Il ciclo della canaglia
recensione a «Crime, Punishment, and Migration», l’ultimo libro di Dario Melossi
di Vincenzo Scalia (*)
Nella società contemporanea la tematica delle migrazioni si connota come un fiume carsico, che si inabissa e riaffiora in coincidenza coi momenti di crisi e di trasformazione delle società di accoglienza. La precarietà sociale dello straniero, al pari della sua eccentricità culturale e della marginalità economica, forniscono da sempre ai corifei della legge e dell’ordine sufficiente materiale a cui attingere per intessere discorsi xenofobici e intolleranti. Al di là delle isterie, del panico e della costruzione delle rendite politiche, sussistono tuttavia delle dinamiche storiche e sociali di lungo termine, all’interno delle quali è possibile inquadrare i fenomeni migratori come fenomeni fisiologici di ogni società, che ne riconfigurano la trama fondativa e ne guidano le trasformazioni, anche al prezzo di passaggi traumatici, come quelli prodotti dall’interazione fra migrazioni e sistema penale.
Dario Melossi, nel suo ultimo lavoro «Crime, Punishment and Migration» (pp. 90, Sage, London, 2015) inedito in Italia descrive e analizza questi processi attraverso le lenti della sociologia e della criminologia critica, adottando una prospettiva spazio-temporale che, partendo dalle origini del sistema capitalista, mette a confronto l’esperienza statunitense con quella europea. I migranti, spiega Melossi, si caratterizzano per la loro spinta innovativa, in senso mertoniano. In alter parole, l’ingresso sulla scena pubblica di soggetti individuali e collettivi, produce una discrepanza tra i fini condivisi dall’intera società e i mezzi a disposizione per raggiungerli. Già Karl Marx, nel «Capitale», metteva in evidenza come la classe operaia discendesse dalla massa di manodopera agricola eccedente, affluita dalle campagne in seguito alle enclosures, e spesso costretta a vivere di espedienti in quanto il nascente sistema produttivo manifatturiero non era in grado di assorbirla tutta. E’ per loro, che a Londra e ad Amsterdam, nascono all’inizio del XVII secolo, le prime istituzioni punitive che, alla fine del Settecento, sfoceranno nelle istituzioni penali contemporanee, vere e proprie fucine disciplinari che plasmano il moderno proletariato. Le cronache odierne non stanno dunque registrando nessun fenomeno atipico o catastrofico. Si tratta, semmai, di un processo ciclico, che stavolta si articola su scala globale. Le nuove classi pericolose eccedono le guerre, la fame, la scarsità di risorse prodotte dalle trasformazioni del capitalismo contemporaneo.
All’interno del cosiddetto “ciclo della canaglia”, uno schema analitico che Melossi propone con efficacia da anni, si producono le trasformazioni all’interno della società di arrivo. Se le prime generazioni di migranti, in seguito alla scarsità di risorse simboliche a loro disposizione, si adattano alle condizioni di marginalità predisposte per loro nel nuovo Paese, la questione dell’innovazione si pone in tutta la sua criticità con le “seconde generazioni”. Una fascia sociale di persone nate e cresciute nella società di arrivo, della quale interiorizzano le norme e i valori, si trova a fare i conti con l’accesso sbarrato alle opportunità di mobilità sociale. Questa dinamica finisce per sfociare in un esito conflittuale nei periodi di crisi economica o di frammentazione sociale, oppure, come nell’Italia contemporanea, nella cornice economica del post-fordismo, che fa della segmentazione e della precarietà la propria caratteristica peculiare.
A questo punto entra in gioco lo Stato, con le sue caratteristiche locali. Se negli Usa, Paese di immigrazione, la blanda repressione dell’immigrazione clandestina produce bassi tassi di devianza tra i migranti, nei Paesi europei, e in particolare in Italia, il ruolo attivo dello Stato nella regolamentazione dei processi migratori sortisce l’effetto opposto. Privi di status legale, soggetti ad azioni repressive, i migranti si dibattono nella precarietà economica e nella marginalità sociale, finendo a volte per oscillare tra le economie legali e quelle illegali. Inoltre, le forze di polizia agiscono la loro azione preventiva e repressiva soprattutto su persone straniere, più facilmente identificabili per i loro tratti somatici e per le condizioni di segregazione residenziale in cui spesso versano. Ne consegue l’attivazione del processo di devianza secondaria, in seguito alla quale i migranti interiorizzano l’identità deviante come unica possibilità a loro disposizione per sopravvivere nella società di accoglienza.
Come se ne esce? Melossi suggerisce che gli Stati dell’Unione Europea prendano atto del fatto che si sono trasformati in Paesi di immigrazione e che, di conseguenza, adottino politiche di integrazione che abbassino la guardia sul piano dello status legale e mandino in soffitta le politiche neo-liberiste. L’Europa, d’altro canto, si trova con un apparato produttivo fatiscente e una popolazione sempre piu’ vecchia. Le masse di giovani con aspettative di una vita migliore rappresentano un’occasione da non perdere. Sempre che non ci contentiamo dei format di plastica alla Matteo Renzi…
(*) pubblicata il 9 settembre sul quotidiano «il manifesto».
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