Il mio corpo malato nella sanità pubblica-privata

di Lella Di Marco

 

Paura Angoscia Solitudine Medicalizzazione del corpo malato Istituzione sanitaria Spersonalizzazione Corpo in appalto Pensiero libero Cura non cura

Non essere negli stereotipi richiesti Pericolo di psichiatrizzazione

e tanta Rabbia

Intendo raccontare la mia recente avventura sanitaria; non tanto come storia personale ma, a partire dalla rabbia che ho in corpo, socializzare quanto ho vissuto e continuo a vivere come denuncia politica e sollecitazione a prenderne atto. Per RIPRENDERCI quanto quotidianamente ci viene tolto silenziosamente, anche colpevolizzandoci.

Parlando di corpo – a me che ho vissuto tutte le fasi del femminismo – viene in mente subito «Noi e il nostro corpo», il famoso libro del collettivo Donne di Boston. Scritto da donne per le donne fu una pietra miliare nel movimento di liberazione negli USA. Donne nere e bianche all’interno all’interno dei movimenti radicali americani concentrano la loro attenzione sulla denuncia del sistema sanitario Usa, sulla natura speculativa della ricerca medica farmaceutica condotta sulla linea del profitto e seguendo una linea maschile della salute.

Quel testo-ricerca su campo ha rappresentato una vera svolta per la presa di coscienza nell’essere-con (cioè non da sole) ma soprattutto per le indicazioni di cura del corpo e di autoterapia come prevenzione. Un libro utile a tutte/i. E’ ancora attuale, non essendo cambiata la dinamica economica della produzione capitalistica.

Oggi non riesco più a pensare al separatismo cioè ad un benessere disgiunto fra i sessi, magari anche in contrapposizione rivendicativa. Non lo sento come problema soltanto mio, come non credo nelle forme ultime di femminismo separatista che non parla più di società fallocratica ma di pensiero “ spermico” e società spermatica. Non mi sembra un pensiero nuovo che possa incidere e aprire una pista. Fermo restando che il patriarcato non si elimina con la forza del pensiero (ammesso che certo pensiero abbia forza). Ritengo che uomini e donne, nell’attuale fase storica, siano dentro gli stessi drammi personali e social-politici. Vanno soltanto compresi, scandagliati per capire quanto l’essere donna e uomo pesi moltissimo, anche nella vita di coppia.

Riporto il pensiero sull’esperienza personale del rapporto fra il mio corpo e la sanità pubblica-privata. In sintesi: un bel giorno del settembre scorso mi sono bloccata in mezzo alla strada… ovviamente casino con il traffico. Non riuscivo assolutamente a camminare sulle due gambe, così per la prima volta ho avuto il piacere di sentire che un uomo mi sollevava fra le sue braccia. Vado in pronto soccorso al Sant’Orsola: intervento chirurgico al femore, ospedalizzazione e riabilitazione in struttura privata convenzionata con la Regione Emilia-Romagna.

Anche l’ospedale pubblico si regge in convenzione con cooperative scelte con criteri particolari (io non ho mai letto i bandi in merito). Nella quotidianità ospedaliera è visibile come una piramide etnica/regionale fra operatori e operatrici. Dalla fascia degli inservienti nella maggioranza donne straniere, al personale sanitario generico proveniente dalle zone più disagiate della penisola, con punte elevate di siciliani (con generica e insufficiente preparazione sanitaria), al personale medico, sia maschi che donne legati all’università di Bologna e poi la squadra di stagisti dottorandi al seguito dei medici di turno.

Ho notato qualche infermiere eritreo collocato nei turni di notte. Devo dire molta professionalità e apparente interesse per il mestiere e buona capacità di relazione-cura con i pazienti. Ho ritenuto invasivi i diversi segnali tatuati sulle loro braccia di natura religiosa, come le collanine con la visibile croce di legno, o la quasi confidenziale segnalazione di strutture private dove trovare rifugio sicuro.

Del resto in tutto il pubblico e non solo sanitario si trova l’invito a rivolgersi ad equivalenti strutture private in convenzione o a pagamento. Non sto sottolineando nulla di nuovo. La sanità è al collasso ma la politica cosa faceva quando, in tempi non sospetti, venivano fatte denunce in merito?

DOPO IL FISIOLOGICO PERCORSO POST-OPERATORIO ECCO LA RIABILITAZIONE

Stranamente l’unica alternativa disponibile era una struttura privata: prendere o rinviare alle calende greche. Così sono stata deportata a VILLA BELLOMBRA ai piedi di San Michele in bosco, per la riabilitazione ortopedica.

Sembra che l’idea di creare tale struttura sia venuta a un gruppo di professionisti privati riuniti in un consorzio (COLIBRI) con un programma all’avanguardia tutto basato su nuove tecnologie. Il programma è bellissimo ma forse da sviluppare ancora. Al momento, nonostante la grande approvazione di esperti ministeriali e il superbo lancio del quotidiano “Il resto del Carlino” con forse anche premi ricevuti, io ritengo che tutto sia molto carente a cominciare dai locali. Sembra sarà superato il prossimo anno con la realizzazione fuori porta di un’enorme struttura onnicomprensiva di piscine termali e tanto altro ….

Ma adesso intendo sottolineare le gravissime carenze esistenti, a partire dal super affollamento. Pazienti meno gravi in camera con pazienti anziani e gravissimi. Lamenti continui e impossibilità a riposare tranquillamente. Urla continue di chi dolorante, soprattutto di notte, chiamando infermieri che non arrivavano …

In poche parole carenza di personale con turni micidiali e supersfruttamento. Credo che alcuni di loro non avessero neppure un contratto, facile preda dunque di ricatti. Del resto la presente fase storica favorisce molto super-sfruttamento e restringimento delle libertà personali; e ovviamente negazione dei diritti acquisiti sul lavoro .

Il mio soggiorno in quel luogo è stato meno drammatico grazie alla generosità e direi abnegazione degli operatori, fra i quali molti stranieri e tanti meridionali. Alcuni di loro anche laureati e voglio sottolineare molto abili come i fisioterapisti. Preparati e con grandi capacità relazionali, capaci dunque a porsi dalla parte di chi è malato.

Alla mia età so che nessuna denuncia senza altra azione è incisiva politicamente ma tanto mi sento di fare, anche come dovere morale nei confronti di “QUEI MIEI AMICI”.

RIFLETTO POI SUL CORPO MEDICALIZZATO E SULL’OSPEDALE COME REGNO DELL’UMANO O DEL DIS-UMANO

Non voglio descrivere la vita in ospedale, basta leggere «La giornata d’uno scrutatore» di Italo Calvino per capire sino in fondo. Oltre la malattia e il dolore percepisci un senso di invasione e lacerazione del tuo corpo. Un senso di annientamento della tua identità se sei attaccata, non rientrando nei canoni richiesti per il paziente omologato.

Io mi sono difesa anche per il mio carattere: cerco il positivo in tutto e considero ogni esperienza come arricchimento umano. Continuavo a essere “positiva” e parlavo amichevolmente con gli operatori sanitari, con gli inservienti; socializzavo con le compagne di stanza stabilendo anche un bel rapporto di scambio di informazioni e confidenze sulla vita privata tanto da turbare i dirigenti che hanno chiamato mia figlia per dirle che correvo il rischio di essere trasferita in psichiatria perché ero sempre “sopra le righe”. Non aggiungo altro, ancora mi devo ricostruire, dentro e fuori di me. So che sono cambiata molto nella mia visione del mondo e sono più incavolata di prima.

I MIEI RIFERIMENTI SICURI:

IL CULTO DEL CORPO E LA PROSPETTIVA GENEALOGICA E GEOPOLITICA

IL CORPO COME STRATEGIA DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA

Le immagini sono state scelte dalla “bottega”. La vignetta è del nostro amato Mauro Biani.

 

Redazione
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4 commenti

  • Antonella S elva

    Cara Lella, grazie per aver lacerato il velo che avvolge l’espropriazione medicalizzata del proprio corpo per chi ha la sventura di ammalarsi o – peggio, che inappropriatezza! – invecchiare!
    Ho vissuto oltre 10 anni fa un processo simile quando mio padre, novantenne ma lucidissimo e portatore sano di pensiero critico, fu colto da un infarto e letteralmente sequestrato dalla struttura sanitaria che da quel momento gli inibì qualsiasi giurisdizione sul proprio corpo.
    La tua riflessione è amara, ma ancora più amara se letta alla luce acida degli ultimi due anni di gestione pandemica, in cui un virus è stato sostituito alla realtà con tutte le sue sfaccettature per espropriarci del corpo e di tutto quanto ci rende umani.
    Hai ragione, è tempo di tornare ai fondamenti: grazie per i consigli di (ri)lettura, a cui aggiungerei Illich e Basaglia

  • Se rimanevi un altro po’ finivi in psichiatria per non esserti conformata. Anch’io, non più giovane e quindi più fragile, temo molto non la malattia, ma la paura di dover essere ricoverata in quei luoghi che conosco già poichè ci lavoravo. Questa modalità si nota anche nel ” piccolo” quando per esempio vai ad una visita e trovi il medico maschio simil Barone che ti tratta come un pezzo di carne. La gestione poi di questa “pandemia” mi ha resa ancor più diffidente rispetto a coloro che fanno parte delle istituzioni sanitarie e non mi fido più.

  • Non so dove sia finito il precedente commento. Comunque dicevo che le lunghe degenze, in questo periodo di pandemia, possono portare a problemi pesanti visto la mancanza dei familiari che sono un punto fermo per i degenti. Ci sono passata e ci sono ancora dentro
    Grazie LELLA

  • PETIZIONE : RIMANDARE AL MITTENTE L’ENNESIMA LEGGE DELLA REGIONE LOMBARDIA PRO SANITA’ PRIVATA, LO CHIEDIAMO AL MINISTERO DELLA SALUTE
    https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=12764

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