Gli occhiali di Baba Jaga

un racconto di Fabio Troncarelli

Non è colpa dell’autore se nel mondo “reale” – per esempio in Turchia – accadono cose strane

  Vladimir Ulianov era il più grande ottico vivente. Nel suo piccolo, puzzolente laboratorio ad Arbatskaya Ploschchat, a due passi dal museo Pushkin, lavorava giorno e notte senza tregua. Davanti alla sua porta c’era sempre una processione: Astronomi, Geografi, Geologi, Ammiragli, Generali facevano a spintoni per essere ammessi al cospetto dell’uomo che nella sua miserabile stamberga avrebbe creato solo per loro il telescopio più potente, il binocolo più preciso, il cannocchiale più infallibile. Ma c’era anche sempre una lunga fila di miserabili: malati col glaucoma, ragazzini miopi, ottuagenari presbiti, vecchi con le cateratte, donne con la maculopatia, un popolo di disperati che spasimavano, languivano, si contorcevano e imploravano, idolatravano, supplicavano chi avrebbe ridato loro la vista. Ma Valdimir Ulianov non era felice. Come ogni genio creativo sognava solo una cosa: creare il capolavoro assoluto. Una lente prodigiosa, meravigliosa, magica, la più perfetta che mai fosse esistita e mai avrebbe potuto esistere. La lente che avrebbe permesso a tutti di vedere il visibile e l’invisibile.

Tutte le notti, al lume della sua piccola poshnik, bevendo tè bollente dal samovar sempre acceso, Vladimir vegliava assiduamente e in silenzio, fino all’alba, faceva esperimenti spericolati. Nella sua furia sfrenata non esitava a profanare i cimiteri per estrarre bulbi oculari intatti di neonati, bambini, giovani, vecchi. Una notte senza luna in cui il vento della steppa sferzava Mosca già gelata in Ottobre, Vladimir si avventurò nel vecchio cimitero ebraico fuori le mura, dove nessuno aveva mai il coraggio di spingerci per paura di incontrare Lilith il demone, anche se c’è chi dice che quella di Lilith era una leggenda diffusa ad arte dai furbi rabbini che volevano sottrarre i loro morti alle profanazioni durante i pogrom. Vladimir avanzava a fatica tra i rovi ed incespicava, ma risucì a farsi strada e giunse proprio dove voleva: dove sapeva che c’era il corpo ancora caldo di un bambino morto appena nato, le cui pupille non avevano mai visto letteralmente la luce. Tirò fuori il piccone e la pala e, proprio quando stava per assestare il primo colpo sulle zolle ghiacciate, udì un flebile lamento. Si girò di scatto e percepì distintamente un gemito nel buio. Si avvicinò circospetto e quasi cadde dentro una buca profondissima, dalla quale provenivano rantoli soffocati. Alzò la lanterna e vide nel fondo della buca una vecchia rannicchiata che piangeva: era sicuramente sua la borsa lacera e consunta che stava sul ciglio della buca e anche la scala di corda spezzata, piantata in terra, che spiegava eloquentemente l’accaduto.

     -Babhuska, Babhuska! – sibilò Vladimir – Che cosa fai lì?

     -Tirami su, tirami su, ti supplico – disse la vecchia con un filo di voce.

Vadimir prese la pala, la legò alla scala rotta e la calò nella fossa. La vecchia rattrappita artigliò il manico e lo abbrancò con forza mentre l’ottico la issava con fatica.

     -Babhuska, Babhuska! Che cosa facevi nella buca?

    -Piccolo Padre! Mi hai salvata! Ero scesa lì per riprendre il corpo del mio caro Boris, l’uomo che ho amato tutta la vita e che amo ancora. Mi picchiava, era sempre ubriaco. Ma era il mio uomo e io senza di lui non so vivere!

     -Ma lo sai che è un crimine gravissimo? Lo sai che si ti avesse scoperto uno Specnaz avrebbe avuto il diritto di ucciderti qui, a mani nude? Finiresti lo stesso fucilata se ti scoprissero!

     -Piccolo Padre non mi tradire. Lo so che rischi anche tu la vita, ma ti prego, aiutami. Lo vedi? Sono una povera vecchia e non mi resta molto da vivere.

Vladimir ebbe pietà di quella donna col naso adunco, con il corpo scavato dalla fame e dal freddo, con la schiena spezzata in due e le mani deformi dall’artrite, che tremava e piangeva sommessamente.

     -Vattene, Babhuska! Non m’importa di rischiare la vita. Nessuno ti farà del male.

Gli occhi della vecchia si imperlarono di lacrime grandi come diamanti. Scossa dai singhiozzi la donna afferrò le mani di Vladimir e le baciò con trasporto. Poi si voltò di scatto, prese la sua borsa ed estrasse una matrioska di legno colorato.

     -Tieni!- sospirò – Mi hai salvato la vita e io ti darò la cosa più preziosa che ho!

Vladimir prese la bambola: la scoperchiò e come succede sempre a tutte le matrioske dentro c’era un’altra bambola più piccola. Aprì anche questa e poi un’altra e poi un’altra ancora, fino a che arrivò all’ultima bambolina grande come un astuccio per occhiali.

     -Aprila – intimò la vecchia con una voce lugubre e profonda.

L’ottico aprì l’ultima bambola e dentro il suo corpo di betulla trovò un paio di occhiali con una montatura molto sottile.

     -E allora?

     -Non hai mai visto occhiali come questi…

    -Io di occhiali ne vedo milioni al giorno. E questi sono volgarissimi occhiali economici usati, comprati al GUM, ai grandi magazzini dell’epoca di Lenin e Stalin…

     -Questo lo credi tu. Prova a metterli.

Vladimir inforcò gli occhiali e in un attimo restò abbacinato. La notte buia, le tombe sinistre, il ghiaccio sulla terra, il vento gelido scomparvero e in un attimo, circonfuso di luce, apparve un castello di vetro e di smeraldo, da cui entravano e uscivano fanciulle meravigliose coperte da drappi di seta e da perle, che cantavano allegre come usignoli. Le magnolie, i rododendri, le rose e i tigli avevano immerso l’aria con un profumo invisibile che eccitava e stordiva.

     -“Ё-mоё! – balbettò emozionato Vladimir, che sarebbe a dire in italiano “Capperi!”, più o meno, o forse “Cazzarola!” – Ma questi occhiali ti fanno vedere tutto quello che non esiste!

     -Proprio così – bofonchiò la vecchia. Me li ha dati la mia vicina di isba, Baba Jaga, la strega potentissima! L’avevo aiutata tanti anni fa, quando la sua scopa magica di betulla d’argento si era rotta e lei era caduta nella taiga, senza la borsa con tutti i talismani e gli amuleti per fare gli incantesimi. Io ero andata a fare legna e la vidi tutta acciaccata e la portai sulle mie spalle fino a casa sua, quella casa misteriosa che poggia sulle zampe di gallina e che spaventa tutti perché la porta è una bocca piena di denti taglienti e le mura sono fatte di ossa umane. Non hai avuto paura di me! – mi disse la strega – Voglio ricompensarti”. E mi diede i suoi occhiali meravigliosi che le facevano vedere il mondo intero senza muoversi da casa. Ecco, io ora li regalo a te che hai avuto per me la stessa pietà che io ho avuto per lei. Fanne buon uso, buona fortuna!

Col cuore gonfio di gioia, Vladimir tornò a precipizio a casa sua. La lente perfetta, la lente che aveva sognato tutta la vita, era lì, davanti ai suoi occhi. Passò tutta la notte fissarla. E le altre notti gelide, tutte le notti d’inverno fino alla primavera, le passò a tagliare vetri, bollire argento, soffiare nei cristalli e provare, provare, provare, fino a quando, un giorno, ebbro di felicità, riuscì a riprdodurre la lente fatata e a fare un paio di occhiali uguali a quelli di Baba Jaga!

Sopraffatto dall’emozione e dalla stanchezza, l’ottico si gettò su un vecchio divano spelacchiato, con parecchie molle saltate fuori. E piombò in un sonno profondo. Quando si risvegliò aveva le manette ai polsi. Povero Vladimir! Accecato dalla sua improvvisa e imprevista felicità aveva scordato per un attimo che nel suo Paese infelice anche i muri hanno occhi ed orecchie! Il Grande Fratello che tutto sa e a tutti comanda, aveva saputo immediatamente della sua scoperta e aveva scatenato i Servizi Segreti. Non si seppe più nulla dell’ottico. Perfino la sua stamberga venne rasa al suolo pochi giorni dopo e sulle sue rovine fu costruito in un battibaleno un modernissimo Teremok, un fast-food specializzato in blinis (le crêpes russe) che faceva concorrenza ai Макдоналдс (McDonald) sull’Arbat.

Nessuno fece caso alla nuova montatura antiquata degli occhiali del Grande Fratello. E nessuno fece caso che la stessa identica montatura era sul naso del suo segretario, il fedelissimo braccio destro del sanguinario Despota che dominava la Santa Madre Russia. Grazie agli occhiali magici l’Oppressore vedeva il mondo come voleva vederlo e faceva vedere il mondo a tutti come voleva, perchè gli occhiali erano magici e chi li portava poteva fare magie di questo tipo.

  Un giorno, dopo molti anni, il segretario del Grande Fratello russo fu spedito in fretta e furia in Turchia in soccorso del Piccolo Fratello turco (o Fratellino). Fu proprio quando ci fu il colpo di stato fallito. La sovversione che alcuni miserabili nemici di Santa Madre Russia e del Piccolo Fratello turco tentarono invano. Criminali! La loro follia non durò: bastarono poche ore e non c’era nelle strade neppure un bossolo di pallottola. Tutti dicevano “Ma che davero?! Io non mi sono accorto che c’era un colpo di stato!”. Ma il colpo di stato c’era stato! Capperi! Tutti i telegiornali di tutto il mondo erano pieni di scene di lotta violentissime! Potenza degli occhiali magici! Era per questo che il braccio destro del Grande Fratello di Mosca era stato mandato in aiuto del Piccolo Fratello di Ankara. Era un consulente ottico. Ufficialmente faceva l’ambasciatore ad Ankara. Ma i Servizi Segreti sapevano il segreto del segretario. E dagli oggi, dagli domani alla fine il segreto del segretario divenne il segreto di Pulcinella e altri segretissimi e servizievoli Servizi vollero impadronirsene. Però, però.. Il segreto non lo conoscevano bene, questi Servizi segreti, sapevano solo, segretamente, che c’era qualche diavoleria, qualche marchingegno che dava un immenso potere al segretario-finto-Ambasciatore, ma quale fosse il segreto segretissimo era proprio un segreto e vattelapesca.

Così, un giorno, esasperati, decisero di levarsi dai piedi questo seccatore e lo attirarono in un inganno. Lo invitarono a una mostra su Russia e Turchia, una mostra tutta latte e miele, con tante belle foto da cartolina, prati in primavera, ruscelli che sciacquettano, uccelli che cinguettano. E mentre l’ambasciatore, aduso a pipponi ufficiali sulla Piazza Rossa, blaterava, blaterava e blaterava, facendo abbassare le palpebre ai pochi malcapitati che assistevano all’incontro, approfittando di questo sopore improvviso, un poliziotto, diplomato alla scuola di polizia e addestratissimo, aprì il fuoco contro l’ambasciatore urlando: “Questo qui ce lo leviamo dalle palle!” solo che lo disse in arabo e tutti pensarono che dicesse “Allah è grande!”. L’ambasciatore, che aveva gli occhiali sul naso, fu colpito da molti colpi mortali. In una frazione di secondo, prima che gli si obnubilasse la vista, cercò disperatamente di fare ricorso alla magia dei suoi occhiali: ma tutto si era svolto troppo rapidamente e la magia non andò perfettamente in sincrono con gli spari. L’unico incantesimo che fu possibile fare fu quello di richiudere immediatamente le ferite dei proiettili e impedire al sangue di uscire: così gli spettatori imbambolati di questa scenetta terribile videro il petto dell’ambasciatore che si gonfiava e poi miracolosamente ritornava al suo posto, senza che si sapesse più nulla della pallottola che gli aveva trapassato la schiena e aveva fatto sollevare il colletto della camicia e la giacca.

L’ambasciatore fulminato piombò al suolo. Per effetto dei colpi sparati alle sue spalle avrebbe dovuto cadere con la faccia in giù, ma gli ultimi raggi dell’incantesimo degli occhiali riuscirono a impedirglidi di cadere in un modo così inglorioso. L’uomo si afflosciò supino, con gli occhiali sul naso. L’ultimo fioco bagliore della magia illuminò ancora il cadavere e riuscì a far cambiare almeno tre volte, a distanza di tempo, posizione alle mani del defunto che non dava più alcun segno di vita, in modo che assumesse una buona volta la forma di una croce, simbolo eloquente del suo martirio.

I pochi, attoniti presenti non ci fecero caso e neppure i coraggiosissimi fotografi e cameramen che ripresero ogni dettaglio della lunga scena, sprezzanti del pericolo, senza sbagliare un fotogramma, scattando foto e inquadrando tutto di lato, da sinistra e da destra e muovendosi con la rapidità del lampo intorno all’assassino che puntava ripetutamente la pistola contro tutti,anche se purtroppo nelle riprese fatte davanti, a destra e sinistra non si vede mai dove sta il fotografo, né se c’è veramente e neppure dove stanno i cameramen e anzi si vedono le telecamere senza nessuno dietro e i maligni potrebbero pensare che le riprese sono state fatte il giorno prima.

Se la scomparsa dei fotografi e la miracolosa comparsa di foto perfettamente a fuoco e in posa sia stato un tardivo effetto della magia degli occhiali o invece solo qualche diavoleria moderna come la magia del photoshop non è dato sapere. E’ però certo che gli occhiali, magici com’erano, ebbero comunque un sussulto e interpretarono l’ultimo desiderio del loro proprietario a modo loro.

E così, all’improvviso, si staccarono dal naso del morto supino (con le braccia in croce, per eliminare ogni inestetismom: ma ve l’immaginate Cristo con gli occhiali?). Gli occhiali volarono, volarono e approdarono dopo un lungo volo dietro le spalle del caduto, a qualche metro di distanza, contro il muro, scavalcando il corpo morto, lontano da tutto e da tutti, come se una forza sovrumana avresse scosso la testa del morto e li avesse scagliati con più violenza dei massi gettati da Polifemo contro l’inafferrabile Nessuno che lo perseguitava.

Gli occhiali si rifugiarono proprio bene: a due o tre metri dal morto, sotto una foto proprio prima dell’angolo della parete. Nessuno li avrebbe scovati lì.

Ma dopo un po’, un sussulto magico scosse gli occhiali magici. Essi dovevano obbedire all’ultimo desiderio del loro padrone e non potevano restarsene lì, inoperosi. E allora ecco un nuovo miracolo. Misteriosi, inafferrabili, gli occhiali si resero invisibili e uscirono strisciando dalla stanza mentre l’assassino continuava a urlare improperi.

Incontrarono un poliziotto. Trafelati gridarono:

     -Presto! Presto! Hanno sparato a un uomo nella sala della mostra su Turchia e Russia ! Sette colpi.

Il poliziotto flemmatico fece una smorfia di disgusto.

    -Sette colpi? Ma come? E’ uscito adesso un fotografo. Si chiama Burhan Ozbilici, lo conosco, abita qui vicino. Ha detto che ha sentito “Otto o nove colpi”. Poi è venuto un cameramen. Aveva la cassetta con la registrazione e me l’ha fatta vedere. Si sentono benissimo nove colpi tutti di seguito (https://www.youtube.com/watch?v=keGErfNvfZE&feature=share, minuto 0.0.4).

     -Ma che scherzi – dissero gli occhiali inorriditi – Non lo vedi che nel tuo video il nono colpo è fuori sincrono e si sente lo sparo mentre si vede l’assassino con la pistola abbassata? E’ una sòla, credimi! Guarda qua invece: i colpi sono sette e non sono stati sparati tutti di seguito ma con questa cadenza: 1+pausa+3colpi+pausa+ 3 colpi.

E mostrarono magicamente un video, che pareva fatto con l’Iphone, nel quale i colpi erano sette (https://www.youtube.com/watch?v=PBHwHppoSXE tra 1.43 e 1.47).

     -E poi – aggiunsero sprezzanti- se non ci credi, guarda là. Guarda alla finestra del palazzo. Lo vedi? L’assassino sta proprio lì. Alla finestra.

    -Ma che dici? – sbottò il poliziotto – La mostra d’arte è in uno stanzone interno del Cagdas Sanat Merkezi . Non ci sono finestre e quindi nessuno si può affacciare da nessuna finestra.

     -Ah, sì? – risposero acidi gli occhiali – E allora guarda!

Il poliziotto sbiancò. Senza un attimo di esitazione entrò a precipizio nel Cagdas Sanat Merkezi e corse fino alla sala della mostra. Trovò l’attentatore che si faceva un selfie con la faccia truce.

    -Mevlut!?!

    -Embè? So’ io. Che voi?

    -Ma te sei impazzito? Ma che cavolo hai combinato?

    -Come che cavolo ho combinato? Ma se eravamo d’accordo…

    -No dico: ma come te permetti di andare alla finestra?

     -Io? Alla finestra? Ma quando mai. Non mi so’ mosso da qui.

    -Senti io t’ho visto. E poi che è fasse er selfie?

    -Ah sor coso. E mo’ m’hai rotto. Che je racconto a la ragazza mia? Quella nun ce crede che sto a lavorà e dice che so ‘ito ar night. E poi senti: m’hai proprio stufato. A me me l’ha detto er Piccolo Fratello de damme da fa’ e io faccio solo quello che ha detto lui

    -Er…Piccolo Fratello?

    -Lui! In persona.

    -E tu lo dici in giro?

    -Pe’ forza. Te l’ho detto: la ragazza mia nun ce crede e allora…

    -Allora? Brutto scemo tié!

Bang, bang, bang!

E Mevlut cadde riverso in una pozza di sangue. C’è sangue dappertutto. Mica come quando la pallottola è uscita dal petto dell’ambasciatore e poi è rientrata. Del resto è ovvio: i proiettili, quando non ci stanno gli occhiali magici, fanno buchi grossi sulla parete, sul corpo, dovunque. E il sangue esce a fiumi.

Certo però che una cosa è strana: Melvut mentre sparava la barba non ce l’aveva e dopo morto invece sì. Saranno stati gli occhiali magici? O sarà che a forza de ripete la scena e mai ‘na volta che è bona la prima, beh, alla fine j’è venuta ‘na barba così?

In ogni caso, gli occhiali magici non poterono rientrare nella mostra e neppure ritornare in Russia. Per ordine personale del Piccolo tiranno li presero e li chiusero in una segreta dei Servizi segreti fra Istanbul e Smirne.

Lì comanda Jim Messina, un guru potentissimo, un americano senza peli sulla lingua: uno che anche senza occhiali riesce a far vedere a tutti quello che vogliono vedere e a nascondere a tutti quello che non vogliono vedere. Questo grande mago ha detto al Capo del governo spagnolo “Lasseme perde e io te faccio stravince!” . E quello l’hanno sonato come ‘na zampogna. Ha detto al Presidente del Consiglio italiano: “Fa come te dico io e vedi”.  E quello ha visto le stelle pe’ le botte che aveva preso. Tutti e due hanno visto quello che volevano vedere. E così sarà anche nel futuro. La magia di Messina è imbattibile. Nessuno vede più quello che succede. E così non si vedrano più gli occhiali magici.

O almeno…

Non si vedrà la copia degli occhiali che erano sul naso del segretario. Ma gli occhiali originali, quelli di Baba Jaga, che erano finiti sul naso del Grande Fratello? Chi può dire che cosa succede in Russia a un naso? E del resto, come ha detto Gogol: “Non è colpa degli specchi se i nasi non sono diritti”.

L’IMMAGINE IN APERTURA è di ROLAND TOPOR

Redazione
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