I perché del boicottaggio sportivo di Israele
di Max Mauro (*)
Cosa fare di fronte all’inferno di Gaza? È uno spettacolo di morte che va avanti da (almeno) due anni, un progetto di distruzione e annientamento della vita sociale, della vita stessa dei palestinesi, annunciato dai ministri del governo Netanyahu, realizzato dall’esercito e documentato dai suoi soldati attraverso i social media.
Mentre la stragrande maggioranza dei governi del nord globale tace, dissimula o apertamente sostiene Israele, e i media mainstream li assecondano, in molti paesi la società civile non si arrende. Negli stessi paesi europei che rappresentano i principali referenti di Israele, si organizzano manifestazioni e iniziative con partecipazioni di massa. Non sorprende, tuttavia, che gli stessi media e i politici governativi voltino lo sguardo altrove. Non c’è nulla di cui parlare, dicono con i loro comportamenti: che il genocidio continui, e con esso i lucrosi affari dell’industria militare.
Eppure c’è un ambito in cui il silenzio informativo e politico è più difficile da mantenere. È quello dello sport. Lo sport inteso come evento mediatico, come industria dell’intrattenimento di profilo globale. Lo sport delle grandi competizioni, che è il linguaggio transnazionale più popolare al mondo. Va detto che i “gestori” degli sport più popolari sono anch’essi complici del genocidio. Nel calcio, per esempio, tutte le squadre russe vennero sospese indefinitamente appena quattro giorni dopo l’invasione dell’Ucraina. Ad oggi, i vari appelli per sospendere Israele sono rimasti inascoltati dall’organo mondiale del calcio, la FIFA, e da quello europeo, la UEFA.
Quello che è successo nell’ultima edizione del giro ciclistico di Spagna, la Vuelta, dimostra la forza e la creatività della protesta popolare in ambito sportivo. Lo svolgimento della gara è stato ostacolato dai manifestanti nelle regioni del nord della Spagna, fino a un epilogo senza precedenti nella capitale. L’ultima tappa è stata interrotta dagli organizzatori prima dell’arrivo, mentre il centro di Madrid era invaso da manifestanti pro-Palestina. La motivazione della protesta era la partecipazione della squadra Israel-Premier Tech, fondata nel 2014 da un industriale israeliano con l’intento esplicito di promuovere l’immagine di Israele nel mondo. Quest’anno vi erano state proteste anche al Giro d’Italia e al Tour de France, ma quanto accaduto in Spagna ha avuto un impatto maggiore e dato slancio al movimento per il boicottaggio sportivo di Israele.
Uno dei due attuali proprietari di Israel-Premier Tech, il miliardario israeliano-canadese Sylvan Adams, ha più volte, anche recentemente, difeso l’operato dell’esercito israeliano a Gaza. Le proteste del giro di Spagna lo hanno tuttavia indotto a rimuovere a metà corsa il nome “Israele” dalle maglie dei ciclisti. Appena un anno prima, in seguito alle proteste popolari durante una gara in Australia, aveva detto: “Siamo l’unica squadra professionistica che ha Israele nel suo nome e continueremo a farlo e a rappresentare orgogliosamente il paese”.
Israel-Premier Tech è un team internazionale, include ciclisti di dodici paesi diversi, tra i quali l’italiano Marco Frigo, sei canadesi e cinque britannici. L’ingaggio è certamente attraente, ma anche tra i ciclisti professionisti emergono dei dubbi. Il ciclista friulano Alessandro De Marchi, che ha gareggiato per Israel-Premier Tech nel 2021/22, in un’intervista all’Observer ha detto: “Oggi non firmerei un contratto con Israele. Non riuscirei a gestire le emozioni, il fatto di essere coinvolto in una cosa simile”.
Lo storico israeliano Ilan Pappé, uno dei maggiori critici del sionismo, è un sostenitore del boicottaggio sportivo. “La possibilità che Israele venga esclusa dalla UEFA è una cosa che spaventa molti israeliani”, ha spiegato in un recente incontro pubblico. “Non credo che la gente comprenda veramente cosa significhi. Pensate al cricket e al rugby nella storia del Sud Africa. Lo sport è molto importante, è qualcosa che raggiunge tutte le persone. Dobbiamo pensare fuori dagli schemi e agire rapidamente”.
Il suo messaggio risuona più che mai attuale visto che il 14 ottobre la nazionale maschile di calcio affronterà a Udine la nazionale di Israele per le qualificazioni mondiali. Il capoluogo friulano aveva già ospitato una partita tra Italia e Israele lo scorso anno. In quell’occasione, nonostante la FIGC avesse messo a disposizione biglietti gratuiti per tutte le squadre dilettantistiche del Friuli-Venezia Giulia, lo stadio risultò per metà vuoto.
Da varie parti è stata sollevata l’opportunità di questa nuova partita e l’associazione italiana degli allenatori ha chiesto la sospensione di Israele dalle competizioni sportive. Il comitato pro-Palestina di Udine ha organizzato una manifestazione che attraverserà le strade della città il giorno stesso della partita. Lo slogan della manifestazione è chiaro: Mostra a Israele il cartellino rosso.
(*) https://comune-info.net/i-perche-del-boicottaggio-sportivo-di-israele/
Concordo totalmente, alla faccia di chi sostiene che lo sport non c’entra niente con la politica o, più contemporaneamente, con il genocidio.
Jesse Owens docet.