Intervista a Dagmawi Yimer…

… regista di «Va pensiero, storie ambulanti», docu-film sulle aggressioni razziste in Italia. CISV ha incontrato il regista. (*)

Milano, maggio 2009: Mohamed Ba, 50 anni, griot, attore ed educatore senegalese residente in Italia da 14 anni viene accoltellato in pieno giorno nel centro cittadino. Firenze, dicembre 2011: un estremista legato a Casa Pound uccide, in due sparatorie diverse ai mercati di piazza Dalmazia e di San Lorenzo, Modou Samb e Mor Diop e ferisce gravemente Moustapha Dieng, Cheikh Mbengue e Mor Sougou. Alle storie e alle testimonianze dei sopravvissuti agli attentati è dedicato «Va’ Pensiero, storie ambulanti» del regista etiope Dagmawi Yimer, un docufilm del 2013 definito dall’allora ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge un «capolavoro in grado di contribuire al cambiamento culturale».
Dagmawi, oggi 37enne, una laurea in giurisprudenza, vive dal 2006 in Italia come rifugiato. E’ arrivato a Lampedusa dopo un viaggio drammatico raccontato nel documentario «Come un uomo sulla Terra» (del 2008). Attualmente si occupa di mediazione linguistica e culturale per l’associazione Asinitas di Roma e dal 2010 collabora con l’Archivio delle Memorie Migranti, di cui è vicepresidente, promuovendo forme di auto-narrazione degli immigrati.
Dagmawi, perché questo documentario?
«All’inizio il mio progetto era un altro. Nel 2009 a Crema ho conosciuto per motivi di lavoro Mohamed Ba, la vittima dell’aggressione di Milano. Mi ha subito colpito per le sue notevoli capacità linguistiche e intellettuali, per il suo impegno nell’ambito interculturale. E mi colpiva il fatto che tutte queste qualità umane fossero scomparse agli occhi dell’aggressore, che aveva visto in Ba solo un numero, un immigrato, non una persona. Così è nato in me il desiderio di “dare un volto” a questa persona. Poi, mentre giravamo il film, sono accaduti i fatti di Firenze. Anche lì, era stupefacente come le cronache parlassero dell’aggressore italiano ritraendolo a 360 gradi, ricostruendo la sua storia, parlando del suo percorso politico, dei libri che aveva scritto ecc mentre delle vittime, senegalesi, non una parola. Così ho ampliato il progetto iniziale, per dare voce e volto anche a loro. Il mio non è un film di denuncia, il focus non sono le aggressioni ma gli immigrati visti e “scoperti” nella loro umanità. Ho voluto mostrare che non sono solo vittime, ma persone: padri, mariti, uomini che lavorano, che piangono e gioiscono come chiunque altro».
Quale messaggio vuole trasmettere il titolo «Va’ Pensiero»?
«Va’ Pensiero è il titolo e anche la colonna sonora del girato. Mentre lavoravo al film ho fatto alcune ricerche in internet sulle aggressioni e mi sono imbattuto in un filmato della Lega Nord; sono rimasto colpito dalla musica, mai sentita prima ma per me bellissima, che faceva da sottofondo al filmato e che contrastava con i messaggi da esso trasmessi. Approfondendo ho scoperto che il testo dell’opera era perfettamente in sintonia con quanto volevo esprimere nel mio documentario; e anche con il lavoro teatrale di Mohamed Ba che porta in scena uno spettacolo dal titolo “Invisibili”, in cui racconta il passato dell’Africa schiavizzata e deportata, analogo a quello degli ebrei condotti a Babilonia.
Com’è cambiata la vita dei protagonisti di «Va’ Pensiero» in seguito alle aggressioni subite?

«Faticano ancora a superare il trauma: quella che fino ad allora consideravano la propria città (Ba viveva in Italia da 14 anni) da quel momento non è stata più la stessa, non si sentono più sicuri ma temono ogni parola, ogni sguardo. Ogni persona può essere un potenziale aggressore. Mor non è più tornato al mercato dove gli hanno sparato. Ba sta cercando di elaborare il trauma attraverso il teatro ma a mio avviso anche lui non ha completamente superato le difficoltà. Malgrado ciò, tutti loro hanno deciso di rimanere in Italia, grazie al sostegno e alla solidarietà che hanno ricevuto da parte di molti concittadini italiani. Se non fosse stato per queste manifestazioni di solidarietà (ai sopravvissuti alla strage di Firenze è stata anche concessa la cittadinanza italiana) avrebbero vinto gli aggressori, coloro che volevano eliminarli. La solidarietà si è rivelata più forte della violenza. Oggi Ba, Cheikh e Mor non nutrono rancore o spirito di vendetta, soltanto ancora non riescono a capire il perché di quella furia cieca».
E lei come se la spiega?
«A mio avviso è la disinformazione che rende il clima teso. In Italia mancano informazioni corrette sugli stranieri, si fa di tutte le erbe un fascio, senza distinzioni fra chi vive qui da 40 anni e chi è arrivato ieri, fra chi lavora onestamente e chi delinque. I mass media sono spesso incompetenti, non hanno le risorse economiche e di tempo per approfondire il tema dell’immigrazione. Così si diffondono informazioni generiche e superficiali, che vengono poi strumentalizzate dalla propaganda politica. Nell’italiano medio si crea un’immagine distorta degli stranieri, percepiti come un peso e una minaccia, anziché coglierne il valore di risorsa, anche economica, per il Paese».
(*) ripreso dal blog del Cisv: http://cisvto.wordpress.com/

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