Islam e omosessualità fra ieri e oggi
di Tahar Lamri
L’Islam, a differenza dell’ebraismo e del cristianesimo, non è omofobo. I musulmani contemporanei invece, nella loro grande maggioranza, sono omofobi. L’Islam, nella sua più alta espressione e fonte primaria del diritto, il Corano non condanna l’omosessualità. La sharia – insieme del diritto musulmano – invenzione umana del secondo secolo dell’era islamica è decisamente omofoba.
Il Corano, pur raccontando la storia di Sodoma, nominandola come “qawm Lot”, la “gente di Lot”, non prevede, come nel caso dell’adulterio ad esempio, nessuna sanzione. Si limita a chiamare la pratica omosessuale “fahisha” (“deplorevole”, secondo Lissan al-Arab) e qualifica quelli che la praticavano fra Qawm Lot “musrifun” (“quelli che esagerano”, erroneamente tradotto in italiano “trasgressori” ‘corano.it’ – Vedi Corano 7, 80-84 Al Araf), in uno stile indiretto – è il profeta Lot che parla -, diversamente da quando parla di adulterio o di furto o di truffa sul peso delle merci, dove è Dio che condanna e prevede sanzioni.
Inoltre quando il Corano enumera le persone davanti alle quali le donne possono farsi vedere senza particolari veli, c’è una categoria “quelli senza desiderio per le donne” (erroneamente tradotto in italiano “servi maschi senza desiderio”, il Corano non parla di servi) Gli esegeti, Tabari in testa, si sono arrovellati tanto sul genere di questi uomini (Corano 24, 31): Tabari, dopo essersi chiesto se si tratta di semplici di spirito, fa presente un racconto di Aisha, la moglie del Profeta, che racconta di un “mukhannath” (gay, diremmo oggi), di nome Hit che frequentava normalmente le mogli del Profeta ma contro il quale il Profeta si è arrabbiato molto quando lo sorprese un giorno descrivere a Um Salama, moglie del Profeta, le parti intime di un’altra donna, vietando a Hit, da quel giorno di frequentare le sue mogli. Tabari conclude “si tratta del mukhannath che non ha desiderio per le donne”.
I mukhannath erano famosi in Arabia a quei tempi. A Medina, i più famosi Tuwais (piccolo pavone) e Dalal (civetta, civetto). Le raccolte di adab sono piene di aneddoti su questi mukhannat. Il più famoso: Tuwais viene convocato dal Califfo che gli chiede di recitare la “Madre del Libro” Tuwais risponde: “Non leggo già le figlie, come volete maestà che sappia leggere le madri”, incorrendo in una sanzione per questa insolenza.
La prima repressione verso i mukhanath la compie il califfo omeyade Sulayman Ibn Abdel Malik (674-717), quando decide di castrare alcuni mukhannath di Medina perché accusati di corrompere giovani imberbi, il che fa dire a uno di loro: “bella idea che ha avuto il califfo. Ora mi sento mutilato ma completo”.
Non c’è, nelle due più importanti raccolte, Bukhari e Muslim, nessun hadith – detto del Profeta – che condanna l’omosessualità. Ci sono però, in raccolte minori e contestate, Ibn Maja, Tirmidhi, hadith feroci, fabbricati con ogni evidenza dal nulla, contro l’omosessualità maschile e uno contro quella femminile “sihaq, in arabo”. Hadith caratterizzati da una tendenza a reprimere la confusione fra i generi: ci sono gli uomini, le donne e basta.
Durante la dinastia Omeyade, diversi califfi erano famosi per la loro omosessualità, come riporta Suyuti in Tarikh Al-Khulafa (Storia dei califfi). Ma è durante la dinastia successiva, quella degli abbassidi che l’omosessualità diventa palese e pubblica. Molti poeti di questo periodo, il più famoso è Abu Nawas, pubblicano versi e raccolte oggi impossibili. Il califfo Al-Amin non nasconde più il suo amore per Kawthar, già che lo stesso Abu Nawas, a sua volta amante del califfo, scrive che Al-Amine ha reso l’omosessualità la seconda religione dei musulmani. Un altro califfo Al-Mutawakkil ha composto lui stesso poesie in lode del suo amante Shahik, così il califfo Al-Muatassim (famoso fra i musulmani perché ha mosso guerra ai bizantini al grido di una donna “wa muatssamah”) e proprio in quel periodo, Yahiya ibn Aktham, il più famoso dotto dell’islam e uno dei compilatori della sharia, lodato da Ahmed Ibn Hanbal e da Ibn Abi Dawod, non faceva alcun mistero della sua omosessualità con versi e intere poesie (Muruj al-Dahab, Ibn Mandhur). Al punto che Ahmed Al-Tifashi (1184-1253) nel suo “Il Libro delle Pietre Preziose” (Marsilio) dedica un capitolo intero ai piaceri dell’amore omosessuale e prodiga consigli come goderne al meglio.
Mi fermo qui perché vedo che l’argomento è inesauribile e infinito; magari in un prossimo post parlerò di ciò che succede oggi.