India: seconda ondata di Covid-19. E poi…

… ci sono i numeri usati male

di Marina Forti (*)

L’India è “al collasso”, titolano giornali e telegiornali. La pandemia di Covid-19 è “inarrestabile”. Fanno impressione i numeri a molte cifre: dall’inizio della pandemia sono ormai superati i 16 milioni di casi. Il virus dilaga. Il 23 aprile si contavano 330 mila nuovi casi di contagio e duemiladuecento morti.

L’India è nel pieno di una seconda ondata di Covid-19 e il suo sistema sanitario è in una crisi drammatica. Ma attenzione, non sono questi numeri a dirlo. Sono piuttosto gli ospedali che non riescono a far fronte alle richieste, i malati che non ce la fanno, le folle sui treni e i bus che lasciano New Delhi (ora vedremo perché). Sono i segni di una crisi sociale terribile: e di fronte a questo i conteggi sono inadeguati. Quanto ai numeri, quelli riportati con scalpore in questi giorni dicono ben poco.

Ragioniamo. L’India è una nazione con un miliardo e 390 milioni di abitanti. Dunque i 330 mila nuovi contagi in un giorno vanno rapportati a quel totale: circa 235 casi per milione di abitanti. In proporzione sono molti di più i 16mila nuovi contagi registrati lo stesso giorno in Italia, su 60 milioni di abitanti.

Le cifre assolute portano a conclusioni ingannevoli. Il sito Worldometer – che raccoglie i dati ufficiali sul Covid-19 diffusi dai governi (gli stessi che usa la John Hopkins University per comporre il suo dashboard quotidiano) – mostra in questa tabella  i nuovi casi e i decessi registrati ogni giorno, Paese per Paese, sia in cifre assolute che per milione di abitanti.

Questi erano il 20 aprile i dieci Paesi più colpiti in cifre assolute: l’India è il secondo, ha appena superato il Brasile. Nelle colonne sulla destra però vediamo che l’India conta 11mila e 600 casi per milione di abitanti: in Italia sono quasi 65 mila per milione. Ancora: l’India ha avuto 134 morti per milione di abitanti; l’Italia ne ha avuti quasi duemila.

Insomma: se dovessimo basarci su questi dati, dovremmo concluderne che la pandemia ha risparmiato l’Asia meridionale, almeno a confronto con l’Europa o molti Paesi americani.

Invece l’emergenza sanitaria c’è davvero, in India, ed è drammatica. La seconda ondata del Covid-19 è visibile nell’impennata dei nuovi casi, che raddoppiano ogni dieci giorni, e in quella dei decessi, raddoppiati in sette giorni. La seconda ondata è cominciata alla fine di marzo ed è andata veloce; a metà aprile il conto quotidiano dei contagi e dei decessi aveva nettamente superato il picco della prima ondata, registrato a metà settembre 2020. (Qui un aggiornamento continuo).

Del resto, questi dati probabilmente sottovalutano la realtà. Intanto perché i test effettuati in India sono 196 mila per milione di abitanti, un numero esiguo (l’Italia ne ha eseguiti 930 mila per milione, la Francia supera ampiamente il milione e il Regno unito supera i 2,2 milioni per milione di abitanti). E poi quanto è accurata la registrazione dei casi? I media indiani parlano di una sistematica sottovalutazione. I corrispondenti del Financial Times hanno esaminato da vicino sei distretti dell’India settentrionale e hanno trovato che i morti di Covid-19 registrati dai crematori sono più dei casi di contagio dichiarati – in alcuni casi parecchie volte di più.

Ma lasciamo da parte i numeri. Le cronache ci parlano di ospedali dove ogni posto letto ha decine di persone in attesa. I social media sono pieni di video che mostrano cimiteri affollati e crematori che straboccano, pire funebri allestite anche all’esterno. Ambulanze in attesa di entrare in ospedali che non hanno più posti, attorniati da parenti disperati. Una foto mostra due pazienti che condividono lo stesso letto con una bocca di ossigeno. Si parla di una corsa a procurarsi un farmaco antivirale, il ramdesivir (la cui efficacia per il Covid-19 però è ancora discussa).

La situazione è particolarmente grave a New Delhi, la capitale federale, oltre undici milioni di abitanti (che diventano 17 milioni nella Greater Delhi, il territorio dell’Unione che funziona come un mini-Stato). Il 20 aprile il governo di Delhi ha imposto la chiusura totale nel territorio per una settimana, di fronte all’impennata dei contagi. Quel giorno il chief minister Arvind Kejriwal avvertiva che la capitale aveva quasi esaurito i posti nei reparti di terapia intensiva e che le riserve di ossigeno sarebbero bastate non più di 12 ore. Il giorno dopo il governo centrale ha mandato rifornimenti ma anche questi sufficenti per un paio di giorni.

Il capo del governo del Territorio di Delhi ha spiegato che voleva evitare un nuovo lockdown ma con gli ospedali pieni non ha avuto alternative. Kejriwal ha fatto appello ai lavoratori migranti a restare in città. Perché tutti ricordano cosa accadde un anno fa, nel marzo e aprile 2020, quando il primo ministro Narendra Modi ordinò la chiusura totale in tutto il Paese, vietando agli indiani di uscire dalle proprie case. Quel draconiano lockdown annunciato con solo poche ore di preavviso scatenò un gigantesco esodo interno, perché buona parte del lavoro di servizio e manuale nelle città indiane è garantito da persone emigrate dalle zone rurali: e di fronte all’improvviso lockdown milioni di persone rimaste senza lavoro, senza un tetto e senza un reddito sono tornate ai propri villaggi. Un trauma nazionale, milioni di persone ridotte alla povertà assoluta. (Amara ironia, la vera prima ondata di pandemia in India è arrivata dopo la fine di quel lockdown, fra agosto e l’autunno).

Nonostante l’appello del capo del governo di Delhi, nelle ultime ore le stazioni dei treni e degli autobus si sono riempite di folle in partenza: come allora, chi perde tutto trova aiuto solo nella rete familiare d’origine.

Anche a Mumbai, lo Stato del Maharashtra ha proclamato una settimana di confinamento. Anche qui i giornali parlano di ospedali che straboccano, famiglie costrette a pagare a caro prezzo per riempire le bombole di ossigeno che forse salveranno il proprio parente ricoverato, di servizi sanitari nel caos.

La seconda ondata di pandemia ha trovato l’India impreparata, con un sistema sanitario non meglio attrezzato dell’anno scorso. Perché? Molti accusano il governo federale e il primo ministro Narendra Modi di aver ignorato i segnali di allarme e gli avvertimenti di medici e scienziati. Ha permesso che si svolgessero eventi di massa come le celebrazioni hindu del Kumbh Mela (che richiama milioni di pellegrini) o la campagna elettorale nello Stato del Bengala Occidentale, con eventi di folla, senza mascherine né precauzioni. Un autorevole quotidiano accusa: il governo non ha tratto nessuna lezione dalla prima ondata, non ha fatto il necessario per rifornire gli ospedali di ossigeno, farmaci, personale medico.

Al contrario: solo due mesi fa il governo dichiarava sconfitto il virus e vantava “il successo dell’India”. Con un trionfalismo davvero malriposto, il primo ministro diceva che l’India aveva raggiunto “l’immunità di gregge”. Oggi invece gli ospedali straboccano ed è emersa una nuova  variante del Covid-19: nota come B.1.617, la “variante indiana” è ampiamente diffusa nel Paese ed è stata rintracciata anche nel Regno unito (che infatti ha chiuso i voli dall’India); dalle prime osservazioni sembra che sia più contagiosa e non è chiaro se eluda gli attuali vaccini. Uno studio preliminare afferma che il vaccino Covieshield (sviluppato dal Serum Institute indiano con AstraZeneca) protegge anche dalla “variante indiana”, ma sarà da confermare.

Già, i vaccini: l’India è tra i maggiori produttori mondiali di vaccini; il suo Serum Institute in particolare produce per AstraZeneca, oltre a rifornire il sistema di distribuzione Covax, sponsorizzato dall’Onu. Di fronte alla nuova ondata di contagi però il governo Modi ha deciso che la priorità è proteggere gli indiani (oggi poco più dell’1 per cento della popolazione ha ricevuto un vaccino) e ha sospeso buona parte delle esportazioni.

Non per questo ha deciso di distribuire il vaccino gratuitamente: giorni fa è stato fissato il nuovo prezzo, differenziato per il sistema pubblico e per i privati. Questo significa che chi può pagare riuscirà più facilmente a procurarsi il vaccino.

Ecco tutto ciò che le cifre assolute non dicono.

Avevo pubblicato queste note il 21 aprile – con i dati del giorno precedente – e le aggiorno ora con i dati al 22 aprile  (ma.fo.)

(*) ripreso da www.terraterraonline.org

 

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