La povertà in Italia e il paradosso di san Francesco

due articoli ripresi da Diogene (*)

Povertà in Italia fuori controllo per scelta politica

Redazione di «Diogene»

È stato presentato a Roma il nuovo report dell’Alleanza contro la povertà, la rete di organizzazioni sociali, sindacali e del terzo settore che da anni tiene acceso un faro sul tema. E il quadro che emerge è duro: la povertà in Italia non solo non arretra, ma cresce e si radica, mentre le risorse pubbliche destinate al contrasto diminuiscono.

«La povertà in Italia cresce, ma sui poveri si risparmia», ha denunciato il portavoce Antonio Russo, sottolineando l’assurdità di un Paese che si impegna con Bruxelles a spendere 2 miliardi in più all’anno per le armi fino al 2035, e nello stesso tempo taglia oltre 1 miliardo l’anno sulle misure di sostegno ai più fragili.

I numeri della crisi sociale

Secondo l’Istat, nel 2024 più di un cittadino su cinque (23,1%) è a rischio di povertà o esclusione sociale, con punte del 40% nel Mezzogiorno. Le famiglie in povertà assoluta sono 2,2 milioni (8,4% del totale), per un totale di 5,7 milioni di individui. Tra loro ci sono 1,3 milioni di minori: bambini e ragazzi che crescono senza garanzie per il presente e senza prospettive per il futuro.

Il dato più inquietante è che, rispetto a dieci anni fa, la povertà non solo non è diminuita, ma si è aggravata: l’incidenza della povertà assoluta è aumentata di oltre due punti percentuali. «Parliamo di un fenomeno ormai strutturale, non di un’emergenza passeggera», ha sottolineato Russo.

Le cause: inflazione, lavoro povero, caro-affitti

Il documento individua cinque fattori chiave: l’inflazione, soprattutto alimentare e abitativa, che ha bruciato i redditi reali; la precarietà lavorativa, che rende instabili milioni di esistenze; i salari troppo bassi; il caro-affitti, che divora gran parte delle entrate familiari; la debolezza dei servizi sociali territoriali, incapaci di fornire risposte efficaci e omogenee sul territorio nazionale.

È una miscela che lascia poco scampo a chi vive già ai margini e spinge ogni anno nuove famiglie oltre la soglia della povertà.

Dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione: la forbice si allarga

La situazione si aggrava con le scelte politiche degli ultimi anni. Con il passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione, la platea dei beneficiari si è dimezzata: da 1,3 milioni di nuclei familiari a poco meno di 700 mila. E con essa è crollata anche la spesa, passata da 8,8 miliardi a circa 7,1 miliardi, con un risparmio per lo Stato stimato in oltre 3 miliardi di euro.

Dietro questi numeri ci sono famiglie rimaste senza alcun sostegno pur vivendo in condizioni di povertà assoluta. «Le misure sono diventate categoriali e non più universali», ha spiegato Russo. «Chi non rientra nei criteri stabiliti resta escluso, anche se povero».

L’Italia indietro rispetto all’Europa

Il confronto internazionale mette in evidenza il ritardo italiano. Con il Reddito di cittadinanza la copertura arrivava al 4,2% della popolazione, già inferiore al 6% garantito da Francia e Germania. Con l’Assegno di inclusione, il dato è crollato al 2,5%: meno della metà degli altri grandi Paesi europei.

Piccoli correttivi, grandi limiti

La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto alcuni aggiustamenti (soglie ISEE più alte, benefici maggiorati per chi paga affitto, parziale indicizzazione all’inflazione), ma si tratta di interventi che non modificano la natura selettiva e frammentaria della misura. Il rischio, sottolinea l’Alleanza, è che «il sostegno resti frammentario e non raggiunga chi ne ha più bisogno».

L’appello: non è più tempo di risparmiare sui poveri

L’Alleanza contro la povertà avanza una serie di proposte precise: allargare la platea dei beneficiari, ridurre i vincoli di residenza per gli stranieri, consentire la cumulabilità con i redditi da lavoro, rafforzare i servizi sociali, riportare i finanziamenti almeno ai massimi storici. Ma soprattutto chiede un cambio di rotta politico: «È tempo di mettere la povertà in cima all’agenda nazionale. Non si può continuare a risparmiare sulla pelle di milioni di persone», ha concluso Russo.

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San Francesco: la festa del paradosso nazionale

di Gianluca Cicinelli

Che tempismo invidiabile: mentre l’Alleanza contro la povertà ci ricorda che in Italia 2,2 milioni di famiglie e un italiano su dieci vivono in povertà, la politica si appresta a riportare il 4 ottobre, giorno di San Francesco tra le feste nazionali. Il santo che predicava la povertà, celebrato con un giorno libero. È come onorare un maratoneta con un abbonamento al divano.

In libreria arriva anche l’ultimo lavoro di Alessandro Barbero su Francesco d’Assisi: uno scavo storico che toglie gli orpelli agiografici e rimette al centro l’uomo che si spogliò — letteralmente — del superfluo. Barbero ci ricorda che Francesco non è un soprammobile spirituale: è una rottura. Rinuncia, essenzialità, scelta radicale. Altro che gadget.

Intanto, su Diogene Notizie passano ogni giorno i volti della povertà reale: mense piene, frigoriferi vuoti, stipendi che non reggono l’inflazione, case troppo care per salari troppo bassi. È la geografia dell’Italia normale, quella che non fa notizia finché non la guardi da vicino — e quando la guardi capisci che non è un’emergenza, è la nuova normalità.

Ora, la trovata: trasformare il 4 ottobre in festa “vera”. Idea suggestiva, per carità. Ma che cosa festeggiamo, esattamente? La rinuncia di Francesco con la nostra voglia di ponte? La sobrietà con le vetrine aperte? La fraternità con i conti pubblici che risparmiano miliardi proprio su chi resta indietro? Negli stessi mesi in cui si chiedono 2 miliardi in più l’anno per altre voci di bilancio, alle persone in povertà si dice: «Tornate domani, oggi è chiuso: è San Francesco».

Il punto non è essere contro una festa. È essere contro la scorciatoia simbolica che sostituisce le politiche. Se proprio vogliamo onorarlo, San Francesco, potremmo farlo alla lettera: aprendo gli sportelli sociali proprio il 4 ottobre; annunciando un piano stabile per i contributi affitto e gli alloggi sociali; allargando l’accesso alle misure di sostegno in base al reddito, non all’etichetta familiare; indicizzando davvero i benefici all’inflazione. Sarebbe un bel miracolo laico: meno parole, più pane.

Francesco non chiedeva di festeggiarlo: chiedeva di imitare un pezzo della sua radicalità. E qui sta l’ironia (amara): abbiamo preso il santo della povertà scelta per metterci a posto la coscienza davanti alla povertà subita. Un giorno all’anno per passare in rassegna il sacro, e gli altri trecentosessantaquattro per passare oltre.

Se proprio serve una ricorrenza, scegliamone una che costi a noi quel minimo di scomodità che dia senso al rito: niente bonus immagine, niente proclami. Qualche miliardo in più dove serve, qualche procedura in meno dove blocca, qualche porta aperta quando tutto il resto è chiuso. Sarebbe il modo più serio — e, concediamoci l’ossimoro, più francescano — di trasformare una festa in giustizia.

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