Fuori l’Italia dalla Nato

articoli, video, disegni di Barbara Spinelli, Andrea Puccio, Stefano Orsi, Giacomo Gabellini, Irina Alksnis, Piero Orteca, Turi Palidda, Piero Pagliani, Marco Ghisetti, Demostenes Floros, Stefania Maurizi, Seymour Hersh, Mao Valpiana, Giovanni Punzo, Andrew Napolitano, Paul Schreyer, Carlo Bellisai, Fabio Mini, Alessandro Di Battista, Pepe Escobar, Thierry Meyssan, Gianandrea Gaiani, Manlio Dinucci, Alfredo Tocchi, Patrick Boylan, Sergei Lavrov, Peppe Sini, Fabrizio Verde, Giulietto Chiesa, Carlos Latuff

Strage di Brescia : il Comando Nato (prima puntata)

Strage di Brescia :

  • Primo livello: gli esecutori, due nuovi nomi
  • Secondo livello: confidenti, infiltrati, servizi segreti, generali e forze dell’ordine.
  • Terzo livello: il Comando Nato.

…Di seguito la prima parte dell’articolo di Carlo Bonini e Massimo Pisa apparsa su la Repubblica del 27 gennaio 2022.

Terzo livello ( 1a puntata)

La nuova inchiesta sulla strage neofascista di Brescia porta lì dove nessuno poteva immaginare. Il comando Nato di Verona.

Quando l’hanno battuta le agenzie, poco prima di Natale, la notizia ha faticato a conquistarsi una breve. Due chiusure indagini per la strage di piazza della Loggia e due nuovi e semisconosciuti estremisti di destra accusati di aver messo la bomba che dilaniò Brescia alla fine del maggio di 48 anni fa, uccise otto persone, ne ferì un centinaio, inaugurò l’ennesima stagione dello stragismo di mano neonazista con la complicità di pezzi dello Stato. Già perché ha già due colpevoli, quell’attentato, arrivati però soltanto con la sentenza di Cassazione del 2017. Uno, Carlo Maria Maggi, ex capo dell’organizzazione neofascista “Ordine Nuovo” nel Triveneto, è morto l’anno dopo. L’altro, Maurizio Tramonte, la fonte “Tritone” del Sid (l’allora servizio segreto militare), sta ancora combattendo la sua battaglia per la revisione del processo. Per questo, le storie di Marco Toffaloni e Roberto Zorzi – che sono appunto i due accusati dell’ennesima indagine della Procura di Brescia – potrebbero benissimo essere due note a margine della storia nera d’Italia. Invece, nelle 280mila pagine (mal contate) di atti depositati in altro. C’è la consueta ricerca documentale del “secondo livello” (quello degli uomini incardinati nelle istituzioni italiane) e ci sono nomi e cognomi di ufficiali degli apparati: Sid, Carabinieri, Polizia. Ma c’è, soprattutto, l’indicazione di un inedito terzo livello. Parliamo del Comando Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa – leggi: Nato – il cui cuore sarebbe stato a Palazzo Carli, a Verona, la città di Toffaloni e Zorzi. Qui, con la copertura di generali dei paracadutisti italiani e statunitensi, si sarebbero svolte le riunioni preparatorie di un progetto stragista che avrebbe dovuto sovvertire la democrazia italiana e rinsaldare lo scricchiolante fronte dei regimi del Mediterraneo. Quello che, all’epoca, teneva insieme il Portogallo salazarista, la Grecia dei colonnelli e la Spagna franchista.

D’istinto, lo si direbbe un romanzo fantasy costruito su migliaia di informative, verbali, intercettazioni, pedinamenti e vecchi faldoni, recuperati dalla magistratura negli archivi dei nostri Servizi e in quelli degli Stati Maggiori dei nostri apparati militari e della sicurezza a forza di decreti di esibizione, e in cui si dipana anche la storia di un pugno di ragazzi figli di quel tempo. Con la passione per il calcio, le moto, i giochi da adulti, l’esoterismo. Un mondo popolato da donne bellissime e attori, svastiche e orge, agenti doppi e vendette. Per una vicenda tragica che ha fatto morti prima di quel terribile 28 maggio 1974, e forse continua a farne. Già, perché chi indaga sulla strage di Brescia si è sempre trovato di fronte a due nodi da sciogliere. A due bombe. La prima, esplosa nove giorni prima, alle 3 di notte, falciò un ragazzo di vent’anni in Vespa. Si chiamava Silvio Ferrari, era un neofascista che aveva già commesso attentati e andava a far saltare l’uscio della sede della Cisl. Ma non fece in tempo. Saltò in aria all’imbocco di piazza Mercato. Fatalità, errore umano o trappola? Uno dei migliori amici di Ferrari, Arturo Gussago, finì a processo accusato di strage, e come tutti i coimputati fu assolto. Faceva l’avvocato. Il 24 dicembre, quattro giorni dopo la chiusura di questa inchiesta, un infarto lo ha stroncato. Il supertestimone che ha guidato gli investigatori tra i segreti bresciani e fino al comando Nato di Verona (lo chiameremo “Alfa”, per motivi di sicurezza, e sarà l’unico nome che non faremo) ha fatto tanti nomi di persone coinvolte nella strage.Quello di Gussago è stato l’ultimo, pochi mesi fa…

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qui la seconda parte dell’articolo di Carlo Bonini e Massimo Pisa.

Visti però gli incombenti “ Venti di Guerra” in Ucraina, ci piace aprire questo post con una foto che sintetizza il ruolo della NATO oggi, quella stessa alleanza atlantica che con il proprio comando supremo sembra aver ispirato lo stragismo di Ordine Nuovo in Italia.

(Ucraina: membri del Battaglione Azov espongono la propria bandiera unitamente a quelle nazista e della NATO)

 

a proposito di NATO: il ruolo del comando di Verona nella strage di Piazza Loggia – bortocal

una nuova inchiesta sulla strage porta infatti al comando NATO di Verona: il giovane neofascista Silvio Ferrari, dilaniato da un ordigno che trasportava nella notte il 19 maggio 1974, era un informatore del vicequestore Lamanna della questura di Brescia, e aveva partecipato, assieme a Delfino, a riunioni a Verona a Palazzo Carli, sede del Comando Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa, quindi anche con ufficiali americani; lì si sarebbe preparata la strategia stragista.

Carlo Digilio era l’esperto di armi ed esplosivi dell’organizzazione fascista “Ordine nuovo”  che preparò e mise in sicurezza la bomba che poi arrivò a Brescia ed esplose in Piazza Loggia, ma nello stesso tempo era un agente informatore al servizio delle basi nato del Veneto, così come Maurizio Tramonte, condannato per la strage insieme al leader di Ordine Nuovo veneto Carlo Maria Maggi, era un informatore del Sid (servizio segreto militare del tempo) con il nome in codice di “Fonte Tritone”.

“Viene accertato lo stesso meccanismo socio-politico che abbiamo già visto operante anche a Piazza Fontana, cioè gruppi neofascisti che vengono inquadrati da frange istituzionali, militari e non, e ritenuti utilizzabili, utili per compiere quelle operazioni sporche che talvolta sono necessarie al potere“…

da qui

 

https://www.youtube.com/watch?v=rsdGZddZugI&ab_channel=Mario

 

Chi ha ucciso la pace in 12 mesi di guerra – Barbara Spinelli

Invece di insistere come ebeti su una distinzione del tutto scontata – il 24 febbraio 2022 ci fu un aggressore e un aggredito in Ucraina – converrebbe cominciare a porsi qualche domanda magari scomoda ma utile.

La più ovvia concerne l’opportunità di inviare a Kiev armi sempre più offensive, che troncano ogni trattativa. La risposta a questa domanda è negativa: è ormai evidente che accrescere l’armamento ucraino non genera tregue, ma aumenta il numero di morti e la possibilità di un conflitto nucleare. Per le industrie belliche occidentali è una manna, ma non per i cittadini, né aggrediti ucraini né europei, che pagano il prezzo della guerra.

La seconda domanda riguarda le ragioni del conflitto. Dopo i negoziati con Gorbaciov del 1991 e negli anni che vanno dalla Rivoluzione delle Rose in Georgia nel 2003 a quella Arancione in Ucraina del 2014, è stato fatto tutto il necessario, per rassicurare Mosca che pure aveva sciolto l’Urss aprendosi all’Occidente? Niente affatto, visto che dopo poco tempo l’Occidente decise, per volontà degli Stati Uniti e dell’Est europeo, di espandere la zona di influenza Usa-Nato fino alle porte russe. La menzogna più dura a morire è quella che ritrae Vladimir Putin nelle vesti di zar imperiale. I veri imperiali sono gli occidentali, guidati da Washington. È ormai palese che l’ottocentesca dottrina Monroe (nessuna interferenza è tollerata nelle aree attorno agli Usa) si applica oggi all’Europa sino alle frontiere russe. Non aver capito che tale estensione ha non solo infranto le promesse fatte a Gorbaciov nel ’91, ma ha rappresentato una micidiale provocazione è il peccato originale dell’Occidente. Mosca è l’aggressore e Kiev l’aggredito, ma questo non implica che la guerra fosse “non-provocata” e inevitabile.

Terza domanda, legata alla seconda: i giornali europei mainstream hanno fatto abbastanza per capire le radici della guerra cominciata nel 2014 in Donbass, ben prima del febbraio 2022? La risposta è no. I media scritti e parlati non fanno il loro mestiere di cani da guardia. Non sono al servizio dei cittadini-lettori, ma degli interessi geostrategici Nato. Esercitandosi in censura e autocensura giungono sino ad accusare di disinformazione uno dei massimi giornalisti occidentali – Seymour Hersh, premio Pulitzer, noto per aver rivelato la strage di My Lay del 1968, i retroscena dell’assassinio nel 2011 di Bin Laden, le torture nelle carceri di Abu Ghraib nella guerra in Iraq – che l’8 febbraio ha svelato con dovizia di fonti gli autori – governo Usa, aiutato da Norvegia e Svezia – del sabotaggio che nel giugno scorso ha distrutto i due gasdotti Nord Stream.

Fu un atto di guerra preparato molti mesi prima del 24 febbraio ’22, e scatenato non solo contro Mosca, ma anche contro la Germania e contro i rapporti energetici Europa-Russia (uno degli obiettivi è facilitare la dipendenza Ue dal gas liquefatto Usa).

Le rivelazioni sono occultate non solo da giornali e Tv, ma anche da Facebook, dove la notizia viene segnalata come fake news (segnaliamo che il fact checker di Facebook per l’Italia è Open di Enrico Mentana).

Hersh è accusato di nascondere le fonti. Sappiamo che fine farebbero queste ultime, se rivelate: la fine di Snowden e Assange.

La domanda da porsi dentro questa terza domanda è se i cittadini siano pronti a proteste massicce, come fecero per il Vietnam e un po’ per l’Iraq (non per le guerre di Corea o Afghanistan).–

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Adesso Stoltenberg ammette che la guerra in Ucraina è iniziata nel 2014 – Andrea Puccio

Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha detto oggi a Bruxelles che il conflitto tra Ucraina e Russia non è iniziato nel 2022, ma nove anni fa.
“La guerra non è iniziata nel febbraio dell’anno scorso, la guerra è iniziata nel 2014. E dal 2014 che gli alleati della NATO stanno fornendo sostegno all’Ucraina con addestramento e attrezzature, quindi le forze ucraine sono state molto più forti nel 2022 di quanto non fossero nel 2014”, ha detto il capo dell’Alleanza Atlantica prima della riunione dei ministri della difesa del blocco.

Allo stesso tempo, Stoltenberg ha detto che né la Nato né i suoi alleati fanno parte del conflitto, tuttavia, ha notato che continueranno a fornire armi più avanzate e moderne, assicurando che la consegna di carri armati, veicoli da combattimento di fanteria e munizioni sono ora una priorità della NATO.
“Il tipo di sostegno che abbiamo, che stiamo fornendo all’Ucraina, è cambiato e si è evoluto nel tempo. E continuerà a cambiare ed evolversi”, ha aggiunto, riporta RT.

Credo che ogni commento sia superfluo ma la domanda che mi faccio è perché solo adesso, ad un anno dall’inizio dell’operazione speciale in Ucraina da parte della Russia, i vertici della Nato hanno deciso di gettare la maschera e riferire quanto molti di noi dicono da tempo.

Inoltre mi chiedo, dopo aver ascoltato queste parole, come è possibile che i nostri mezzi di informazioni continuino a propagandare la retorica che è stata la Russia ad iniziare il conflitto? Se la guerra è iniziata nel 2014 chi è stato ad iniziarla la Nato o la Russia che si è trovata nella condizione di difendersi?

Aprite gli occhi per favore prima che la spregiudicatezza di questa classe politica non ci porti davvero alla terza guerra mondiale.

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“L’Occidente non ha più tempo”. La NATO prepara l’Europa per l’invio in guerra – Irina Alksnis

L’agenzia Bloomberg, citando proprie fonti, ha riferito che uno di questi giorni i ministri della Difesa dei Paesi membri della NATO firmeranno un documento segreto che illustrerà le azioni dell’alleanza in condizioni di coinvolgimento simultaneo in un conflitto ad alta intensità ai sensi del quinto articolo della statuto dell’organizzazione, e anche – cosa più interessante – in eventi non coperti da questo paragrafo.

L’articolo 5 della Carta della NATO è il famosissimo paragrafo sulla difesa collettiva, quando l’aggressione contro uno dei membri dell’alleanza è considerata come un attacco all’organizzazione nel suo insieme, che comporta una risposta congiunta all’aggressione.

Il fatto che in realtà questo articolo sia una lettera fragile e che la NATO, se lo si desidera, avrà sempre l’opportunità di eludere l’intervento in qualsiasi conflitto, è stato detto a lungo e da molti. Ma l’insider di Bloomberg indica che Bruxelles sta attivamente gettando le basi proprio per un tale sviluppo di eventi – quando alcuni membri dell’alleanza saranno coinvolti in alcune ostilità in relazione alle quali la NATO non utilizzerà il quinto articolo.

Non ci vuole molto per cercare la causa di questi movimenti, si trova in superficie. Tanto più è chiaro che l’Occidente è caduto in una trappola lì: ha puntato tutto su una vittoria militare sulla Russia , ma chiaramente non torna. Nelle ultime settimane, le risorse mondiali più influenti e mainstream hanno scritto sempre più apertamente che e forze armate ucraine sono destinate alla sconfitta e nessuna fornitura di equipaggiamento occidentale le salverà…

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Il prezzo del gas crollato sei volte in pochi mesi. Solo Putin dietro questo balletto speculativo? – Piero Orteca

Diminuiscono, drasticamente, i prezzi del gas naturale e aumentano, in modo quasi analogo, le perplessità dei consumatori. Quello che sei mesi fa, tra annessi e connessi, si pagava a oltre 300 euro a Megawattora, ieri si è potuto acquistare a meno di 50 euro. Solo colpa di Putin e della sua sciagurata invasione dell’Ucraina?

Mai fidarsi delle troppo facili apparenze. Il super cattivo utile, ma non il solo. Corresponsabili, colpevoli assieme a… La speculazione internazionale. Il gas senza la Russia. ‘Aspettative’, speculatori e calendario verde. Combustibili fossili ancora arma strategica

 

Il super cattivo utile, ma non il solo

Le grandi catastrofi, come i terremoti e soprattutto le guerre, sono distruttive per le relazioni sociali ed economiche di tutti gli uomini. O quasi. Perché, invece, per certi avventurieri, diventano occasioni di facili guadagni. Il caso del deficit energetico e in particolare del gas, che ha messo in ginocchio l’economia europea, è emblematico. Abbiamo attribuito le colpe alle foie sanguinarie di Putin e alla sua ‘volontà di potenza’, spiegando che l’astronomico rialzo dei prezzi dell’energia era dovuto alla riproposizione di un decrepito imperialismo ottocentesco. Che lo aveva portato a tagliare, progressivamente, le forniture come rappresaglia alle sanzioni imposte alla Russia. Vero, ma solo in parte. Diciamo che il Cremlino, in questo caso, è corresponsabile di una crisi commerciale e produttiva nella quale si sono gettati a tuffo gli speculatori internazionali e i pescecani dell’alta finanza.

Corresponsabili, colpevoli assieme a…

In realtà, i prezzi del gas erano già aumentati subito dopo la fine della prima ondata Covid. La ripresa della domanda post-pandemica si era scontrata col ‘collo di bottiglia’ della cosiddetta ‘catena di approvvigionamento’, facendo lievitare i costi di materie prime e semilavorati, a cominciare dall’energia. In sostanza, la massiccia ripresa della domanda internazionale, tutta in un colpo, non era stata adeguatamente compensata dall’offerta. La «tempesta perfetta» si era formata quando la Russia aveva cominciato (strategicamente) a spostare una quota delle sue esportazioni verso l’Asia. Questi movimenti hanno, poi, preparato l’impazzimento definitivo dei mercati, dopo l’invasione dell’Ucraina e le sanzioni economiche occidentali contro Mosca. Però, il successivo andamento nel rapporto tra domanda e offerta, pur essendo stato decisamente alterato, non ha giustificato la violenta esplosione dei prezzi…

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E così si è scoperto che l’UFO abbattuto dal NORAD, era, in realtà, un pallone aerostatico appartenente al “Northern Illinois Bottlecap Balloon Brigade”, un gruppo di arzilli vecchietti amanti del meteo.
Un pallone aerostatico costato 12 dollari, tirato giù con un missile “Sidewinder X” del valore di 400mila dollari, lanciato da un caccia F-22 che costa 150 milioni di dollari e che, per volare, consuma 100mila dollari l’ora…

Mattarella vende armi – Turi Palidda

Tutti i media hanno ignorato l’evento. Ma il Presidente della Repubblica Mattarella ha ricevuto con i massimi onori  l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. L’accordo diplomatico pare sia stato siglato prima dell’arrivo di al-Thani; lo scandalo Qatargate che ha travolto il Parlamento europeo, e ha scoperchiato il “sistema Panzeri” e la sua rete italiana non ha impedito questo evento.

Ovviamente vi ha partecipato anche il ministro della Difesa Guido Crosetto, poiché il Qatar ha comunicato al governo italiano l’interesse a investire in armamenti fabbricati in Italia (spesso come subappalto statunitense).

I qatarini progettano una loro base navale tutta loro sul Golfo Persico e comprano fregate, corvette, e unità anfibie come la “Al Fulk”, varata da Fincantieri di Palermo.

Secondo il Sole 24 ore del 24 gennaio, “La nave fa parte di un contratto, firmato nel 2016, del valore di quasi quattro miliardi che prevedeva la fornitura di sette navi di superficie, di cui quattro corvette della lunghezza di oltre 100 metri, una nave anfibia (LPD – Landing Platform Dock) e due pattugliatori (OPV – Offshore Patrol Vessel)” 

Il Qatar promette di fornire anche gas e perciò servono rigassificatori e impianti di distribuzione.

E così il Presidente Mattarella continua la scia di tutti i presidenti della Repubblica sempre al servizio zelante della produzione e commercio di armi da parte di imprese italiane. Fece eccezione solo quel “sovversivo” di Pertini che il 7 marzo 1949 nel suo discorso al Senato come dichiarazione di voto per l’adesione alla Nato, disse:

Noi siamo contro questo Patto Atlantico dato che esso è in funzione antisovietica. Perché non dimentichiamo, infatti, come invece dimenticano i vostri padroni di oltre Oceano, quello che l’Unione Sovietica ha fatto durante l’ultima guerra. Essa è la Nazione che ha pagato il più alto prezzo di sangue. Senza il suo sforzo eroico le Potenze occidentali non sarebbero riuscite da sole a liberare l’Europa dalla dittatura nazifascista
(si veda Il libro Gli Uomini per essere liberi, a cura di Pietro Perri, vicepresidente della Fondazione Sandro Pertini).

E nei suoi vari scritti Pertini spiega cosa vuol dire rispettare rigorosamente la Costituzione e in particolare l’art. 11(L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali : https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/principi-fondamentali/articolo-11 … non l’hanno ancora cancellato ma non è escluso che Crosetto ci lavora)

E invece il tanto osannato Presidente Mattarella che fa?

da qui

 

 

Slittamento di paradigma – Piero Pagliani

Paradossi, nonsense e pericoli di una svolta storica

Nell’analisi che segue enuncio quelli che mi sembrano dei dati di fatto, tiro alcune somme, pongo una domanda per rispondere alla quale avanzo un’ipotesi sull’oggi e due sul domani concludendo con un’assunzione che in modo irrituale espongo alla fine e non all’inizio. In specifico:

Primo dato di fatto: la guerra contro Kiev ha sancito la fine del monopolio statunitense della violenza planetaria.

Secondo dato di fatto: la guerra stessa ha neutralizzato le sanzioni contro la guerra perché ha ampliato istantaneamente il campo d’attrazione russo.

Terzo dato di fatto: La Russia ha trasformato in una guerra sistemica quella che per lei è alla base una guerra esistenziale.

Prima conclusione: gli Stati Uniti stanno giocando la propria egemonia globale sul terreno più favorevole al proprio avversario, quello che lo ha sempre visto vincitore.

Ipotesi dello sfasamento cronologico: Lo sviluppo ineguale e i meccanismi del circuito globalizzazione-finanziarizzazione hanno suddiviso il mondo in due parti con processi di accumulazione disallineati, cosa che ha portato a una sfasatura rispetto al loro posizionamento nella crisi sistemica: economie finanziarizzate quelle più mature (Occidente collettivo) ed economie reali quelle più giovani (Sud collettivo).

La domanda fondamentale: si tratta solo dello scontro tra blocchi con sviluppo disallineato (cosa che lo avvicinerebbe a un classico conflitto interimperialistico) o da questo conflitto sistemico uscirà (obbligatoriamente?) uno scenario socio-economico che poggia su basi diverse?

Quinto dato di fatto: una nazione oggi può essere egemone globalmente solo a costi altissimi e quindi per un periodo molto limitato di tempo.

Ipotesi sulla conseguenza del quinto dato di fatto: dallo scontro sistemico attuale uscirà un ordine multipolare, cioè non ruotante attorno a un unico centro egemone.

Ipotesi derivata: nel mondo multipolare i rapporti sociali ed economici saranno sensibilmente diversi da quelli che hanno dominato fino ad oggi, oppure il mondo multipolare si esaurirà in un nuovo e più ampio scontro.

Assunzione: Se si rimetterà al centro di questa architettura l’accumulazione senza (un) fine tutte le contraddizioni riemergeranno, ancora più gigantesche e in condizioni che renderanno la loro soluzione ancora più difficile…

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Il petro-yuan come paradigma del nuovo ordine mondiale dell’energia? – Demostenes Floros

Il 3 gennaio 2023, il Financial Times ha pubblicato un articolo dal seguente titolo:

“A new world energy order is taking shape” (“Un nuovo ordine mondiale dell’energia sta prendendo forma”).

Secondo l’autore, Zoltan Pozsar, analista del Credit Suisse, nel 2022, la Cina ha incrementato gli acquisti di greggio e gas naturale liquefatto (GNL) da Iran, Venezuela, Federazione Russa (detentori del 40% delle riserve petrolifere dell’OPEC plus) e alcune nazioni africane, utilizzando la propria valuta nazionale.

Inoltre, il 9 dicembre 2022, nell’ambito del China-Arab States Summit, l’incontro tra il presidente cinese, Xi Jinping, e gli Stati membri del Gulf Cooperation Council (GCC) (detentori di un altro 40% delle riserve petrolifere dell’OPEC plus), avrebbe di fatto segnato “la nascita del petro-yuan”, oltre alla firma di una serie di accordi nel settore dell’energia (30 miliardi di dollari il valore di quelli sottoscritti da Cina e Arabia Saudita).

Più precisamente, Xi Jinping ha affermato che la Cina è pronta a pagare il petrolio e il gas naturale dei produttori del Medio Oriente in yuan. Grazie al sostegno reciproco dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), che Pechino desidera allontanare dall’orbita del dollaro, l’obiettivo sarebbe quello di favorire il rafforzamento della propria valuta nel commercio internazionale a scapito del “biglietto verde” attraverso l’uso della propria piattaforma finanziaria, la Shanghai Petroleum and Natural Gas Exchange, allargando la cooperazione all’esplorazione e alla produzione congiunte nel Mar Cinese Meridionale, nonché a investimenti in raffinerie, prodotti chimici e materie plastiche.

Nonostante lo yuan venga attualmente utilizzato solo per il 2,7% degli scambi commerciali globali a fronte del 41% del dollaro, le ambizioni del petro-yuan non andrebbero sottostimate secondo Oilprice. Il sito statunitense sostiene infatti che la de-dollarizzazione dell’industria petrolifera globale sarebbe in pieno svolgimento (“in full swing”) e sbaglia chi ritiene che questi dati non indichino già oggi una minaccia reale , visto che il piano cinese non potrà che prendere ulteriore slancio, sebbene non sia ancora possibile vederne con chiarezza l’approdo finale .

Nel corso del medesimo Summit, il Ministro degli Esteri saudita, principe Faisal bin Farhan Al Saud, ha precisato che l’Arabia Saudita continuerà a lavorare con tutti i suoi partner, a partire dagli stessi Stati Uniti d’America. “Non lo vediamo come un gioco a somma zero. Non crediamo nella polarizzazione o nella scelta tra le parti” .

Il 31 gennaio 2023, anche il Ministro delle Finanze saudita, Mohammed Al-Jadaan, ha dichiarato che “non ci sono problemi in merito alla discussione su come stabiliamo i nostri accordi commerciali, se in dollari Usa, se in euro, o in riyal. Non credo che stiamo respingendo o escludendo qualsiasi confronto che possa portare a migliorare il commercio in tutto il mondo” .

D’altronde, Riyadh detiene 120 miliardi di dollari in titoli del Tesoro statunitense (U.S. Treasury bonds), mentre la propria valuta – il riyal – è ancorata (currency peg) al dollaro Usa, esattamente come gran parte delle valute dei produttori del Medio Oriente (la Cina detiene 1 trilioni di U.S. Treasury bonds circa ).

Secondo le statistiche dall’Amministrazione Generale delle Dogane cinese, nel 2022, l’Arabia Saudita si è confermata il primo fornitore di greggio della Cina con 1.770.000 b/g, il 18% del totale delle importazioni del “Dragone”, per un valore complessivo di 65 miliardi di dollari.

Nel contempo, le importazioni di greggio russo da parte della Cina sono aumentate dell’8,2%, a 1.730.000 b/g, per un valore complessivo di 58,4 miliardi di dollari (+53%, anno su anno) , nonostante il calo della domanda cinese registrato nei primi 11 mesi del 2022 (-4,6%, anno su anno) .

Per di più, a maggio e novembre 2022, la Federazione Russa è diventata il maggiore fornitore di greggio della Cina, rispettivamente con 1.980.000 b/g (+55% anno su anno e +25% mese su mese) e 1.908.000 b/g (+17% anno su anno e +11% mese su mese), sostituendo momentaneamente l’Arabia Saudita come principale fornitore .

Anche secondo Bloomberg, una parte di questi carichi sono stati acquistati in yuan anziché in dollari, oltre ad essere stati finanziati tramite banche e istituzioni locali” .

Nel 2023, si prevede inoltre che la domanda petrolifera cinese crescerà di 800.000 b/g (anno su anno) sino a sfiorare 16.000.000 b/g . E’ facile prevedere che Arabia Saudita e Federazione Russa copriranno buona parte di tale incremento.

In base a Vortexa, da agosto a dicembre 2022, le esportazioni di greggio iraniano sono raddoppiate, raggiungendo 1.400.000 b/g. Si presume che parecchi tra questi barili siano stati diretti verso la Cina .

Secondo la Reuters, nel 2022, il Venezuela ha esportato 616.540 b/g (greggio e prodotti raffinati), in calo del 2,5% rispetto al 2021 .

Nello specifico, i documenti di spedizione interni della compagnia energetica di Stato venezuelana (PDVSA) e i dati di tracciamento di Refinitiv Eikon, indicano che ad agosto e settembre 2022, le esportazioni di greggio e combustibile del Venezuela – principalmente dirette verso la Cina – hanno rispettivamente oltrepassato 816.450 e 710.000 b/g (+75% rispetto a settembre 2021), dopo che erano crollate sotto i 400.000 b/g a maggio.

Il 30 gennaio 2023, Paul Craig Roberts, già Sottosegretario al Tesoro per la politica economica sotto l’Amministrazione Ronald Reagan, ha scritto che l’interesse per lo yuan da parte dei principali importatori di petrolio al mondo potrebbe essere sorto sulla scia delle sanzioni senza precedenti introdotte dagli Stati Uniti d’America alla Federazione Russa, uno dei maggiori produttori ed esportatori di petrolio al mondo, per la guerra di Mosca in Ucraina .

Il 2 marzo 2022, il Governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, aveva dichiarato in audizione:

“E’ anche possibile avere più di una valuta di riserva [di valore]” .

Al tempo, ci domandammo se dietro a tale dichiarazione si celasse la disponibilità degli Usa di affiancare lo yuan al dollaro come valuta di riserva internazionale, a condizione che la Cina interrompesse immediatamente il proprio sostegno diplomatico e finanziario alla Federazione Russa in Ucraina.

A meno di un anno di distanza, la Cina ha invece sostenuto economicamente la Federazione Russa incrementando gli acquisti di petrolio e gas naturale (nel 2022, Pechino ha importato 15,5 Gm3 di gas naturale attraverso il gasdotto denominato Power of Siberia, +50% circa rispetto al 2021, mentre le importazioni di GNL sono state pari a 8,45 Gm3, +44% circa anno su anno), oltre a lanciare il guanto di sfida del petro-yuan agli Stati Uniti d’America (al G7 più in generale).

Il tempo ci dirà se si tratta effettivamente di tasselli fondamentali nel nuovo ordine mondiale dell’energia che sta prendendo forma, oppure se il necrologio del dollaro, troppo spesso anticipato da più parti, è ancora là da venire…

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QUI l’interessante numero di febbraio 2023 di Archivio Disarmo

 

 

Stefania Maurizi intervista Seymour Hersh

“Io agente russo? Una follia. È la crisi del giornalismo”

È un giornalista investigativo leggendario. Da giorni è al centro di critiche velenose e silenzi tombali sul suo ultimo scoop: l’inchiesta secondo cui gli Stati Uniti, in collaborazione con la Norvegia, hanno condotto un’operazione segreta di sabotaggio per distruggere il gasdotto North Stream. Il Fatto ha raggiunto il Pulitzer americano Seymour Hersh.

La Russia vuole richiedere al Consiglio di Sicurezza Onu una commissione internazionale indipendente per indagare sul sabotaggio di North Stream 1 e 2. Lei cosa si aspetta, considerato il silenzio con cui la stampa Usa ha accolto la sua inchiesta?

Il silenzio non è una novità per me. Ma dalle telefonate che ricevo la storia non sta scomparendo dai media, tutt’altro. Sto cercando di capire le ragioni di questo sabotaggio, che in realtà parte da fine 2021. Perfino gli uomini che l’hanno materialmente eseguito non erano per far saltare in aria il gasdotto. Hanno accolto l’idea di aiutare il presidente Usa Joe Biden nel tentativo di esercitare una minaccia credibile nei confronti di Putin, forse per cercare di fermarlo, all’inizio, prima dell’invasione dell’Ucraina. Ma c’era una chance su un milione di riuscire nell’obiettivo e infatti Putin non si è fermato. Io però credo che quello che Putin voleva fare fosse tenere lontana l’Ucraina dalla Nato. Ma ogni volta che lo dico finisco nei guai, perché vengo dipinto come una sorta di agente segreto russo: una follia. Putin non aveva intenzione di conquistare l’Europa: il suo obiettivo era assicurarsi una zona cuscinetto, come era stata l’Ucraina fino al 2014, fino a quando gli Stati Uniti hanno lavorato al colpo di Stato (con la Rivoluzione di Maidan, ndr). Non c’è dubbio che l’abbiano fatto.

Lei è stato criticato per tre aspetti della sua inchiesta: per aver usato una sola fonte giornalistica; perché alcuni dettagli sono stati smentiti da esperti di open source intelligence; per aver scritto che l’attuale capo della Nato cooperò con l’intelligence Usa fin dal Vietnam, solo che allora Jens Stoltenberg era un teenager…

Non parlo delle mie fonti. Ho una lunga storia di scoop basati su fonti anonime. Trent’anni fa pubblicai un’inchiesta sul New Yorker sul generale Barry McCaffrey. Durante la prima guerra del Golfo, nel 1991, McCaffrey aveva attaccato la divisione irachena Hammurabi, due o tre giorni dopo il trattato di pace che aveva posto fine alla guerra. Quell’unità si era arresa, ma lui aveva ucciso tutti, circa 800 uomini. Avevano coperto la storia. Io lo rivelai. McCaffrey mi attaccò e uscì sul Washington Post una grande storia in cui mi accusava di mentire. La Casa Bianca, allora guidata da Bill Clinton, lo supportò in tutto. Le mie rivelazioni caddero nel vuoto, e il fatto che tutti fossero citati per nome e cognome non fece differenza. Così quando i media dicono: “Non ci sono fonti citate, è un resoconto anonimo…”, io so già di cosa parliamo. Se il New York Times o il Washington Post scelgono di non riprendere certe notizie, di non scrivere, per me va bene: è un problema loro. Il giornalismo americano sta attraversando un periodo difficile…

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EOS, la fiera delle armi come fossero una merce qualsiasi – Mao Valpiana

Un mercato da “sdoganare” per diffondere la cultura della “difesa fai da te”

Qui le proposte di Rete italiana Pace e Disarmo

Negli stessi padiglioni dove tra qualche settimana al Vinitaly verranno esposte bottiglie di Lugana o Amarone, di Prosecco o Brunello, da oggi ci sono fucili, pistole, armi semiautomatiche, da tiro o da difesa. EOS viene presentata come una festa degli sport all’aperto (caccia, pesca, nautica …) ma è in realtà un’esposizione (e vendita) di armi da fuoco. Ce n’è di ogni tipo.
Il regolamento del Vinitaly vieta l’ingresso ai minori di 18 anni, EOS invece offre il biglietto gratuito ai bambini fino a 13 anni, purché abbiano il permesso di compiacenti genitori, e avranno libero accesso in tutti i padiglioni anche dove si possono prendere in mano le armi.
Vino no, ma armi sì. Ma è mai possibile?
Per provarle, novità di quest’anno, si può accedere gratuitamente al poligono di tiro Concaverde di Lonato, per provare l’ebbrezza di sparare con armi rigate e pistole.

Ma c’è ancora di peggio.
All’evento Eos ad esporre i propri prodotti c’è anche la T73Manifacturing che pubblicizza nel catologo ufficiale della fiera i propri prodotti assemblati al 100% in Italia, assicurando “qualità, prestazioni e affidabilità. Ovunque tu sia e chiunque tu sia, un soldato sul campo di battaglia o un genitore che protegge la sua famiglia, sai che puoi fidarti delle armi T73”.
Quale spiegazione offre l’Ente Veronafiere, presieduta dall’ex deputato leghista Federico Bricolo, ente pubblico, di cui il Comune di Verona è azionista di per il 39,5%? C’è proprio bisogno di una fiera delle armi? Molti di questi “prodotti” sono gli stessi che poi ritroviamo nelle cronache delle stragi e dei femminicidi. Si tratta in realtà di una operazione ideologica per incentivare la diffusione e la cultura delle armi.

Viene presentata come la Fiera degli sport all’aria aperta, ma a fianco di attrezzi per la pesca o il campeggio, vi sono padiglioni che espongono armi comuni (non solo da caccia) da difesa personale, ma anche fucili semiatumatici, pistole per corpi di sicurezza pubblici e privati, ecc.
Siamo di fronte ad una anomalia e ad un chiaro tentativo di banalizzazione del male: tutto viene reso uguale, parificato, armi da offesa vengono pubblicizzate come canne da pesca, fucili presentati come oggetti innocui al pari di una torcia da campeggio, alla portata di bambini che vengono invitati a prendere in mano ed entrare in confidenza con armi da fuoco.
Per questo chiediamo che nelle prossime edizioni ci si limiti ad una Fiera davvero solo sportiva, eliminando completamente il settore della difesa personale (sparare ai ladri è uno sport??!!).

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La guerra che arricchisce – Giovanni Punzo

Affari di guerra, gli antichi

Nelle guerre dell’antichità la prima cosa che di solito cominciava a scarseggiare durante un conflitto erano i cereali – producendo conseguenze dirette sulla produzione del pane – o gli altri prodotti agricoli. Non scomparivano del tutto all’improvviso, ma più o meno lentamente la situazione cambiava e aumentavano i prezzi, perché qualche mercante ne aveva fatto incetta e li rivendeva a prezzi maggiorati con enormi profitti.
Tucidide racconta durante la guerra del Peloponneso dei passaggi di mano in mano di enormi ricchezze ottenute con questo sistema o altre frodi. Più frequente, nella successiva epoca romana, fu invece il peculato, ovvero l’appropriazione di fondi dello stato destinati alla guerra da parte di consoli o tribuni o di somme versate come condizioni per il trattato di pace.
La stessa parola ‘peculato’ deriva infatti da ‘pecus’ (pecora) ed indicava nel diritto romano l’appropriazione di un gregge pubblico. Celebri le accuse rivolte da Catone a Publio Cornelio, vincitore della battaglia di Zama, e Lucio Scipione, accusati di essersi impossessati di fondi pubblici. Gli arricchimenti e i profitti straordinari dunque non mancarono, ma solo quando l’economia e la guerra divennero più complesse si crearono altri casi più articolati.

Wallenstein

Le strutture statali, gli eserciti e le flotte da guerra come le intendiamo oggi cominciarono a formarsi dal Rinascimento in poi; prima non esistevano eserciti permanenti, nel senso che in caso di guerra si armavano le truppe necessarie a combatterla e poi si congedavano. Un caso singolare di imprenditore e comandante fu quello di Albert Wallenstein durante la guerra dei Trent’anni. Wallenstein aveva messo a disposizione dell’imperatore un’armata di mercenari, un complesso militare costosissimo, dal quale però ricavava anche dei profitti…

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Ucraina e Nord Stream, i crimini di guerra di Biden – Andrew Napolitano – The Washington Times

Che cosa è più distruttivo per la libertà personale: un governo che si impegna in atti segreti di guerra, o un pubblico e dei media che sono indifferenti a questo? Nell’attuale stufato tossico USA di odio anti-russo e di tamburi di guerra – negli Stati Uniti del Presidente Biden – abbiamo entrambe le cose.

Ecco i retroscena.

La guerra in Ucraina è giunta al 12° mese. È diventata un lento e inesorabile movimento verso ovest delle forze militari russe e la dolorosa migrazione di 5 milioni di ucraini dal loro Paese, per non parlare della perdita di 130.000-150.000 soldati ucraini.

Il Congresso ha autorizzato il Presidente a spendere fino a 100 miliardi di dollari in denaro preso in prestito per sostenere le motibonde forze ucraine. Finora ne ha sprecato circa la metà in attrezzature militari e contanti donati.

Gran parte dell’equipaggiamento militare non proviene dal surplus statunitense, ma dai magazzini di attrezzature per l’autodifesa. E molte delle attrezzature fornite dagli Stati Uniti sono così sofisticate che le truppe ucraine stanno imparando a usarle, mantenerle e ripararle in Oklahoma. Alcune di esse sono così sofisticate che le truppe USA sono sul campo in Ucraina, senza uniforme, per istruire gli ucraini sull’uso e la manutenzione delle attrezzature. Alcune di queste attrezzature richiedono che i soldati statunitensi prendano di mira le truppe russe e sparino i missili.

Le truppe USA senza uniforme rappresentano un’arma a doppio taglio per Biden. Se sono disarmate e senza uniforme, può legalmente negare che gli Stati Uniti abbiano “stivali sul terreno”. Ma poiché non sono in uniforme e sostengono le ostilità, possono essere legalmente colpiti dalle truppe russe, catturati e giustiziati come spie che lavorano per l’Ucraina. È così che gli Stati Uniti hanno iniziato la loro disastrosa e criminale guerra in Vietnam.

Qual è l’obiettivo di Biden? È l’espulsione delle truppe russe dall’Ucraina e persino dalla Crimea russofona, o è la cacciata del Presidente russo Vladimir Putin dalla sua carica? La Casa Bianca non può o non vuole essere precisa su questo punto perché nessuno dei due obiettivi è militarmente raggiungibile, morale o costituzionale.

Il Congresso non può finanziare una guerra che coinvolge gli USA e che non ha dichiarato, come dice chiaramente la Costituzione. Inoltre, le forze di terra russe stanno per aumentare di circa 300.000-500.000 unità. Quelle truppe non potranno che sopraffare le forze ucraine e i loro istruttori statunitensi, indipendentemente dall’equipaggiamento fornito e gestito dagli Stati Uniti.

Ma l’impiego di truppe senza uniforme e la spesa di 50 miliardi di dollari senza un obiettivo chiaro e raggiungibile non è la peggiore decisione presa da Biden in questo conflitto. Tutti questi sprechi sono ben noti. Ciò che non era noto fino alla scorsa settimana era l’atto di guerra che l’amministrazione Biden ha intrapreso contro la Germania e la Russia. Contro la Germania? Sì, contro la Germania.

L’industria tedesca e russa ha costruito un gasdotto per il gas naturale nel Mar Baltico, chiamato Nord Stream Pipeline. Il gasdotto ha permesso al governo russo di vendere e consegnare gas naturale russo a basso costo alle aziende tedesche…

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Quali sono le ragioni della guerra della Russia? – Paul Schreyer

Putin vuole costruire un impero o garantire la sovranità e l’esistenza della Russia? Questa domanda, dalla cui risposta dipende la valutazione della guerra, è ancora poco discussa nei grandi media. Probabilmente perché tutti pensano di conoscere già la risposta. Ma questa certezza può essere politicamente devastante. Una ricerca di indizi

Il 27 febbraio 2022, tre giorni dopo l’inizio della guerra, il cancelliere Scholz ha dichiarato nel Bundestag (video) che il presidente russo stava guidando l’attacco contro l’Ucraina “per una sola ragione”: “La libertà degli ucraini mette in discussione il suo regime oppressivo”. Putin vuole quindi “cancellare un paese indipendente dalla mappa del mondo”, “riorganizzare fondamentalmente le condizioni in Europa secondo le sue idee” e “stabilire un impero russo”.

Da allora, la politica tedesca si è basata su questa argomentazione del Cancelliere, che alla fine è culminata nella decisione degli ultimi giorni di consegnare pesanti carri armati all’Ucraina. I carri armati tedeschi stanno rotolando di nuovo contro la Russia, come lo furono l’ultima volta nel 1941-1945 .

L’argomentazione di Scholz è coerente con l’interpretazione degli Stati Uniti, vi somiglia alla lettera. Tuttavia, è scarsamente o per niente documentato. John Mearsheimer, nato nel 1947 e uno dei politologi più rinomati a livello internazionale, lo ha sottolineato in un saggio dettagliato nel giugno 2022 :

“Si dice che [Putin] abbia ambizioni imperiali: vuole conquistare l’Ucraina e altri paesi per creare una Grande Russia che abbia qualche somiglianza con l’ex Unione Sovietica. In altre parole, l’Ucraina è il primo obiettivo di Putin, ma non l’ultimo. (…) Sebbene questa narrazione sia ripetuta più e più volte nei media mainstream e praticamente da tutti i leader occidentali, non ci sono prove a sostegno. (…)

Per dimostrare che Putin voleva conquistare tutta l’Ucraina e incorporarla nella Russia, bisogna dimostrare, in primo luogo, che pensava che questo fosse un obiettivo utile, in secondo luogo, che pensava che fosse un obiettivo fattibile, e terzo , che ha raggiunto quell’obiettivo che intendeva perseguire. Non ci sono prove che il 24 febbraio, quando Putin ha inviato le sue truppe in Ucraina, contemplato, per non parlare dell’intenzione, di porre fine all’Ucraina come stato indipendente e renderla parte della Grande Russia. (…)

Si potrebbe sostenere che Putin abbia mentito sulle sue motivazioni, che abbia cercato di coprire le sue ambizioni imperiali. Ho scritto un libro sulle bugie nella politica internazionale ed è chiaro per me che Putin non ha mentito. Uno dei miei punti chiave è che i leader non mentono spesso gli uni agli altri, ma piuttosto ai loro stessi dipendenti. Quanto a Putin, qualunque cosa si possa pensare di lui, non è noto per aver mentito ad altri leader. Sebbene alcuni affermino che sia un bugiardo frequente e non ci si possa fidare, ci sono poche prove che abbia mentito ad ascoltatori stranieri. (…) Non ha mai dichiarato di voler rendere l’Ucraina parte della Russia. Se questo comportamento fa parte di una gigantesca campagna di inganni, quindi questo sarebbe senza precedenti nella storia. (…)

Fu solo quando scoppiò la crisi ucraina nel febbraio 2014 che gli Stati Uniti e i loro alleati iniziarono improvvisamente a descrivere Putin come un leader pericoloso con ambizioni imperiali e la Russia come una seria minaccia militare che doveva essere contenuta. Cosa ha causato questo spostamento? Questa nuova retorica doveva servire a uno scopo vitale: consentire all’Occidente di incolpare Putin per aver iniziato i disordini in Ucraina. E ora che la crisi si è trasformata in una vera e propria guerra, è imperativo assicurarsi che solo lui sia ritenuto responsabile di questa svolta disastrosa degli eventi. Questo gioco della colpa spiega perché Putin è ora ampiamente descritto come un imperialista qui in Occidente, nonostante poche prove a sostegno di tale prospettiva”…

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Carlo Bellisai: stop armi, iniziare negoziati seri (intervista di Olivier Turquet)

Carlo Bellisai, Movimento Nonviolento Sardo, è tra gli organizzatori della manifestazione di sabato prossimo a Cagliari “No all’invio delle armi, fermiamo le guerre”.

Carlo come stanno andando le adesioni?

Dal febbraio del 2022 abbiamo contribuito alla formazione del Coordinamento Provinciale Prepariamo la Pace, che riunisce le principali forze della società civile: dal Movimento Nonviolento ai sindacati di base, dall’ARCI al Social Forum, da Potere al Popolo alle associazioni ambientaliste, fino ai collettivi studenteschi. I fondamenti del coordinamento non sono quelli di un pacifismo generico, ma di un movimento con una chiara impronta disarmista: sinché si producono e si inviano armi, la guerra sarà sempre più vicina alle nostre case. La CGIL ha una posizione meno chiara sul ruolo delle industrie belliche e questo l’ha portata a non aderire alla giornata del 25 febbraio, preferendo indire un sit-in per proprio conto. Contiamo comunque su adesioni anche di gruppi provenienti da altre zone dell’isola, anche assai distanti da Cagliari, come le donne dell’associazione Nord-Sud di Tempio.

La manifestazione ha un titolo senza dubbi “No all’invio delle armi, fermiamo le guerre”, una presa di posizione chiara contro l’escalation militare come unica soluzione e un esplicito ricordo che la guerra non sta solo in Ucraina: puoi approfondire questi due temi?

Le nostre parole d’ordine sono inequivocabili: per fermare la guerra, occorre uno stop alle forniture d’armi e un avvio di negoziati seri. Sappiamo che, attraverso i sistemi di distruzione e di strage, la guerra consuma le sue orrende escalation, autoalimentandosi. Inoltre non esistono guerre giuste: tutte le guerre presenti nel mondo sono il prodotto delle mire imperialiste delle grandi potenze, o delle medie potenze regionali: mai incarnano i diritti e gli interessi dei popoli, che ne sono solo le vittime.

La Sardegna vive da tempo immemorabile il militarismo e le servitù militari sulla pelle del proprio territorio, della propria gente: questo ha generato maggiore consapevolezza, maggiore determinazione?

I due terzi del territorio italiano militarizzato ha base sulla nostra isola. Si tratta di una servitù pesantissima, che negli anni ha causato gravissimi danni all’ambiente e alla salute umana: basti pensare ai veleni di Quirra, o al disastro ambientale di Capo Teulada, ai militari e civili morti, o gravemente malati, in conseguenza dell’esposizione all’uranio impoverito, al torio e ad altre sostanze radioattive.

La lotta antimilitarista in Sardegna ha una sua storia: dalla rivolta nonviolenta di Pratobello nel 1969, alle marce contro la base nucleare USA a La Maddalena negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, fino alla grande manifestazione di Capo Frasca nel 2014, con la presenza di 15.000 persona, davanti alla base militare dell’Oristanese. Poi quella partecipazione non si è più ripetuta e, negli ultimi anni, viaggiamo su numeri nettamente più bassi.

La scorsa primavera abbiamo assistito ad un’esercitazione aereo-navale impressionante: tutto il territorio e il mare sembravano finiti in mano militare. E per questa primavera, è già stata annunciata un’altra imponente esercitazione della NATO. La consapevolezza è piuttosto diffusa, ma non sempre diventa partecipazione diretta alle campagne ed alle iniziative. Stiamo cercando di trovare occasioni per entrare in contatto con la gente, per spiegare cosa intendiamo per pace e disarmo.

Cagliari è sempre presente anche in gesti di portata internazionale come le recenti manifestazioni per Assange, cosa anima lo spirito internazionalista qui da voi?

Oggi non si può fare ameno di avere una visione mondiale della situazione, perché tutto è collegato. Sostenere chi è perseguitato per reati d’opinione, così come le lotte dei popoli oppressi, mi sembra semplicemente naturale per chi abita su un’isola che è stata colonizzata a partire dall’epoca romana fino al presente. C’è sempre da lavorare sulla memoria, per trarne apprendimenti.

Ma, tornando al presente, mi auguro che ci sia una risposta della popolazione contro la guerra mondiale, a forte rischio nucleare, che si sta preparando davanti ai nostri occhi. Il 25 febbraio a Cagliari in piazza Garibaldi alle 9,30, in contemporanea con la manifestazione dei portuali di Genova, che hanno saputo bloccare più volte le armi in transito nel loro porto, grideremo: BASTA ARMI! PREPARIAMO LA PACE.

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Il Rapporto Hersh inchioda lo stato sponsor del terrorismo per eccellenza – Pepe Escobar

The Cradle

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

Chiunque abbia un cervello sapeva già che era stato l’Impero. Ora il rapporto bomba di Seymour Hersh non solo descrive nei dettagli come sono stati attaccati Nord Stream 1 e 2, ma fa anche i nomi: dal trio tossico neoliberista straussiano Sullivan, Blinken e Nuland fino al Lettore-di-Teleprompter-in-capo.

La perla più incandescente della narrativa di Hersh è quella di indicare la responsabilità finale direttamente alla Casa Bianca. La CIA, da parte sua, la fa franca. L’intero rapporto può essere letto come l’inquadramento di un capro espiatorio. Un capro espiatorio molto fragile e scadente – con quei documenti classificati nel garage, gli infiniti sguardi nel vuoto, la cornucopia di borbottii incomprensibili e, naturalmente, l’intera, raccapricciante giostra della corruzione familiare, durata anni, in Ucraina e dintorni, ancora da svelare completamente.

Il reportage di Hersh è saltato fuori subito dopo i terremoti mortali in Turchia/Siria. Si tratta di un terremoto di giornalismo investigativo in sé, che passa sopra le linee di faglia e rivela innumerevoli fessure a cielo aperto, pepite di verità che ansimano in mezzo alle macerie.

Ma è tutto qui? La narrazione regge dall’inizio alla fine? Sì e no. Prima di tutto, perché proprio ora? Si tratta di una fuga di notizie – essenzialmente da un insider dello Stato profondo, la fonte chiave di Hersh. Questo remix di “Gola Profonda” del XXI secolo può essere inorridito dalla tossicità del sistema, ma allo stesso tempo sa che qualsiasi cosa dica non avrà conseguenze.

La vile Berlino – che ha sempre ignorato i dettagli del sistema – non emetterà nemmeno un cigolio. Dopo tutto, la banda dei Verdi è in estasi, perché l’attacco terroristico ha fatto avanzare la loro agenda medievale di deindustrializzazione. Parallelamente, come bonus extra, tutti gli altri vassalli europei ricevono un’ulteriore conferma che questo è il destino che li attende se non seguono la Voce del Suo Padrone.

La narrazione di Hersh inquadra i norvegesi come il complice essenziale del terrore. Non c’è da sorprendersi: Jens “La pace è la guerra” Stoltenberg della NATO è stato una risorsa della CIA per circa mezzo secolo. E Oslo, ovviamente, aveva i suoi motivi per partecipare all’accordo: incassare un sacco di soldi extra vendendo qualsiasi energia di riserva a clienti europei disperati.

Un piccolo problema narrativo è che la Norvegia, a differenza della Marina statunitense, non ha ancora alcun P-8 Poseidon operativo. Ciò che era chiaro all’epoca è che un P-8 americano faceva la spola – con rifornimento in volo – dagli Stati Uniti all’isola di Bornholm.

Un titolone clamoroso è che Hersh – o meglio, la sua fonte chiave – ha fatto sparire completamente l’MI6 dalla narrativa. L’SVR, l’intelligence russa, si era concentrata come un laser sull’MI6 all’epoca, oltre che sui polacchi. Ciò che continua a consolidare la narrativa è che la combo dietro “Biden” ha fornito la pianificazione, le informazioni e coordinato la logistica, mentre l’atto finale – in questo caso una boa sonar che ha fatto esplodere l’esplosivo C4 – potrebbe essere stato perpetrato dai vassalli norvegesi.

Il problema è che la boa potrebbe essere stata sganciata da un P-8 americano. E non c’è alcuna spiegazione del perché una delle sezioni del Nord Stream 2 sia uscita intatta.

Il modus operandi di Hersh è leggendario. Dal punto di vista di un corrispondente estero sul campo dalla metà degli anni ’90, dagli Stati Uniti e dalla NATOstan a tutti gli angoli dell’Eurasia, è facile per uno come me capire come utilizza le fonti anonime e come accede – e protegge – la sua vasta lista di contatti: la fiducia funziona in entrambi i sensi. Il suo curriculum è assolutamente ineguagliabile.

Ma naturalmente rimane la possibilità: e se si stessero prendendo gioco di lui? Non è altro che una frequentazione limitata? Dopotutto, la narrativa oscilla a rotta di collo tra dettagli minuziosi e parecchi vicoli ciechi, con un’enorme traccia cartacea e troppe persone nel giro – il che implica un rischio esagerato. La CIA che esita troppo ad affondare il colpo è un allarme rosso certificato in tutta la narrativa – soprattutto quando sappiamo che gli attori subacquei ideali per un’operazione del genere sarebbero stati la Divisione Attività Speciali della CIA e non la Marina degli Stati Uniti…

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LA SCONFITTA DELL’UCRAINA SI VA DELINEANDO – Thierry Meyssan

È un segreto di pulcinella: il governo di Kiev sta perdendo militarmente di fronte alle forze armate russe, che avanzano senza fretta e costruiscono la difesa delle regioni in cui un referendum ha sancito l’adesione alla Federazione di Russia. Ma questa inesorabile realtà ne cela altre. Per esempio, che la Turchia, membro della Nato, sostiene la Russia e le fornisce componenti di armamenti. Non soltanto l’Alleanza Atlantica sta perdendo, ma mostra crepe al suo interno.

Il futuro dell’Ucraina si sta delineando. Il conflitto oppone da un lato il governo di Kiev, che rifiuta di onorare la firma degli Accordi di Minsk, dall’altro la Russia, che intende far rispettare la risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza che li ha ratificati. Da una parte uno Stato che rifiuta il diritto internazionale ed è sostenuto dagli Occidentali, dall’altra uno Stato che rifiuta le regole occidentali ed è sostenuto da Cina e Turchia.

Come è accaduto che il presidente Volodymyr Zelensky, eletto per applicare gli Accordi di Minsk, si sia trasformato in nazionalista integralista [1], in difensore di fanatici eredi dei peggiori criminali del XX secolo? È un mistero. L’ipotesi più probabile è finanziaria: con la pubblicazione dei Paradise Papers è emerso che Zelensky possiede conti off-shore, nonché proprietà in Inghilterra e Italia. In realtà Zelensky non ha molto in comune con i nazionalisti integralisti. È un codardo. All’inizio della guerra è rimasto per diverse settimane nascosto in un bunker, probabilmente nella periferia di Kiev. Ne è uscito solo dopo che il primo ministro israeliano, Naftali Bennet, gli ha garantito di aver ricevuto da Putin l’impegno a non uccidere il presidente ucraino [2]. Da allora Zelensky fa il gradasso in video a ogni vertice politico e festival artistico occidentali.

Come è accaduto che la Turchia, membro della Nato, si sia impegnata dalla parte della Russia? È più facile capirlo per chi ha seguito i tentativi di uccisione del presidente Recep Tayyip Erdogan da parte della CIA. Agli inizi Erdogan non era che un teppista di strada. Successivamente si è identificato in una milizia islamica che l’ha condotto ad avvicinarsi sia agli insorti afghani sia agli jihadisti russi d’Ichkeria. Solo dopo questo percorso è entrato in politica, nel senso classico del termine. Quando sosteneva i gruppi mussulmani antirussi era un agente della CIA. Come accade spesso, arrivato al potere ha visto le cose sotto un altro aspetto. Si è progressivamente staccato da Langley e si è messo al servizio del popolo turco. Però la sua evoluzione personale ha coinciso con i numerosi cambiamenti di strategia del Paese. La Turchia, che non ha mai digerito la caduta dell’Impero Ottomano, si è cimentata in diverse strategie: è candidata dal 1987 a entrare nell’Unione Europea; nel 2009, con Ahmet Davutoglu, ha pensato di ripristinare l’influenza ottomana. Passo dopo passo, Ankara ha immaginato di poter fondere l’obiettivo nazionale e il percorso personale del presidente e diventare patria dei Fratelli Mussulmani, nonché ripristinare il Califfato, abrogato da Mustafa Kemal nel 1924. Ma la caduta dell’Emirato Islamico la obbliga ad abbandonare il progetto. La Turchia si volge così verso i popoli turcofoni; dapprima esita a inglobarvi gli uiguri, infine sceglie le popolazioni etnicamente turche. Comunque sia, questa ricerca l’ha condotta a non aver più bisogno degli europei e degli Stati Uniti, ma della Russia e della Cina. Da ultimo, dopo la vittoria contro l’Armenia, Ankara ha creato l’Organizzazione degli Stati Turchi: Kazakistan, Kirghizistan, Turchia e Uzbekistan; Ungheria e Turkmenistan sono Stati osservatori.

Secondo il Wall Street Journal, attualmente 15 società turche esportano ogni mese 18,5 milioni di dollari di materiale acquistato dagli Stati Uniti destinato a società russe soggette alle misure coercitive unilaterali Usa, presentate come «sanzioni» dalla propaganda atlantista [3]. Il viaggio ad Ankara del sottosegretario al Tesoro degli Stati Uniti – con l’incarico per Terrorismo e Intelligence finanziaria – Brian Nelson, per costringere la Turchia a rispettare le regole occidentali, è stato inutile: Ankara continua a sostenere segretamente le forze armate russe.

Quando l’emissario statunitense ha fatto notare che, schierandosi dalla parte destinata alla sconfitta, ossia la Russia, la Turchia si era avviata su una brutta strada, gli interlocutori turchi gli hanno snocciolato i veri numeri della guerra in Ucraina, elaborati dal Mossad e pubblicati da Hürseda Haber [4]: sul campo, il rapporto delle forze è di 1 a 8 per la Russia. I morti russi sono18.480, quelli ucraini 157.000. Come nella favola di Andersen, il re è nudo.

Oggi la Turchia blocca l’adesione alla Nato della Svezia, nonché quella della Finlandia, presentata con lo stesso dossier. Se si prendono per buone le informazioni del Wall Street Journal, non può essere un caso. Ankara aveva ottenuto da questi due Paesi l’impegno di estradare i capi del PKK e del movimento di Fetullah Gülen; impegno non rispettato. Non poteva essere altrimenti, dato che il PKK, un tempo alleato dei sovietici, dopo l’arresto del suo capo, Abdullah Öcalan, è diventato strumento della CIA e oggi si batte agli ordini della Nato [5]. Quanto a Fetullah Gülen, vive negli Stati Uniti, protetto dalla CIA.

Quindi ora la Turchia sostiene la Russia come fa la Cina: fornisce componenti all’industria bellica e le invia materiale di fabbricazione statunitense. A differenza però di Croazia e Ungheria – membri della Nato che non esitano a dichiarare pubblicamente che il sostegno all’Ucraina è una stupidaggine, ma non lasciano l’Alleanza – Ankara finge di essere convintamente atlantista.

Il terremoto che ha colpito Turchia e Siria non ha le caratteristiche dei terremoti finora osservati nel mondo. Il fatto che una decina di ambasciatori occidentali abbiano lasciato Ankara nei cinque giorni precedenti il sisma e che, nello stesso periodo, i loro Paesi abbiano diramato raccomandazioni di non recarsi in Turchia, sembra suggerire che gli Occidentali sapessero in anticipo quel che stava per accadere. Gli Stati Uniti possiedono i mezzi tecnici per provocare terremoti. Nel 1976 s’impegnarono a non ricorrervi…

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Tutti i cacciabombardieri per Zelensky – Gianandrea Gaiani

 Non dovrebbero più stupire le continue richieste in denaro e armamento deli vertici del governo ucraino, culminate dopo il sofferto via libera alla consegna di carri armati da parte dei dell’Occidente nella pretesa di ottenere aerei da combattimento e missili da crociera. Il presidente Volodymyr Zelensky ha pure redatto una lista dei velivoli che ogni membro della NATO potrebbe cedere all’Aeronautica Ucraina, a oggi equipaggiata con velivoli di tipo russo/sovietico.

Già nei mesi scorsi Kiev ha ricevuto aiuti aeronautici da alcune nazioni dotate di velivoli Mig e Sukhoi: la Polonia ha girato a Kiev ricambi e armi per i Mig 29 e sarebbe pronta a fornire tutta la sua flotta di 30 caccia. Lo stesso ha fatto la Slovacchia che schiera una dozzina di Mig 29 mentre Bulgaria e Macedonia del Nord hanno ceduto a un partner della NATO non meglio precisato rispettivamente 14 e 4 aerei da attacco Sukhoi Su-25, poi girati a Kiev.

Le richieste di aerei da combattimento occidentali presero il via già la primavera scorsa ma si sono intensificate nelle ultime settimane. Meglio inoltre ricordare che un piano da 100 milioni di dollari per addestrare negli Stati Uniti i piloti ucraini a volare su F-16, F-15 e A-10 venne reso noto già l’estate scorsa da Washington.

Mentre Zelensky chiede a tutti gli alleati di fornire all’Ucraina diversi tipi di aerei da combattimento, il colonnello Yurii Ihnat (nella foto sotto), portavoce dell’Aeronautica, ha espresso la necessità di disporre di 200 caccia F-16 (nelle due foto sopra anticipazioni pittoriche tratte da Global Security di F-16V Viper con le insegne e la livrea dell’Aeronautica Ucraina) per sostituire i velivoli da combattimento oggi in servizio (Mig 29, Su-27 e Su-25).

“Dobbiamo creare fino a cinque brigate di aerei tattici con un unico modello di velivolo multiruolo di tipo occidentale. Ora si sta determinando quale tipo sarà e l’F-16 è il candidato più probabile. Ovviamente non possiamo riceverli tutti in una volta, il passaggio graduale a un nuovo jet multiruolo richiede tempo”…

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C’è Sanremo: gli USA fanno esplodere il Nord Stream, ma chissenefrega? – Alfredo Tocchi

La vita qui nelle colonie dell’Impero è sempre uguale. C’è una guerra con già centinaia di migliaia di morti, ma è in TV. Qui si paga tutto più caro ma non si muore sotto le bombe. I nostri figli sono i nuovi poveri, ma sul divano accanto a noi

.

Mentre la patria del bel canto si domanda chi vincerà il festival di Sanremo, la notizia dell’inchiesta giornalistica condotta dal premio Pulitzer Seymour Hersh sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream passa in secondo piano, oserei dire in cronaca, senza che la politica, la magistratura o l’opinione pubblica si pongano serie domande.
In estrema sintesi, Seymour Hersh sostiene (con dovizia di particolari), che i due gasdotti siano stati fatti esplodere da sommozzatori americani incaricati da Joe Biden, il quale, prima di autorizzare la missione, avrebbe persino avvertito Olaf Scholz.
La cosa sembra non interessare a nessuno, siamo talmente abituati all’assurdo da non essere più in grado di indignarci. In fondo, Gli Stati Uniti hanno compiuto un sabotaggio per liberare l’Europa (e soprattutto la Germania) dalla dipendenza dal gas fornito a basso costo dalla Federazione Russa, ottenendo un triplice risultato: indebolire la Federazione Russa, rendere l’Europa non condizionabile e vendere il proprio gas liquido. I risultati sono stati raggiunti, nessuno (neppure Olaf Scholz) si è lamentato, dunque si può affermare che Joe Biden abbia agito legittimamente.
Da giurista – so di essere pedante – avrei molto da obiettare.
Mai come in questi ultimi tre anni abbiamo assistito a un fenomeno di sistematica violazione del diritto vigente in nome dello stato di emergenza (pandemica, bellica). E’ sufficiente leggere le motivazioni con cui la Corte Costituzionale ha giudicato legittimi gli obblighi vaccinali per rendersi conto che sì, esiste ancora una Costituzione, ma in casi di emergenza il potere esecutivo può violarla nell’interesse collettivo. Mi limito, sommessamente, a osservare che le Costituzioni sono nate proprio per tutelare i cittadini contro gli abusi del potere esecutivo
Così, un atto di terrorismo internazionale compiuto con l’autorizzazione del Presidente degli Stati Uniti passa sotto silenzio: il fine giustifica i mezzi.
La logica di guerra – che giorno dopo giorno ci avvicina a una catastrofe senza precedenti nella storia – prevale su tutto, persino sul diritto. In fondo, il diritto è un lusso che ci possiamo permettere in tempi ordinari, ma questi sono tempi emergenziali. Nessuno osserva che se i nostri sono tempi emergenziali è perché qualcuno ha perseguito un preciso disegno politico di allargamento della NATO (per non parlare del perseguimento dei progetti di gain of function che hanno fatto sì che un virus creato in laboratorio uccidesse oltre sei milioni di noi esseri umani)…

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Anche negli USA si chiede la pace in Ucraina e il ritiro della NATO – Patrick Boylan

Gli interventi tenuti presso il People’s Forum (principalmente in lingua inglese, qualcuno in lingua spagnola)  sono visibili cliccando sul link seguente: https://www.youtube.com/watch?v=gEG_CErmoMM

 

Ma com’è possibile riportare la pace in Ucraina dicendo NO alla NATO? Che c’entra la NATO?

Ce lo spiegano gli Statunitensi per la Pace e la Giustizia di Roma, in un loro documento diffuso in occasione della manifestazione dei fratelli newyorkesi. Eccone un brano esteso.

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Il conflitto in Ucraina non nasce dal tanto sbandierato “desiderio di impero” del presidente russo, Vladimir Putin, bensì dal molto meno sbandierato “desiderio di impero” della NATO… e di Wall Street. Si tratta di un desiderio di dominare e di sfruttare altri paesi, lo stesso impulso che ha portato alle invasioni (rivelatesi poi ingiustificate) dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Libia, della Siria e poi, nel 2014, della stessa Ucraina quando, ad assaltare Kiev e ad imporre un leader voluto da Washington, erano le milizie ucraine filo naziste addestrate nelle caserme NATO in Polonia.

Oggi – come nel lontano 2014 – si vede a malapena la mano della NATO dietro l’insorgere dei tragici eventi in Ucraina. Ma c’è. E riconoscere questo fatto è importante perché ci consente, a noi pacifisti occidentali, di poter agire da protagonisti per riportare la pace.

Prima, però, dobbiamo renderci pienamente conto in che maniera la NATO ha agito e agisce.

Secondo la Narrazione Ufficiale, appena ricordata, il conflitto in Ucraina sarebbe dovuto esclusivamente al sogno del sig. Putin di diventare un nuovo Hitler e di conquistare il mondo. Solo che, sogni a parte, Putin sa benissimo – come i fatti stanno a dimostrare – che la Russia è sì una potenza nucleare, ma non ha le forze per condurre una guerra planetaria e nemmeno una guerra su scala europea; addirittura, ha molta difficoltà a fare una guerra nella sola regione est dell’Ucraina, il Donbass. Quindi, a meno di non essere completamente pazzo, il sig. Putin non può aver attaccato l’Ucraina, come ha fatto, convinto di essersi lanciato alla conquista del mondo, un pezzo alla volta, come recita la propaganda del Pentagono ripresa dai mass media mainstream.

Putin ha attaccato l’Ucraina perché la NATO lo ha provocato a farlo, annunciando (poi smentendo, poi annunciando di nuovo, poi smentendo, poi riannunciando, in una calcolata guerra dei nervi) il suo intento di espandersi fino ai confini russo-ucraini, costruendo lungo quei confini diversi siti per missili nucleari che i russi non potrebbero abbattere, essendo il punto di lancio così vicino a Mosca.

In altre parole, la Russia ha attaccato perché la NATO ha tirato fuori un coltello (l’Ucraina, appunto) e glielo sta puntando alla gola.

Come bisogna reagire a un bullo (in questo caso, la NATO) che tira fuori un coltello e te lo punta alla gola? Devi supplicarlo di risparmiarti? Devi gridare “aiuto”? Per il sig. Putin, né l’uno né l’altro. Egli ha scelto di usare la violenza contro la minaccia di violenza, attaccando per prima: un crimine secondo il diritto internazionale e un tragico errore che sta costando caro alla Russia.

Inoltre, quella scelta ha dimostrato quanto è sbagliato rispondere alla violenza con la violenza.

Ma dobbiamo concludere che essa dimostra anche che il sig. Putin sia davvero pazzo o, come minimo, un bugiardo? In fondo, egli afferma di aver dovuto fare una guerra preventiva contro un pericolo che non è nemmeno imminente.

Nel fare così, tuttavia, egli può vantare degli illustri predecessori. Gli USA, ad esempio, l’hanno fatto più volte. Nel 2003, il Presidente Bush invase l’Iraq per impedirlo di usare delle ipotetiche armi di distruzione di massa mai trovate, occupando poi illegalmente il paese per altri dieci anni, senza subire sanzioni o condanne da parte dell’Unione Europea. E nel 1962, il Presidente Kennedy rispose al presunto intento dell’allora URSS di installare missili nucleari a Cuba, a meno di 90 km dagli Stati Uniti, apprestandosi a dichiarare la Terza Guerra Mondiale! Malgrado il fatto che egli sapesse benissimo che questa sua decisione, se messa in pratica, sarebbe stata giudicata dalla Storia un errore criminale, in quanto gli ipotetici missili sovietici non rappresentavano ancora un pericolo imminente contro gli USA. Kennedy si discolpò presso l’opinione pubblica affermando che nessun paese può accettare nemmeno i preparativi per l’installazione di missili nucleari sui propri confini.

Fortunatamente, nel 1962, l’URSS fece marcia indietro e rinunciò all’installazione dei suoi missili a Cuba (anche perché aveva ottenuto, come contropartita in trattative segrete, lo smantellamento di una base missilistica USA in Turchia). Così fu scongiurata una conflagrazione nucleare…

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Perché la guerra in Ucraina? – Peppe Sini (Centro di ricerca per la pace di Viterbo)

Bastava smettere di dire che l’Ucraina doveva entrare nella NATO, bastava rispettare gli accordi di Minsk per il Donbass. Sarebbe bastato un negoziato in cui si stabilisse la neutralità dell’Ucraina e un’autodeterminazione per il Donbass.

Perche’ non finisce la guerra?

E’ una guerra bizzarra e insensata: essa non era affatto necessaria: platealmente annunciata (dall’armata russa sul confine) non ci voleva niente ad evitarla.

Bastava smettere di dire che l’Ucraina doveva entrare nella NATO (come aveva osato fare il cancelliere tedesco Scholz), bastava per il Donbass rispettare gli accordi di Minsk, e l’aggressione non ci sarebbe stata; poi sarebbe bastato un negoziato in cui si stabilisse la neutralita’ dell’Ucraina e un’autodeterminazione per il Donbass, come ventilato subito nell’incontro tra i belligeranti ad Ankara, e la guerra sarebbe immediatamente cessata.

Invece Biden e la NATO si sono affrettati a dire che sarebbe stata una guerra di lunga durata, Zelensky e’ andato su tutti i teleschermi del mondo a chiedere armi, gli “Alleati” gliene hanno fornito sempre di piu’, e la guerra e’ diventata perenne.

Cosi’ la guerra d’Ucraina e’ diventata una guerra strutturale, non piu’ tra Russia e Ucraina, ma per il nuovo “ordine” del mondo, mettendo ai margini la Russia e la Cina.

La guerra mondiale “a pezzi”, lamentata dal Papa, e’ diventata cosi’ una guerra mondiale intera, con un solo “pezzo” votato al sacrificio dai suoi amici, dai suoi nemici e dai suoi cattivi governanti, l’Ucraina. E’ questa la ragione per cui prendiamo il lutto per l’Ucraina, partecipiamo al suo immenso dolore, vittima com’e’ di un gioco che la supera.

Ma come mai, evitata la terza guerra mondiale per tutto il Novecento, si e’ preso spensieratamente il rischio di farla nel 2000?

Il recupero della guerra, deciso subito dopo la rimozione del muro di Berlino con la guerra del Golfo, si e’ reso effettivo, ed ecco che ora la guerra e’ diventata strutturale, fondativa, e’ stata ripristinata cioe’ come strutturante delle relazioni internazionali e dell’ordine del mondo, come e’ sempre stata dall’inizio della storia fino ad ora, indissolubile dalla politica degli Stati; la guerra non solo come continuazione, ma come sostituzione della politica con altri mezzi.

Questa e’ la ragione per farne il ripudio.

E il ripudio deve essere “sovrano”: cioe’ deve stare sopra a tutto, ed essere propugnato non solo dai governi, ma dai parlamentari e dagli abitanti del pianeta come sovrani.

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Il futuro dell’Ucraina delineato da Washington – Fabrizio Verde

Sono ancora una volta gli Stati Uniti a soffiare sul fuoco della guerra, incuranti di alimentare un’escalation dai risvolti tanto tragici quanto imprevedibili. Funzionari statunitensi in una recente visita in quel di Kiev hanno comunicato alle autorità ucraine che è arrivato un “punto di svolta” nel conflitto ucraino, secondo quanto riportato dal Washington Post. L’Ucraina viene quindi esortata a compiere progressi sul campo di battaglia nel prossimo futuro per poter negoziare da una posizione di forza. Washington ritiene che il regime di Kiev abbia accumulato armi sufficienti per operazioni militari di successo, tuttavia potrebbero esserci problemi per ulteriori consegne a causa della posizione del Congresso e dell’incertezza dei Paesi europei. Pertanto, l’Ucraina deve compiere progressi nel prossimo futuro secondo Washington.

Abbandonare Bakhmut

La natura critica dei prossimi mesi è stata portata all’attenzione di Kiev “in termini duri” da alti funzionari dell’amministrazione Biden, ha riferito il Washington Post, citando fonti della Casa Bianca. Si tratta del vice consigliere per la sicurezza nazionale John Fieney, del vice segretario di Stato Wendy Sherman e del vice segretario alla Difesa Colin Kahle, che si sono recati in Ucraina il mese scorso.

Biden e i suoi principali collaboratori affermano di essere determinati a sostenere l’Ucraina il più a lungo e nel modo più completo possibile. Ma avvertono che questo diventerà più difficile perché il Congresso non è più sotto il controllo dei Democratici. Inoltre, l’Ucraina potrebbe esaurire l’attuale pacchetto di aiuti entro l’estate a causa degli intensi combattimenti con le forze russe che premono e continuano ad avanzare.

L’amministrazione Biden ha avvertito Kiev che la Casa Bianca invierà un altro pacchetto di aiuti militari da 10 miliardi di dollari all’Ucraina entro il 24 febbraio, ma che in seguito non ci si dovrà aspettare forniture di tale entità. Inoltre dalla Casa Bianca informano che il presidente Biden starebbe lottando per mantenere l’unità tra i Paesi occidentali, che cominciano a essere logorati da questo conflitto.

Dunque Zelensky sarebbe stato convinto a Artemivsk (Bakhmut), dove il regime di Kiev spende un’enorme quantità di risorse per tenere, ma che ha uno scarso valore strategico secondo gli Stati Uniti. L’amministrazione Biden suggerisce di attendere un’offensiva su larga scala da parte dell’esercito russo, di respingerla, di passare alla controffensiva e di conquistare il maggior numero possibile di territori per avere una posizione negoziale forte entro l’autunno. Tuttavia, secondo gli analisti militari statunitensi, è improbabile che l’Ucraina riesca a ottenere avanzamenti significativi, men che meno occupare la Crimea come pianifica il regime di Kiev.

Gli obiettivi del regime di Kiev

Le autorità ucraine, evidentemente annebbiate dal sostegno occidentale, vogliono tutto e subito, mostrando un certo distacco dalla realtà. Zelensky non vuole lasciare Bakhmut perché ritiene che sarebbe un colpo al morale delle forze armate del regime. Dunque ignora gli avvertimenti dei funzionari statunitensi che, se continuerà a combattere lungo l’intera linea di contatto, farà solo il gioco di Mosca.

Tuttavia, Zelensky e il suo entourage continuano a credere che l’obiettivo finale dell’Ucraina debba essere la conquista della Crimea, di Donetsk e di Lugansk. Continuano a chiedere sempre più armi all’Occidente. Kiev non riesce o non vuole capire che le scorte di armi di precisione occidentali si stanno rapidamente esaurendo, perché non sono state progettate per un conflitto così intenso come quello attualmente in corso in Ucraina.

Secondo la Reuters, ad esempio, nel 2022 in Ucraina sono stati utilizzati più di 5.000 missili HIMARS, più di quanti ne producano annualmente gli Stati Uniti. Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg ha ammesso che gli armamenti occidentali sul fronte ucraino si stanno esaurendo molto più velocemente di quanto possano essere prodotti.

Secondo il politologo Malek Dudakov, il team di Biden si sta impegnando a fondo per utilizzare la crisi ucraina come un’arma per la sua campagna presidenziale. “È importante per Biden mostrare qualche successo sul fronte ucraino, per presentarsi come il ‘salvatore della democrazia’. Se si concluderà con un fiasco, anche la posizione di Biden potrebbe vacillare e l’ulteriore sostegno all’Ucraina sarà messo in discussione”, ha affermato sul proprio canale Telegram.

Secondo l’esperto, l’amministrazione Biden è ora effettivamente preoccupata che i repubblicani possano causare molti problemi riguardo l’invio di nuove armi e aiuti finanziari all’Ucraina. Per questo motivo la Casa Bianca ritiene che il conflitto debba terminare al più presto con i negoziati e che Kiev debba migliorare la sua posizione sul campo di battaglia. Washington ritiene che i carri armati tedeschi e i veicoli corazzati nordamericani saranno sufficienti per consentire all’Ucraina di organizzare una controffensiva di successo per riprendere almeno un po’ di territorio. E poiché non è previsto un nuovo aumento delle forniture nel prossimo futuro, è necessario colpire ora, prima che tutte queste nuove armi vengano utilizzate per la difesa di quegli insediamenti che l’Ucraina sta cercando di mantenere fino all’ultimo come Mariupol, Soledar, Ugledar o Bakhmut…

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Le condizioni economiche per la pace

Pubblichiamo la versione italiana di un appello promosso dagli economisti Emiliano Brancaccio e Robert Skidelsky e apparso sul Financial Times del 17 febbraio 2023. Traduzioni in altre lingue e ulteriori informazioni su: economicconditionsforpeace.wordpress.com.È trascorso un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina e nulla sembra indicare che i venti di guerra si stiano affievolendo. Perché la guerra continua? Perché le tensioni militari aumentano a livello globale?Noi respingiamo la tesi di uno “scontro di civiltà”. Piuttosto, occorre riconoscere che le contraddizioni del sistema economico globale deregolamentato hanno reso le tensioni geopolitiche estremamente più acute.Uno dei principali guasti dell’attuale sistema mondiale risiede nello squilibrio delle relazioni economiche ereditato dall’era della globalizzazione deregolata. Ci riferiamo alle posizioni nette internazionali, in cui gli Stati Uniti, il Regno Unito e vari altri Paesi occidentali hanno accumulato ingenti debiti verso l’estero, mentre la Cina, altri Paesi orientali, e in parte anche la Russia, sono in una posizione di credito verso l’estero.Un’implicazione di questo squilibrio è la tendenza a esportare capitale orientale verso l’Occidente, non più soltanto sotto forma di prestiti ma anche di acquisizioni: una centralizzazione del capitale in mani orientali.Per contrastare questa tendenza, da diversi anni gli Stati Uniti e i loro principali alleati hanno abbandonato il loro precedente entusiasmo per il globalismo deregolato e hanno adottato una politica di “friend shoring”: una chiusura protezionista sempre più accentuata nei confronti delle merci e dei capitali provenienti da Cina, Russia e gran parte dell’Oriente non allineato. Anche l’Unione Europea si è unita a questa svolta protezionista guidata dagli americani.Se la storia insegna qualcosa, queste forme scoordinate di protezionismo esacerbano le tensioni internazionali e creano condizioni favorevoli a nuovi scontri militari. Il conflitto in Ucraina e le crescenti tensioni in Estremo e Medio Oriente possono essere pienamente compresi solo alla luce di queste gravi contraddizioni economiche.

Per avviare un realistico processo di pacificazione, è oggi dunque necessaria una nuova iniziativa di politica economica internazionale.

Occorre un piano per regolare gli squilibri delle partite correnti, che si ispiri al progetto di Keynes di una international clearing union. Lo sviluppo di questo meccanismo dovrebbe partire da una duplice rinuncia: gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero abbandonare il protezionismo unilaterale del “friend shoring”, mentre la Cina e gli altri creditori dovrebbero abbandonare la loro adesione al libero scambio.

Siamo consapevoli di evocare una soluzione di “capitalismo illuminato” che venne delineata solo dopo lo scoppio di due guerre mondiali e sotto il pungolo dell’alternativa sovietica. Ma è proprio questo l’urgente compito del nostro tempo: occorre verificare se sia possibile creare le condizioni economiche per la pacificazione mondiale, prima che le tensioni militari raggiungano un punto di non ritorno.

da qui

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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