Italia terza nel campionato europeo del rischio povertà

di Gianluca Cicinelli

Nel calcio ce la dobbiamo ancora giocare, ma per quanto riguarda l’aumento del rischio di povertà in Europa siamo già ai vertici, terzo posto acclarato secondo le stime Eurostat relative al 2020, l’anno della pandemia. Il reddito da lavoro medio della popolazione tra i 18 e i 64 anni, quella in età lavorativa, nell’Unione Europea è diminuito del 7% rispetto al 2019. Secondo Eurostat l’incremento del tasso di rischio povertà in Italia è stato tra i più alti, dovuto all’aumento senza precedenti del numero di lavoratori assenti dal lavoro o a orari ridotti. Tuttavia, i consueti trasferimenti e tasse governativi, nonché le politiche temporanee, hanno contribuito a compensare parzialmente l’impatto della crisi da covid sul reddito disponibile delle famiglie. I maggiori aumenti del tasso di rischio di povertà della popolazione in età lavorativa sono stati osservati in Spagna, Croazia, Italia, Slovenia e Grecia.

Il tasso è rimasto stabile in circa la metà degli Stati membri, mentre è diminuito in Estonia. In merito ai vari sostegni erogati dai governi Eurostat sostiene che hanno svolto un ruolo importante nella stabilizzazione dei salari e del reddito delle famiglie, in particolare per quelle a reddito più basso. Sebbene le persone a basso reddito siano state maggiormente colpite dalla crisi, questi regimi temporanei hanno contribuito a compensare le loro perdite di reddito. I benefici retributivi seguono una distribuzione progressiva, essendo più elevati per chi ha redditi più bassi. Il reddito familiare disponibile e il tasso di rischio di povertà emersi dalla ricerca sono rimasti stabili nel 2020, ricordando che secondo le stime dell’Istat presentate lo scorso marzo il 2020 ha lasciato in povertà assoluta 335 mila famiglie in più rispetto all’anno precedente. Parliamo di un totale di circa 5,6 milioni di italiani che non riesce più a sostenere le spese per attività e consumi necessari.

L’incremento della povertà assoluta tra gli italiani si sovrappone a un quadro pregresso di disuguaglianze e precarietà finanziaria, soprattutto nel Sud Italia, dove nel 2019 circa il 15% delle famiglie contro il 5% nel Nord si trovava in una situazione di grave deprivazione materiale e arrivava a fine mese con grandi difficoltà. In regioni come Calabria, Campania e Sicilia, nel 2019 più del 30% delle famiglie era a rischio povertà e, negli stessi territori, il rischio povertà risultava fortemente correlato al livello di disuguaglianza dei redditi. Le spese che hanno subito una più ampia contrazione sono quelle per abbigliamento, trasporti, servizi medici e istruzione. Un meno 19,4% che è strettamente legato sia alla contrazione dei redditi che alle chiusure delle attività. Le perdite di reddito da lavoro sono dovute in gran parte all’aumento senza precedenti del numero di lavoratori definiti tecnicamente “assenti dal lavoro”, dizione con la quale ci si riferisce a licenziamenti, cassa integrazione, sospensione temporanea dell’occupazione, anche se incidono gli orari ridotti che comportano redditi ridotti.

L’ultimo rapporto Eurostat conferma in sostanza quanto già affermato dall’ente nella sua relazione di qualche settimana fa sugli obiettivi di sviluppo sostenibile, Sdg in sigla, negli ultimi 5 anni. Sugli obiettivi di riduzione delle disuguaglianze e costruzione di partnership globali l’Italia non solo è sotto la media Ue ma sta addirittura arretrando dall’obiettivo. Pur avendo fatto dei progressi sull’istruzione e il lavoro, resta molto al di sotto della media europea. Il principale punto debole è la lotta alle disuguaglianze, peggiorata dell’1,4% negli ultimi cinque anni. L’Italia, per capirci, è uno dei pochi Paesi dell’Unione dove la percentuale di persone a rischio povertà è salita, per l’esattezza dal 28% al 30%, invece di scendere, come avvenuto alla media europea. Un quadro che peggiora sull’istruzione, dove il nostro Paese si trova 30 punti percentuali sotto la media Ue. Siamo insieme alla Romania il Paese con il livello più basso di diplomati. Inoltre abbiamo il minor tasso di alfabetizzazione informatica tra adulti di tutta l’Europa, con il 40% di persone che hanno competenze di base contro il 60% della media europea.

Sull’obiettivo di assicurare a tutti un lavoro adeguato, l’Italia è sotto di 45 punti dalla media Ue, -45, con un progresso di appena un punto rispetto al 2015. Le cause sono da ricercare, tra le altre, nell’altissimo numero di giovani inattivi, un tasso del 24%, che ci rende penultimi nella Ue per tasso di occupazione giovanile con il 62%. A rendere ancora più significativo il dato è per contrapposizione la relativa stabilità degli anziani, considerando che invece fino al 2009 i più poveri erano gli over 65. I giovani infatti sono i più soggetti alle variazioni del mercato del lavoro mentre il reddito degli anziani dipende in massima parte dallo Stato. Quello che poteva sembrare un luogo comune qualche anno fa, secondo cui i nonni sono la principale fonte di stabilità per la vita dei giovani, è un dato di fatto ampiamente dimostrato dai numeri. E non lascia certo ben sperare per una società che guarda al futuro.

 

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