “A”. Lo facciamo anche tramite Carmelo e l’intensa attività libraria, culturale, di impegno sociale che porta avanti con generosità e fermezza, accanto alla sua condizione di ergastolano impegnato, durante i giorni feriali, fuori dal carcere, come volontario assistente di persone non normo-dotate nella Comunità Giovanni XXIII, in Umbria.
Queste due paginette a lui affidate suonano come una piccola campanella che – tra l’altro – richiami noi “fuori” a ricordarci sempre di chi sta “dentro”. Con la volontà di liberare la società dalla necessità del carcere. Che è un processo ben più complesso dell’auspicata “abolizione delle carceri”.

 

  1. Donne in carcere/ 
    2.285 (non una di meno)Le donne presenti nelle carceri italiane al 31 dicembre 2016 sono 2.285 su un totale di 54.653 persone detenute. Rappresentano il 4,2 per cento del totale delle persone detenute, configurandosi dunque come popolazione marginale all’interno di un mondo prevalentemente maschile. Solo il 25 per cento delle detenute sconta la pena in uno dei quattro istituti esclusivamente femminili attualmente operativi in Italia (Trani, Pozzuoli, Roma-Rebibbia e Venezia-Giudecca), mentre il restante 75 per cento è distribuito tra le circa cinquanta sezioni femminili ricavate all’interno di carceri maschili presenti in tutte le regioni ad eccezione di Valle d’Aosta e Molise. Le donne che entrano in carcere sono comunque segnate da un contesto di grave marginalità sociale, riflesso nel tipo di reati per cui vengono incarcerate. Sono i reati legati al patrimonio, alla legge sulle droghe e i reati contro la persona quelli per i quali le donne vengono più frequentemente condannate alla pena detentiva. Questi, nel 2016, costituiscono insieme il 64 per cento del totale delle condanne. (Fonte: Assoziazione Antigone)
    La vita delle donne detenute «non è un argomento che suscita particolare attenzione – ha dichiarato la Garante Desi Bruno presentando la ricerca, «neppure tra gli addetti ai lavori. La loro esiguità numerica non le ha costrette a quel trattamento inumano e degradante costituito dalla mancanza dello spazio minimo vitale. Eppure sono ingombranti, anche se la reclusione delle donne non ha una autonomia organizzativa, e vive spesso di quanto accade nel carcere maschile, dal quale riceve briciole, in termini di risorse». Piccoli numeri che, come spiega la ricerca “La detenzione al femminile”, non consentono spesso l’attivazione e la realizzazione di attività utili al percorso di reinserimento, come corsi scolastici, percorsi di formazione professionali e attività lavorativa.
    «L’idea di detenzione – spiega Lisa Di Paolo, autrice della ricerca – è una, le regole detentive non hanno una caratterizzazione di genere e le modalità di operare diversamente con donne detenute sono dovute a “libere” iniziative e sensibilità dei singoli operatori. Le donne detenute sono e si percepiscono come vittime, sono e si sentono usate, non hanno una stima e una percezione positiva di sé che le spinga a comportarsi diversamente da come hanno fatto. La donna detenuta è una donna fragile nella costruzione dell’identità personale e di genere ed è in questo che ha bisogno di essere accompagnata».
    Le donne chiedono di poter organizzare iniziative, attività in autonomia, gestire il tempo libero per fare qualcosa insieme, possibilità non sempre realizzabile a seconda dei regolamenti e dell’organizzazione dell’Istituto.
    «Poche – aggiunge Rita Bernardini, del Partito Radicale, molto impegnata nel visitare le carceri e protagonista delle lotte radicali in materia – sono le detenute che lavorano e quelle poche (circa il 20%) sono impegnate in lavori interni al carcere perlopiù di tipo domestico. Se il carcere si aprisse alla collettività, proprio perché le donne sono poco numerose, sarebbe più facile trovare per loro lavori qualificanti spendibili all’esterno, una volta finita la reclusione e ciò si tradurrebbe in minore recidiva e quindi in maggiore sicurezza per la collettività». (Fonte: www.vita.it)

 

  1. Donne ergastolane/ 
    prigioniere di serie BSi parla e si scrive poco delle donne detenute, e ancora di meno delle donne ergastolane, forse perché il carcere all’origine era nato solo per gli uomini, e storicamente una volta le donne venivano mandate in istituti di correzione, o forse perché i maschietti si vergognano un poco (solo un pochino) di tenere delle donne in prigione. Sta di fatto che nell’inferno delle nostre “Patrie Galere” le femmine sono trattate anche peggio dei maschi e da subito sono costrette a perdere la loro femminilità (che per loro è molto peggio che perdere la sessualità) perchè è molto complicato ottenere l’indispensabile per sentirsi donna. Per loro il carcere è molto più terribile che per i maschi perché varcata la porta di un carcere la prima cosa che ti dicono è di spogliarti e di fare le flessioni.
    In un quarto di secolo di carcere mi sono scritto con alcune donne ergastolane. Ecco una di loro cosa mi ha scritto:
    Quello che soffre di più in carcere non è il corpo ma il cuore, perché quando non ti senti amata poi è difficile che riesci ad amare. Il carcere per una donna non solo è crudele ma è anche un mondo confuso, contraddittorio che ti squarcia dentro e che ti fa sentire una vittima anche se sei la peggiore criminale di questa terra. Poi quando ti condannano all’ergastolo capisci che il tuo corpo non ti apparterrà mai più. E questo è terribilmente triste, direi terrificante. Ti confido, Melo, che spesso mi sento sola e abbandonata, a volte mi domando chi sono e perché continuo ancora a stare in questo mondo. Melo, che devo fare? Il carcere dovrebbe insegnarti il bene che non hai conosciuto, invece a me sta insegnando solo il male. E una pena che non finisce mai come potrà mai migliorare una persona? Tu come hai fatto? Io non ce la faccio. (Rita).
    Al mattino, quando esco dal carcere, prendo l’autobus assieme a una ergastolana semilibera e l’altro giorno l’ho invitata a scrivere qualcosa. Questa mattina, intimidita e sotto la pioggia, mi ha passato un foglio di carta piegato in quattro, sussurrandomi: “Scusa, non sono buona a scrivere bene”:
    Ciao, sono una donna di 49 anni, condannata all’ergastolo, sono detenuta dal 1988. Descrivere come si vive è molto difficile, ma si vive giorno per giorno, senza pensare che non uscirai più. Come tutti gli ergastolani, credo che ci si aggrappa alla speranza che davvero un qualcosa cambi. Se si riflette sulla pena dell’ergastolo si capisce che è uno stato in cui si fa vendetta su noi carnefici, giorno per giorno: una vita per una vita. Ma continuo a chiedermi: questa è la giustizia? Io attualmente fortunatamente sono in semilibertà, ma è dura, perché far rientro di sera con i pullman e il tempo brutto, lontano dai propri affetti… Beh, è tosta, anche a livello economico poiché mi danno 200 euro al mese, altro che le buffonate che disse in diretta tv un superiore, che dovrebbe lui davvero vergognarsi. Per chi lavora sodo, il salario dovrebbe essere giusto per tutti, visto che paghiamo tutto, e vorrei dire di fare la battaglia contro i colletti bianchi non contro chi paga. Vorrei scrivere un libro di tutta la mia vita, anche quella del carcere, ma oggi termino con queste strofe:L’anima vive
    La stella dei miei desideri va e viene,
    quando sembra di averla raggiunta… 
    ancora una volta scompare… 
    portando con se quella parte migliore di me… 
    Aprirò lo scrigno della felicità ci troverò foto… ricordi, e tempi belli, e brutti ma vissuti intensi perché insieme… 
    Quante sorprese ci riserva la vita e non sai mai dietro l’angolo cosa ti riserva il destino… di certo non siamo mai noi a scegliere le cose… siamo come un rullino di un film… rideremo o piangeremo nel rivederlo?
    Vivi stella dei miei desideri… vivi oggi e domani e al primo risveglio… vivi per noi… anche quando la bufera ci sbatte via… ci allontana… il cuore e la vela restano a galla senza sbiadire dal tempo.
    L’anima vive, è, finché vola, il senso più bello di una libertà mai persa. (Rosa Russo)

Carmelo Musumeci

da qui

 

Ma io credo di non credere

Fra le mie attività di volontariato per la Comunità Papa Giovanni XXIII, spesso aiuto gli studenti universitari nelle loro tesi e mi sono convinto che le loro domande sono più interessanti delle mie risposte. Mi ricordo che per tirare su di morale una studentessa ansiosa al suo ultimo esame, a cui ho dato una mano per la stesura della sua tesi, le ho scritto: “Gli esami sono una prova terribile anche per i meglio preparati perché l’uomo più sciocco può sempre fare una domanda a cui l’uomo più saggio non sa rispondere.”
Ho pensato in questo numero di dare spazio alle domande di una studentessa con le mie risposte.

Carmelo, mi può raccontare quando ha preso coscienza della gravità delle azioni che ha compiuto tanto tempo fa?
Posso dire che per me è molto più “doloroso” e rieducativo adesso fare il volontario in una struttura della Comunità Papa Giovanni XXIII (fondata da Don Oreste Benzi) che gli anni passati murato vivo in isolamento totale durante il regime di tortura del 41bis. Trattato in quel modo dalle Istituzioni, mi sentivo innocente del male fatto; ora, invece, che sono trattato con umanità, mi sento più colpevole delle scelte sbagliate che ho fatto nella mia vita. E penso che questo potrebbe accadere anche alla maggioranza dei prigionieri che sono ancora detenuti in quel girone infernale. Sono convinto che anche il peggiore criminale, mafioso o terrorista potrebbe cambiare con una pena più umana e con un fine pena certo.

 

Carmelo, lei in un’intervista si è definito “ragazzo delinquente”: vuole mandare un messaggio ai ragazzi di oggi?

Potrei giustificarmi che sono diventato un criminale perché mentre molte persone perbene sono nate fra pasticcini e biscotti io sono nato in una casa dove non c’era nulla, tanto meno libri (probabilmente perché non erano buoni da mangiare). Potrei giustificarmi che sono stato quello che sono potuto essere e non quello che avrei voluto essere. Potrei dare la colpa delle mie scelte criminali, alla mia infanzia infelice o alle botte che ho preso prima in collegio dalle suore e dai preti e subito dopo nelle carceri minorili (a soli quindici anni sono stato legato al letto di contenzione per sette giorni). Io però preferisco non darmi nessuna attenuante perché come dico spesso “sono nato già colpevole, poi io ci ho messo del mio a diventarlo”.

Carmelo, il tuo percorso di risocializzazione è stato riconosciuto dal tribunale di sorveglianza, ma indipendentemente da questo “riconoscimento”, chi è oggi Carmelo Musumeci? Descriviti come semplicemente Carmelo. 
Penso che il carcere ti cambi. Io, però, in ventisei anni di carcere, ho cercato di cambiare più lui che me, ma penso di non esserci riuscito e di non averlo smosso di un millimetro. Ma spero, adesso, di continuare a farlo da ergastolano semilibero. Molte persone si adattano al carcere e in questo modo finiscono per diventare prigionieri di se stessi. Per fortuna o per sfortuna, a seconda dei punti di vista, io mi sono sempre sentito un estraneo al carcere e non sono mai riuscito ad adattarmi. Non è stato per nulla facile, perché penso che in carcere la sofferenza divori l’anima come la muffa mangia i muri. Oggi cerco di essere semplicemente la persona che non sono mai riuscito a essere prima.

Lei ha presentato personalmente l’istanza di richiesta per la semilibertà, sappiamo che non è nelle capacità della maggior parte dei detenuti. Che significato ha avuto per lei?
Leggendo un libro su Don Milani mi aveva colpito questa frase: “Siete proprio come vi vogliono i padroni, servi, chiusi e sottomessi. Se il padrone conosce 1000 parole e tu ne conosci solo 100 sei destinato ad essere sempre servo”. E ho iniziato a leggere a studiare e non ho smesso più. Sono entrato in carcere con la licenza elementare; quando ero all’Asinara in regime di 41bis ho ripreso gli studi e da autodidatta ho terminato le scuole superiori. Mi sono laureato tre volte, quella in giurisprudenza l’ho presa soprattutto per difendere me stesso e i miei compagni.

Lei è credente? Un passaggio della bibbia dice: “il miglior giudizio che si può dare su una persona è di guardare ai fatti che ha compiuto.” Cosa ne pensa, quando poi sente in televisione che in alcuni processi non è stato proprio così? Pensi al caso Tortora, dove dopo un decennio dalla conclusione della vicenda processuale, il principale accusatore ha ammesso di avere detto il falso, ma non ha subito nessuna conseguenza, poiché aveva reso le sue dichiarazioni senza nessun obbligo di verità penalmente rilevante.
Credo di non credere (e forse per questo sono uno dei pochi credenti), perché credo e ho più fiducia nell’uomo che in Dio. C’è sempre tanta differenza fra la verità processuale e la verità vera, ma si può essere anche innocenti di essere colpevoli.

Oggi, quale è il suo prossimo obiettivo da raggiungere? A quale progetto sta lavorando?
Tornare a essere un uomo libero. Intanto cerco, con la scrittura e la mia testimonianza, di sensibilizzare l’opinione pubblica e cercare di far capire che maledire e condannare una persona ad essere cattivo e colpevole per sempre è un grande errore. Credo che il perdono ti faccia amare il mondo e che la vendetta, invece, te lo faccia odiare. Giustizia dovrebbe significare verità e non vendetta. Se ad alcuni ergastolani venisse data una possibilità, una sola, di rifarsi una vita penso che smetterebbero di essere criminali.

I reati sessuali rientrano tra i reati ostativi, disciplinati dall’art. 4-bis o.p. Cosa ne pensa?
Penso che il carcere non sia la medicina, ma sia piuttosto la malattia.

I libri ti hanno aiutato a superare i momenti più difficili? 
In questi anni di carcere ho letto moltissimo, ho sempre avuto un libro in mano, senza libri non ce l’avrei potuta fare. Credo che noi siamo anche quello che leggiamo e soprattutto quello che non leggiamo. Nei libri ho vissuto la vita che non ho potuto vivere, ho sofferto, ho pianto, ho amato, sono stato amato, sono cresciuto, sono stato felice ed infelice e sono vissuto e morto tante volte.

Quale libro è il suo preferito? Quale personaggio di un libro-canzone-poesia, sente di rappresentare?
Mi è difficile risponderti, i libri sono un po’ come i figli, si amano tutti perché tutti ti danno qualcosa, comunque ci provo: “Il Signore degli anelli” (i prigionieri sono come i bambini, per vivere meglio vivono in mezzo a boschi e palazzi incantati, fra meraviglie o incantesimi). “Il rosso e il nero” di Stendhal che mi ha insegnato che l’amore è fatto di amore o non ha voce, è fatto di sbagli o non è fatto di niente. “Delitto e castigo” di Fedor Michailovic Dostoevskij che mi ha insegnato come si sconta la propria pena e che la vita è fatta di errori se no non sarebbe vita. Poi molti libri di Herman Hesse fra cui “Siddharta” e “Il Lupo della steppa” che mi hanno insegnato che quello che penso io lo pensano anche gli altri. Mi fermo qui ed in tutti i casi il libro più bello è quello che sto leggendo: il libro della vita.

Esprimere i propri sentimenti non è facile, perché vuol dire dare voce alle proprie emozioni, a quello che si prova. Lei ha un sito, dove scrive un diario giornaliero, dove racconta della sua vita, delle sue speranze, delle sue lotte. Come è riuscito a superare le difficoltà di aprirsi al mondo che lo circonda?
Quando ho perso la libertà ho deciso di essere libero e di essere me stesso. Credo che il miglior metodo per lottare e sopravvivere lo abbia trovato scrivendo per far conoscere la vita e i sogni di un ergastolano e anche per far conoscere quanta umanità si può trovare in carcere e quanta cattiveria fuori. La cosa incredibile è che in questi ventisette anni di carcere in molti mi hanno chiesto di “farmi la galera” e di smettere di scrivere e di ululare alla luna. E me lo hanno chiesto sia le persone perbene, sia molti uomini di Stato e anche alcuni mafiosi di spessore, facendomi sospettare che la pena dell’ergastolo serva anche a loro per non fare uscire dalle loro organizzazioni, fisicamente e culturalmente, i giovani ergastolani (perché lo dovrebbero fare se non hanno più nessun futuro?).

Se potessi essere un’altra persona per un giorno…
Non ho mai desiderato essere un’altra persona, desidero solo di essere una persona migliore.

Carmelo Musumeci

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Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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