Gonzaga’s Rose

susanna sinigaglia

Gonzago’s Rose

 Tardito/Rendina

Erano parecchi anni che non tornavo al Teatro della contraddizione di Milano, sito in un locale sotterraneo in via della Braida, una piccola strada a fondo cieco con case d’epoca che si affaccia sullo stradone di scorrimento di viale Caldara a Porta Romana.

Ci sono tornata in occasione di un pomeriggio dedicato alla Palestina, alla fine del quale il gestore del teatro mi ha sollecitato a ritornare per vedere lo spettacolo del duo Tardito/Rendina. Devo confessare che il genere comico-clownesco non è il mio preferito, anche se in questo caso arricchito con momenti di danza. O, se di comicità si tratta, allora opto per il linguaggio demenziale, dell’assurdo, stralunato – per esempio, quello all’inglese di un McRoney – e immaginifico alla Antonio Rezza o alla Buster Keaton. La comicità a cui assisto in Gonzaga’s Rose ha, in modo sfumato, un po’ di tutti questi ingredienti e forse non potrebbe che essere così.

Oggetto del lavoro è il rapporto uomo-donna, l’incomunicabilità e la noia della coppia dopo anni di routine passati insieme, come si deduce dal titolo, “’La’ Rosa di Gonzago” (che in italiano diventa Rosalia), non “le” rose anche se i due, ci raccontano, “convivono da cent’anni e coltivano rose”. Già il titolo suggerisce quale ne sarà lo svolgimento. Rosalia è la vittima-amante completamente soggiogata, dipendente da Gonzago – siciliano un po’ brutale – e fa di tutto per piacergli, attirarne l’attenzione; lui naturalmente, da buon maschio, ne approfitta ma con una certa signorilità e ironia. Le situazioni rappresentate sono molteplici. Per esempio in spiaggia, lui legge il giornale ignorando quasi completamente la presenza di lei;

quando Rosalia gli chiede un massaggio, lui la manipola piuttosto ruvidamente, improvvisando un flamenco per farla poi rotolare e finire sotto i propri piedi appoggiandoceli sopra. Sono quadretti tipici, stereotipi ma portati all’estremo. A un certo punto Rosalia, sfibrata dai tentativi ripetuti ma quasi inutili di ricevere attenzioni sincere, quel calore che tanto desidera da Gonzago, esce di scena. Allora Gonzago si rivolge al pubblico, in particolare alle signore in sala, e offre una rosa ciascuna a due spettatrici in prima fila.

La performance risale al 1999. Allora era molto più danzata e l’ironia ancor più graffiante. Qui la danza diventa gesto danzato, e il gesto enfatizzato dal passo di danza moltiplica l’effetto fra il comico e il grottesco. Nell’ultima scena, quando Gonzago si rivolge al pubblico, nella versione originaria Rosalia restava sul palco gelosa e quasi piangente, vedendo come Gonzago corteggiasse le altre donne trascurando lei; anzi, chiedendole magari di portare altre rose da offrire alle spettatrici. In quella odierna come già accennato sopra, Rosalia esce di scena come una moglie ormai avvezza alle debolezze del partner; nel confronto con la sua versione più giovane, è più morbida e scanzonata.

Lasciato solo, il maschio cerca ancora di atteggiarsi a galletto, ma si vede che anche su di lui il tempo ha lavorato ed è un don Giovanni sulla strada del tramonto.

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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