Honduras: presidenziali con frode
Le ingerenze di Trump, quelle dell’oligarchia e delle chiese evangeliche, insieme al ruolo predominante dei militari legati al colpo di stato del 2009, hanno creato le condizioni per l’estromissione della candidata del Partido Libertad y Refundación, Rixi Moncada, dalla vittoria. Tuttavia, dal 30 novembre scorso, ancora non è stato proclamato il candidato vincitore, la denuncia di brogli cresce e la situazione rimane in evoluzione.
articoli di Marco Consolo, David Lifodi e Giorgio Trucchi
Golpe elettorale in Honduras
di David Lifodi
Indipendentemente dal candidato che sarà dichiarato vincitore delle presidenziali honduregne tenutesi lo scorso 30 novembre, e ammesso pure che si vada verso l’annullamento di cui si vocifera negli ultimi giorni, una cosa è certa: si è trattato di una tornata elettorale tra le più manipolate degli ultimi anni nell’intera America latina.
Rixi Moncada, la candidata di centro sinistra del Partido Libertad y Refundación (Libre), che puntava ad ereditare il mandato di Xiomara Castro, aveva avvisato, insieme a tutto lo stato maggiore del partito, delle pesanti ingerenze nella campagna elettorale e nel voto sia di Donald Trump sia dei presidenti di destra latinoamericani, a partire dall’argentino Javier Milei.
Ad urne chiuse è emerso che Rixi Moncada risultava assai distante sia da Nasry Asfura, candidato del Partido Nacional fortemente sponsorizzato da Trump, sia da Salvador Nasralla, esponente del Partido Liberal, di orientamento altrettanto conservatore, ma transitato, in passato, anche da Libre. Prima che lo scrutinio venisse sospeso, ciascuno dei due ha più volte sopravanzato l’altro in una situazione resa ancora più surreale dalle dichiarazioni dello stesso Donald Trump, il quale, nel momento in cui il suo preferito Asfura era leggermente in testa, ha reso pubblica la notizia relativa alla concessione dell’indulto all’ex presidente Juan Orlando Hernández (Joh), condannato a 45 anni di carcere negli Stati Uniti per narcotraffico. Trump aveva giurato che, in caso di vittoria di Asfura, avrebbe permesso a Joh, come è popolarmente conosciuto in Honduras, di far ritorno al suo paese, dove però, lo scorso 9 dicembre, è stato emesso un nuovo ordine di cattura nei suoi confronti da parte del procuratore Johel Zelaya.
Nel frattempo, Nasry Asfura ha rotto gli indugi autoproclamandosi vincitore delle presidenziali, mentre, nello stesso momento, Rixi Moncada, ha disconosciuto il sistema di scrutinio. Sono molti gli honduregni negli Usa e, ancora la candidata di Libre, in una lunga intervista rilasciata a Telesur, ha denunciato che molti elettori avrebbero ricevuto, sui propri cellulari, dei messaggi minacciosi in cui si invitava a votare Asfura perché altrimenti non avrebbero più ricevuto le rimesse dai loro connazionali, oltre due milioni, residenti negli Stati Uniti.
Storicamente gli Usa si sono sempre intromessi nella politica honduregna. Nel 2009 fu l’amministrazione Obama ad avallare il colpo di stato che fece cadere Manuel Zelaya, marito della presidenta uscente Xiomara Castro, allora nel Partito Liberale, dal quale poi sarebbe uscito, costringendolo all’esilio, per far sedere al palazzo presidenziale di Tegucigalpa una serie di presidenti improbabili, dal repressore post golpe Roberto Micheletti (soprannominato Pinochetti) e uomini graditi alla Casa Bianca, da Porfirio Lobo allo stesso Joh, in elezioni caratterizzate da brogli comprovati.
Da mesi Trump aveva invitato gli honduregni a non votare per Moncada sostenendo che per lui sarebbe stato impossibile lavorare e collaborare con una comunista. In più, tutti gli exit poll scommettevano su Moncada al primo posto con circa il 37% dei consensi, seguita da Nasralla con il 32% e Asfura con il 26%.
In una tornata elettorale caratterizzata, peraltro, da una bassa partecipazione di votanti, Libre ha denunciato, inoltre, la presenza di audio in cui membri del Partido Nacional si confrontavano sulle modalità per hackerare la trasmissione dei dati. A ciò si aggiunge la potenza dei mezzi di comunicazione, nelle mani dei pochi gruppi oligarchici del paese e che ne detengono quasi tutta la ricchezza, e la capacità di influenzare il voto delle chiese evangeliche, al pari del crescente spiegamento di forze armate a stelle e strisce nel Caribe dirette verso il Venezuela. Se gli Stati Uniti hanno da sempre considerato l’America latina come il proprio cortile di casa, l’Honduras per gli Usa è una sorta di vero e proprio protettorato dove è possibile imporre la presenza di multinazionali, saccheggiare le risorse naturali del territorio, aprire nuove maquiladoras e chiudere gli occhi di fronte ai molteplici omicidi di sindacalisti, campesinos, ecologisti e attivisti sociali in un contesto di estrema povertà ed enormi disuguaglianze sociali. Inoltre, solo pochi giorni fa, sono state raccolte le prove che testimoniano l’ingerenza sul voto del crimine organizzato, maras e pandillas, affinché gli elettori non votassero Libre tramite esplicite minacce di morte.
Il progetto di socialismo democratico a cui si ispira Rixi Moncada si è scontrato, fin dall’inizio, sia con le fantasiose accuse di complicità con la presunta e altrettanto poco credibile “narco-dittatura venezuelana” (soprattutto se questi termini vengono utilizzati da un’oligarchia per anni complice di Juan Orlando Hernández) sia con la pesante eredità di quanto accadde a seguito del golpe del 2009 e negli anni immediatamente successivi. In Honduras sono ancora in molti a dar credito alle parole di Romeo Vásquez Velásquez, il comandante delle Forze armate che, all’epoca del colpo di stato, ordinò una violentissima repressione della protesta: latitante da almeno 8 mesi, inonda i social network dichiarandosi vittima della persecuzione di Libre e invitando gli elettori a scongiurare la vittoria di Rixi Moncada con il sostegno di un gruppo di militari in pensione riunitisi sotto il nome di Difensori dell’Honduras.
Abbandonato anche dai democratici Usa sotto Biden che, come all’epoca di Obama, si sono ben guardati da spalleggiare la presidenza di Xiomara Castro, ma, al contrario, hanno cercato di ostacolarla ogni volta che Libre ha tentato di promuovere le riforme sociali o in ambito agrario, opponendo sempre un netto rifiuto sia alla volontà di rinegoziare il trattato di libero commercio sia al tentativo di frenare la diffusione delle Zone speciali di sviluppo economico (enclave ideali, tra le altre cose, per il riciclaggio di denaro sporco), secondo alcuni analisti Libre è stato indotto a commettere diversi errori.
Stretto tra le aspettative delle organizzazioni popolari e il sistematico boicottaggio dell’oligarchia con il sostegno Usa, il partito ha finito per allontanarsi, sotto certi aspetti, dai movimenti sociali e non è riuscito a rispondere efficacemente da una campagna denigratoria come il video che, pur riferendosi al 2013, mostra Carlos Zelaya, deputato di Libre e fratello dell’ex presidente Manuel, che parla con un imprenditore legato al narcotraffico. L’impatto è stato tale che Carlos Zelaya, pur non risultando coinvolto in nessuna inchiesta, è finito per essere associato, come membro di Libre, alla criminalità organizzata, contribuendo far passare l’idea che lo stesso Libre non fosse poi così diverso dagli altri partiti.
Al momento la situazione rimane in continua evoluzione, ma rimane assai difficile pensare che, in caso di nuove elezioni, Rixi Moncada possa riuscire a ribaltare un risultato che sembra ormai divenuto una corsa a due, nonostante ingerenze e tentativi di brogli di ogni tipo, tra due candidati divisi solo dalle maggiori o minori affinità con Trump, ma sempre in seno ad un progetto neoliberista che contempla la cancellazione dei diritti civili, politici e sociali conquistati faticosamente sotto la presidenza di Xiomara Castro.
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In Honduras le urne sono piene di brogli
di Marco Consolo (*)
Dopo 10 giorni dalle elezioni generali in Honduras (presidenziali, legislative e municipali) nel Paese regna l’incertezza e cresce la tensione. Ad oggi, ancora non si conosce il risultato finale di un voto pesantemente marcato da denunce di irregolarità e brogli, e da strane e molteplici interruzioni del sistema di trasmissione dei dati da parte del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE).
Mentre scrivo, il sito web del CNE ha ripreso a funzionare, dopo diversi giorni di oscuramento. Secondo gli ultimi dati “ufficiali” del CNE, in base all’97% dei verbali esaminati, al primo posto ci sarebbe Nasry Asfura, candidato del conservatore Partito Nazionale (e di Trump), con il 40,53% dei voti, seguito a ruota da Salvador Nasralla (presentatosi con il Partito Liberale), con il 39,16%, con poco più di 40.000 voti di differenza tra i due candidati conservatori.
Secondo i dati del CNE, Rixi Moncada, candidata del partito progressista LIBRE (Libertad y Refundaciòn), oggi al governo del Paese, sarebbe al terzo posto, con il 19,32%.
Il testa a testa “ufficiale” di queste ore è quindi tra i due candidati delle destre esponenti del bipartitismo tradizionale (Partido Nacional e Partido Liberal), che ha governato il Paese sin dalla sua nascita, con una alternanza tra i due partiti. Ma oltre a LIBRE, lo stesso Nasralla, ha denunciato “brogli”, affermando che il sistema era stato ‘manipolato’ e che “c’è ancora molta strada da fare prima che possiamo accettare i risultati”.
Il CNE ha tempo fino a 30 giorni dalla votazione per pubblicare i risultati ufficiali e c’è da scommettere che, come ha già fatto nel passato, allungherà il brodo il più possibile per prendere per stanchezza (e sotto Natale) i contendenti.
LIBRE non accetta i risultati, ma ammette la sconfitta
La scorsa domenica (una settimana dopo le elezioni), Rixi Moncada ha dichiarato che LIBRE non avrebbe accettato il risultato elettorale, sia per le innumerevoli irregolarità riscontrate, sia per la sfacciata “ingerenza e coercizione” del Presidente statunitense Trump. E martedì 9, la Presidente Xiomara Castro ha rincarato la dose, parlando di “elezioni viziate di nullità” ed ha annunciato la prossima denuncia del “golpe elettorale” all’ONU, all’Unione Europea, alla CELAC e all’OEA.
Da ultimo, l’ex-Presidente e coordinatore di LIBRE, Mel Zelaya, ha ammesso la sconfitta, ma ha sostenuto che “secondo i nostri conteggi nazionali dei verbali di voto, verbale per verbale, chi vince la presidenza è Salvador Nasralla” e non Asfura.
C’è da ricordare che, nelle settimane precedenti alle elezioni, in base ad alcune intercettazioni telefoniche rese pubbliche, LIBRE aveva denunciato un piano dell’opposizione per manipolare il processo elettorale nelle sue diverse fasi e scatenare il caos nel Paese [i]. Viceversa, nel mondo al rovescio, l’opposizione aveva accusato il governo di voler evitare la sconfitta della propria candidata, truccando i risultati. Ma a pochi giorni dal voto, il “test elettorale” aveva evidenziato molte falle dell’architettura elettorale e del sistema di trasmissione dati.
I problemi “tecnici” erano iniziati sin dalla trasmissione dei verbali dei seggi nella stessa notte di domenica 30 novembre: dopo solo pochi minuti il sistema è andato in tilt, causando un funzionamento intermittente della pagina web del CNE.
Moncada ha denunciato che il 6 dicembre, nella sessione plenaria dei consiglieri del CNE, avevano fornito de prove della “manipolazione del codice sorgente” del discusso sistema di trasmissione dei risultati elettorali preliminari (TREP). Domenica 7, il CNE ha confermato che un “grave” incidente aveva compromesso l’integrità e la sicurezza del sistema TREP. Un danno irrimediabile alla credibilità dei risultati, mentre nella popolazione cresce la sfiducia verso l’istituto elettorale, la cui maggioranza è in mano ai due partiti conservatori honduregni.
Il golpe elettorale
La presidente del CNE (in quota Partito Liberale), Ana Paola Hall, ha imputato il grave problema nello scrutinio alla società colombiana a cui era stata affidata la gestione dei risultati elettorali. Una società scelta con assegnazione diretta, grazie al fatto che la gara d’appalto era andata stranamente deserta. Tra le altre anomalie denunciate dallo stesso CNE, la società avrebbe realizzato la “manutenzione” del sistema nel bel mezzo del conteggio dei voti. Nel gioco delle parti, la società colombiana a sua volta aveva denunciato tentativi di hackeraggio alla sua piattaforma informatica di conteggio rapido.
Tra le imprese assegnatarie dirette del contratto del CNE, spunta anche Starlink di Elon Musk, il miliardario sostenitore di Trump [ii]. A fine ottobre, Musk aveva inviato antenne satellitari “per migliorare la connettività nelle zone remote e … rafforzare la trasparenza ed efficienza del processo”. C’è da ricordare che, prima delle elezioni, il CNE aveva identificato 3,058 seggi, senza accesso a internet e, in alcuni casi, neanche connessione elettrica. In questi seggi votavano 835.240 persone, ovvero il 12,8% dei 6,5 milioni di honduregni-e aventi diritto al voto.
Tra i problemi riscontrati da molti osservatori internazionali (tra cui chi scrive), c’è stato il mancato funzionamento di decine di apparati per il riconoscimento biometrico, con problemi di connessione, necessità di riconfigurarli più volte, etc. C’è da tener presente che il CNE, grazie alla maggioranza del bipartitismo tradizionale, il giorno prima del voto aveva approvato l’eliminazione della verifica incrociata tra gli elettori registrati nel sistema biometrico e quelli registrati in ogni verbale di chiusura dei seggi. Un procedimento obbligatorio in base alla legge elettorale, che è stata così violata. Secondo la denuncia del consigliere di minoranza di LIBRE nel CNE, Marlon Ochoa, nei giorni immediatamente successivi al voto, di 15.297 verbali trasmessi dal CNE, ben 13.246 (86,6%), presentavano errori e incongruenze tra la registrazione biometrica e il contenuto del verbale trasmesso (file digitale) tramite il TREP, con una differenza pari a 982.142 voti (tra la registrazione biometrica e i verbali trasmessi).
Il candidato di Trump e il ricatto di Washington
Per quanto riguarda l’ingerenza diretta di Trump, mai prima d’ora c’era stato un intervento così sfacciato della Casabianca. A sorpresa, a 48 ore dal voto, nella sua “rete sociale”, Trump aveva minacciato il taglio delle risorse finanziarie all’Honduras in caso di vittoria della candidata progressista e non del “suo” candidato del Partito Nazionale, Nasry Asfura. È fortemente probabile che sui risultati abbia pesato anche il ricatto della Casabianca.
Subito dopo il voto, Trump aveva parlato di tentativi di brogli (sic) contro il “suo” candidato che appariva secondo: detto e fatto. Dopo l’ennesimo oscuramento informatico del CNE, Asfura è passato magicamente in testa, anche se con uno scarto ridotto.
Ma forse, la notizia più clamorosa e scandalosa è stata la concessione dell’indulto da parte di Trump all’ex presidente honduregno Juan Orlando Hernández (JOH), che era in carcere negli Stati Uniti con una sentenza di 45 anni per narco-traffico (almeno 400 tonnellate di cocaina). L’ex presidente, oggi libero negli USA, appartiene allo stesso partito del candidato di Trump. Una misura accolta con gioia dai narcos e dall’oligarchia. Ma che ha provocato parecchio malessere nel Paese, visto il curriculum criminale di JOH e la sbandierata “lotta al narcotraffico” di Washington. Un braccio di ferro appena iniziato, dato che in queste ore, sui media è circolata la copia del preveggente mandato di arresto contro JOH, emesso nel 2023 dalla giustizia honduregna. Un ordine di arresto all’Interpol, tuttora valido, “in caso sia liberato dalle autorità statunitensi”.
E a proposito di Washington, c’è da ricordare l’ingombrante presenza delle importanti basi militari di Ilopango e Palmerola: quest’ultima ospita il comando della Joint Task Force-Bravo delle forze armate statunitensi. Una presenza che spiega molte cose rispetto all’interesse dell’amministrazione Trump per il piccolo Paese centro-americano.
Ricatti al cellulare
Un altro elemento della denuncia di LIBRE riguarda l’utilizzo dei dati del sistema finanziario per contattare le famiglie di coloro che ricevono rimesse dai migranti, principale fonte di valuta estera del Paese (circa il 19% del PIB). I cellulari delle famiglie di emigrati negli USA (dove ci sono circa 1.800.000 honduregni-e) hanno ricevuto messaggi ricattatori, indicando che, se avessero sostenuto LIBRE, non sarebbero più arrivate rimesse in Honduras.
Sulla base di queste irregolarità, LIBRE ha chiesto l’annullamento totale del processo elettorale e ha ordinato ai propri funzionari del governo di non partecipare al passaggio di consegne. Infine, Moncada ha annunciato un’agenda di mobilitazioni e proteste in tutto il Paese, un’assemblea di massa nella capitale Tegucigalpa per sabato 13 dicembre, nonché assemblee in tutti i dipartimenti del piccolo Paese centro-americano.
Le proteste di Nasralla
Come dicevamo, le proteste non vengono solo da parte di LIBRE. Salvador Nasralla ha dichiarato che “dopo aver analizzato migliaia di verbali, abbiamo scoperto che nella maggior parte dei dipartimenti siamo stati derubati nella trascrizione dei numeri”. Nasralla aveva anche denunciato che “migliaia di verbali sono stati cambiati a favore del candidato che non è mai stato al primo posto, né nei sondaggi, né nelle urne”, senza nominare direttamente Asfura. La sua denuncia ha aumentato la pressione politica, verso le autorità elettorali e ha avuto come effetto appelli alla calma da parte di diversi settori. Oggi Nasralla conta anche sull’appoggio di Mel Zelaya.
L’unico a non protestare è stato proprio Nasry Asfura, il candidato di Trump ancora “in testa”, che ha invitato alla “serenità” e al rispetto del processo, sottolineando il comportamento civico della popolazione. “La stabilità del Paese è al di sopra di qualsiasi ambizione personale. Chiedo serenità, è solo questione di tempo, il CNE darà i risultati definitivi”, ha sottolineato Asfura in un messaggio in cui ha anche fatto appello all’unità e alla speranza, in perfetta sintonia con il Dipartimento di Stato.
Tutto bene madama marchesa ?
Mentre scrivo, brillano per il loro silenzio sia la Missione di Osservazione Elettorale della Unione Europea che quella della Organizzazione degli Stati Americani (OEA) che avevano decine di persone in tutto il territorio e che si sono limitati a chiedere celerità nello scrutinio.Fine modulo
Tutta colpa dei brogli ?
Senza voler sottovalutare i brogli e le manovre golpiste (interne ed esterne) c’è comunque da riflettere sui risultati, in particolare su quelli di LIBRE, unica forza progressista in lizza. Le radici, come spesso avviene, sono più profonde. Facciamo un passo indietro.
Dopo il sanguinoso colpo di Stato del 2009, si sono moltiplicati gli omicidi di militanti politici e sociali, dirigenti contadini, ambientalisti, donne, esponenti della diversità sessuale. Uno dei casi più conosciuti è quello di Berta Caceres, dirigente del popolo Lenca, femminista e ambientalista, caduta nel 2016 sotto il piombo di sicari al soldo delle multinazionali con la complicità del governo di allora.
Nel 2017, le proteste contro i brogli elettorali sono state represse nel sangue (con un saldo di più di 20 morti). Nelle successive elezioni del 2021 (con 31 candidati assassinati), il partito LIBRE finalmente si impone. Nato dalla resistenza al golpe del 2009, LIBRE era riuscito a coagulare diverse forze scontente del liberalismo, i movimenti sociali e le diverse anime frammentate della sinistra. Alla presidenza della Repubblica era andata Xiomara Castro, moglie dell’ex presidente Mel Zelaya, spodestato dal golpe. Un risultato “anomalo”, che aveva rotto lo storico bipartitismo honduregno e riaperto le porte alla speranza di cambiamento.
Dopo il saccheggio storico da parte delle multinazionali e quello dell’oligarchia “vende-Patria”, che si riflette nel triste record di povertà, il nuovo governo Castro riceve un Paese in rovina e con le casse vuote. Nel passaggio di consegne, trova uffici svuotati da documenti e computer, senza la minima traccia dell’operato precedente.
Il governo di Xiomara Castro
Da subito, le promesse e gli impegni elettorali si scontrano con la dura realtà. L’aspettativa creata è molto alta, ma è inversamente proporzionale alla capacità economica del governo di dare risposte ai bisogni del Paese.
Inizia la guerra mediatica con l’aggressività tipica di una oligarchia abituata a comandare senza dover rendere conto a nessuno e con un’impunità totale. I padroni del vapore non sono disposti a cedere un millimetro dei loro privilegi e non cessa la violenza omicida contro i dirigenti sociali e politici.
Come in altri Paesi della regione, il nuovo governo progressista non ha la maggioranza in parlamento ed è costretto a negoziare i progetti di riforma con il bipartitismo, in un braccio di ferro infinito. Nonostante le grandi difficoltà, il governo Castro inizia un lento recupero dell’istituzionalità e dell’economia, ferma la svendita del Paese e blocca le cosiddette “Zone di impiego e sviluppo economico” (ZEDE) [iii] delle vere e proprie trappole.
Si avanza nei settori della salute, dell’educazione, delle infrastrutture. Ma, dati i rapporti di forza parlamentari, il governo non riesce a far passare la riforma tributaria per far pagare finalmente le tasse al grande capitale. Tra le battaglie più dure, c’è quella sulla proprietà della terra e l’oligarchia latifondista mostra subito i denti. In politica estera, pur mantenendo i migliori rapporti possibili con gli Stati Uniti (dove sono migliaia gli emigrati honduregni) l’Honduras diversifica i suoi rapporti internazionali. Mantiene i rapporti con il Venezuela, e con Cuba inizia la collaborazione in campo sanitario, con la presenza di medici cubani anche nelle zone più remote. L’Honduras rompe con Taiwan e riprende i rapporti con la Cina, una decisione che aumenta la preoccupazione di Washington.
Per la prima volta al governo e senza esperienza previa, LIBRE deve riempire le caselle delle diverse responsabilità e incorpora molti suoi dirigenti, oltre a quelli di alcuni movimenti sociali. Una decisione obbligata, che però ha come risultato che il partito si indebolisce e inizia un rapporto contraddittorio tra i movimenti ed “il governo amico”.
Alcuni fattori interni del voto
Oltre all’ingerenza esterna, sul voto hanno pesato diversi fattori interni. Mi limito a citarne alcuni.
L’assenza di una maggioranza parlamentare a favore del governo è stata decisiva per bloccare le principali riforme legislative proposte, a partire da quella tributaria e dalla revoca delle concessioni pluriennali alle grandi imprese, in situazione di oligopolio.
La mancata risposta a diverse aspettative della popolazione in quanto a bisogni sociali ha fatto crescere frustrazione e disillusione. Il possibile voto castigo ne è la logica conclusione.
L’apparato giudiziario, profondamente corrotto e colluso con il bipartitismo oligarchico, è stato un fedele guardiano degli interessi dell’oligarchia, in particolare dei latifondisti nei duri conflitti per la terra.
Dopo quasi due secoli di alternanza al governo del bipartitismo, nel corto mandato di quattro anni, nonostante la volontà politica ed i molteplici sforzi, il governo progressista non è riuscito a smantellare la corruzione e fare un’azione di pulizia nelle istituzioni statali.
L’aggressiva guerra mediatica dei poteri forti non ha fatto sconti e la disputa di senso continua ad essere uno dei principali campi di battaglia. In questi quattro anni, né il governo, né LIBRE sono riusciti a comunicare in maniera efficace i passi avanti e le molte trasformazioni realizzate. La mancanza di una propria narrativa convincente ha seminato dubbi nell’elettorato e aperto varchi nelle file della sua stessa base sociale.
La violenta presenza del narco-traffico e della criminalità organizzata mantiene l’insicurezza, soprattutto nelle zone popolari ed anche qui la richiesta di “mano dura” e “sicurezza” è stato il cavallo di battaglia delle destre.
Alcune candidature di deputati di LIBRE, decise dall’alto, non hanno aiutato nel voto in diversi territori che hanno espresso un voto castigo.
Conclusione
In conclusione, mentre il golpe elettorale è in marcia, la battaglia è ancora aperta. Il popolo honduregno non merita tornare al passato coloniale. Le forze del cambiamento hanno davanti a sé un cammino difficile ed in salita. Per questo, è importante mantenere l’attenzione sui prossimi sviluppi della situazione.
Note:
[i] https://marcoconsolo.altervista.org/lhonduras-al-voto-tra-speranza-e-complotti-golpisti/
[ii] https://www.latribuna.hn/2025/10/29/cne-recibe-las-primeras-antenas-satelitales-starlink/
[iii] https://www.peacelink.it/latina/a/48619.html
(*) Link all’articolo originale: https://marcoconsolo.altervista.org/in-honduras-le-urne-sono-piene-di-brogli/
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