Iran: Masha, Hadis e la scintilla della rivolta

di Daniela Pia

«Roussari ya Toussari». Cioè “velo in testa o botte in testa”  questo lo slogan coniato dai miliziani di Hezbollah quando davano la caccia alle donne che, dopo la rivoluzione del ‘79, osavano mostrare il capo scoperto.

Quarantatré anni dopo, in Iran, le donne sono ancora l’ossessione di un patriarcato che le individua come esseri umani da ricondurre all’obbedienza cieca di maschi che si ergono a padroni della loro vita.

Di botte in testa e sul volto, Masha Amini ne deve aver preso così tante da spegnerle per sempre la mente, gli occhi e rapinarle la vita.

Un ciuffo di capelli, scappato dal velo, è bastato per scatenare la barbarie della polizia morale. Morale dunque l’agire dei torturatori, immorale una ciocca gentile fuggita alla costrizione.

Soprusi che le donne iraniane fanno sempre più fatica a tollerare; per questo dalla morte di Masha Amini  le proteste stanno dilagando per tutto l’Iran  dove le donne scendono in piazza, sfilandosi il velo e tagliandosi i capelli in opposizione alla legge religiosa del paese. In modo particolare nella regione del Kurdistan iraniano, terra di Mahsa Amini, dove – secondo il Kurdistan human rights group – le forze di sicurezza avrebbero ucciso decine di manifestanti, mentre i feriti sarebbero più di 700, centinaia gli arresti. Grande il coraggio di una piazza che definisce questa morte un «femminicidio», conseguenza delle sistematiche politiche punitive verso le donne, attuate dal regime che governa in maniera autoritaria il Paese ed è guidato dai religiosi sciiti.

Così sta accadendo che il volto di Masha – il cui nome curdo è Jhina – stia diventando «un esempio di vita, la scintilla della rivolta» così la definiscono i cartelli sollevati delle donne durante le manifestazioni contro il regime e contro il corpo di polizia responsabile di abusi e violenze. 

Idealmente con loro, il regista iraniano premio Oscar, Asghar Farhadi, intervenuto per chiedere agli intellettuali e agli artisti di tutto il mondo di appoggiare la protesta delle donne iraniane. Racconta «Ho visto indignazione e speranza nei loro volti e nel modo in cui marciavano per le strade. Rispetto profondamente la loro lotta per la libertà e il diritto di scegliere il proprio destino nonostante tutta la brutalità a cui sono soggette. Sono orgoglioso delle donne potenti del mio Paese e spero sinceramente che attraverso i loro sforzi raggiungano i loro obiettivi».

Fra queste donne Hadis Najafi, 20 anni, capelli biondi raccolti in una coda, si era tolta il velo per dare forza alla sua protesta contro l’uccisione di Mahsa Amini.

Diventata un simbolo, anche Hadis, è morta ammazzata, uccisa ieri da 6 colpi di pistola al viso, al collo e all’addome.

Aveva 20 anni e un coraggio immenso difficile, qui in Occidente, anche solo da immaginare.

Intanto le manifestazioni contro il governo di Ebrahim Raisi dilagano anche fuori dai confini. Ieri vicino all’ambasciata iraniana nel Kurdistan iracheno ne è stata repressa una mentre ad Atene una bomba molotov ha colpito l’ambasciata della Repubblica Islamica e sabato pomeriggio circa 200 persone si sono riunite in piazza Syntagma, nel centro della capitale greca, per denunciare la repressione delle proteste da parte dell’Iran.

Non sarà più possibile per il regime iraniano ignorare questa mobilitazione e, nonostante l’ambasciatore Bradanini affermi che le proteste non rovesceranno il potere, oggi il dominio di Rahisi e degli integralisti sta traballando sulle onde dei capelli delle donne, come ha sostenuto con la sua incisiva vignetta Stefania Spanò, detta Anarkikka, noi siamo tutte «con le donne che stanno scatenando l’IRAN di Dio».

Per tutte loro le note della commovente “ Bella ciao” in lingua persiana, la resistenza di note senza confini. Ascoltatela qui: https://youtu.be/TH13xGu9fCQ

 

Redazione
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4 commenti

  • Mi scuso per aver riportato il nome di Mahsa invertendo la H.

  • A PROPOSITO DI ELHAM E SAREN – ATTIVISTE LESBICHE IN IRAN – la “bottega” riprende questo comunicato di All Out.

    le persone LGBT+ vengono ancora condannate a morte, solo per quello che sono.

    Il movimento di All Out è stato fondato con la missione di lavorare per un mondo dove NESSUNA PERSONA venga perseguitata per la sua identità o per quella di chi ama. Si tratta di un movimento potente e globale che può ottenere molto. E, per fare ciò, abbiamo di nuovo un disperato bisogno del tuo aiuto.

    Sareh ed Elham sono giovani attiviste lesbiche iraniane, recentemente condannate a morte per il loro coraggioso lavoro a sostegno delle persone LGBT+.

    Sareh, 31 anni, è stata arrestata mentre cercava di chiedere asilo attraversando il confine con la Turchia. Inoltre, le autorità sono riuscite a estorcere delle confessioni contro la sua amica, Elham, 24 anni, e le hanno usate per arrestare anche lei.

    All Out collabora con le organizzazioni che sono direttamente coinvolte nel caso di Sareh ed Elham. Ma oggi abbiamo bisogno del tuo aiuto per sostenere il nostro lavoro. Anche con una donazione per contribuire a sostenere questa e altre campagne cruciali.

    In 11 Paesi del mondo possono condannarti a morte solo per la persona che ami. L’Iran è uno di questi.

    Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad alcuni incredibili atti di solidarietà di questo bellissimo movimento All Out, che hanno cambiato la vita delle persone.

    Dopo che i Talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan, la vita è diventata estremamente più pericolosa per le persone LGBT+, poiché l’omosessualità può essere punita con la morte sotto il governo talebano.

    Grazie all’incredibile generosità di membri di All Out come te, abbiamo raccolto abbastanza fondi per fornire cibo, alloggio, medicine e vestiti a 77 persone LGBT+ bloccate in Afghanistan, e abbiamo inoltre provveduto al trasferimento d’emergenza di 6 persone LGBT+.

  • Francesco Masala

    Le manifestazioni proseguono ma in una forma più attenuata a causa della dura repressione messa in campo dal potere degli ayatollah. Le vittime confermate dalle fonti ufficiali governative sono fino a ieri 71 morti e 1200 gli arrestati, ma le cifre fornite dall’opposizione all’estero son molto di più. Durante i sermoni per la preghiera collettiva del venerdì, gli imam hanno attaccato i manifestanti definendoli traditori ed hanno chiesto per loro una dura punizione. L’imam Khaminei non si è ancora espresso sulla situazione e sono apparse voci su una sua malattia grave, che impedisce un suo messaggio i video. Le ultime vittime della repressione sono due ragazze che hanno postato una foto che le ritrae in un locale pubblico mentre bevevano un caffè con i capelli scoperti. Un altro caso eclatante è quello di Shervin, un giovane cantante arrestato perché aveva postato sui social l’ultima sua produzione artistica dedicata a Mahsa, una poesia composta dagli slogan di piazza. (Nell’approfondimento qui sotto trovate la traduzione del testo, a cura di un collaboratore di Anbamed e il link per ascoltarla).
    Approfondimento

    Sollevato il velodi Mahsa. La società iraniana sfida la morale repressiva. di Marina Forti

    https://www.anbamed.it/2022/09/30/sollevato-il-velo-di-mahsa-la-societa-iraniana-sfida-la-morale-repressiva/

    Questo è il testo della canzone di Shervin – Baraye

    Il cantautore è stato arrestato dopo che la canzone è diventata virale in pochi giorni dalla sua pubblicazione sui social. (ascolta)

    Per ballare liberamente nelle strade

    Per la paura dei baci proibiti

    Per mia sorella, tua sorella, nostre sorelle

    Per cambiare le menti marce.

    Per la vergogna della povertà

    Per il rimpianto di una vita normale

    Per il lavoro minorile e il sogno infranto (dei ragazzi)

    Per questa economia pianificata centralizzata.

    Per quest’aria inquinata

    Per via Valiasr e i suoi alberi impolverati

    Per i ghepardi asiatici in via di estinzione

    Per i cani innocenti proibiti.

    Per le lacrime incessanti

    Per aver ripetuto questa scena

    Per un volto pieno di sorriso

    Per gli studenti e il loro futuro.

    Per questo paradiso forzato

    Per le élite imprigionate

    Per i bambini afgani

    Per tutti questi “per” unici.

    Per tutti questi slogan forzati senza senso

    Per i detriti di edifici fragili

    Per sentirsi a proprio agio

    Per una luce dopo la lunga oscurità.

    Per antidepressivi e insonnia

    Per “uomo, patria, prosperità”

    Per le ragazze che avrebbero voluto essere maschi

    Per “donna, vita, libertà”.

    Alla libertà

    Alla libertà

    Alla libertà

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