«La salute in un angolo»

Mariano Rampini sull’importante libro di Martina Benedetti

Qualcosa di intangibile, di cui non avvertiamo la presenza. Finché un malanno ₋ di qualsiasi genere ed entità ₋ non ci costringe a prendere coscienza di un servizio sociale di estrema importanza per tutti.

E’ il Servizio sanitario nazionale (Ssn), quello – fra tutti gli altri che lo Stato mette a nostra disposizione – che ci segue dalla nascita fino alla nostra morte assicurando, nel percorso di vita dei cittadini, un’assistenza sanitaria in larghissima parte gratuita, sia per le malattie “semplici”, sia per quelle di estrema complessità.

E proprio il Ssn il protagonista principe del lavoro di Martina Benedetti ₋ infermiera professionale di Terapia intensiva, divulgatrice scientifica e scrittrice ₋ La salute in un angolo. pubblicato da Dedalo. Un lavoro documentato, accurato e completo su quella che è stata la genesi del Ssn e sulle sue trasformazioni nel corso di oltre quaranta anni trascorsi da quel 1978 in cui il Parlamento licenziò la legge 833 che lo istituiva.

Già a una prima lettura appare evidente come il libro non abbia soltanto un intento didascalico (pure importante: sono moltissimi i punti nei quali vengono approfondite tematiche spesso sottaciute o comunque trascurate) ma rappresenti piuttosto una difesa sentita e accorata di un sistema che ₋ almeno fino a oggi ₋ mette l’Italia tra le nazioni più avanzate nella difesa della salute collettiva.

Come ben ricorda l’autrice, i princìpi fondanti del sistema sanitario pubblico sono infatti quelli di universalità, uguaglianza ed equità (per molti versi mutuati da quelli che diedero vita nel 1945 al National Health Service inglese) che rappresentano un approccio estremamente innovativo rispetto a tutti i sistemi di assistenza sanitaria che lo avevano preceduto.

Ma la creazione di un vero e proprio “ombrello” – sotto il quale potessero trovare indistintamente riparo tutti coloro che si trovavano sul nostro territorio nazionale – non è stata esente da pecche. Dopo la fase iniziale alla quale non furono affatto estranee, ricorda Benedetti, «le trasformazioni sociali degli anni ’60 e ‘70»), il sistema ha cominciato a rivelare le proprie inevitabili fragilità.

Primo tra tutti il suo finanziamento

La “trappola” del Fondo sanitario nazionale

In sostanza i cittadini attraverso parte delle loro tasse finanziano per intero il Fondo sanitario nazionale (Fsn) destinato a coprire le spese di mantenimento e di funzionamento del sistema. Lo Stato poi provvede a distribuire alle Regioni le quote di Fsn spettanti a ciascuna (il sistema di calcolo per la suddivisione è a sua volta stato oggetto di critiche e di revisioni).

Qui sorge un primo interrogativo: il cittadino paga ma è davvero consapevole di quanto possa ricevere in cambio da una qualsiasi prestazione del servizio?

Un esempio per tutti proposto da Benedetti: un posto letto in una Terapia Intensiva costa giornalmente tra gli 80 e i 100 mila euro, senza contare il costo del personale. E questo discorso può essere fatto praticamente per tutti i settori dell’assistenza.

L’autrice propone un ulteriore esempio attraverso il quale far comprendere come il Ssn sia un patrimonio da difendere e tutelare perché la sua copertura offre ai cittadini servizi dal valore ben superiore alla quota di tassazione pagata in busta paga. In sostanza un diritto universale e non un lusso.

Immagina così due bambini: Leonardo (italiano) e James (statunitense che riceve assistenza grazie a un sistema di assicurazioni private). Leonardo è stato seguito durante la gestazione da un consultorio familiare dove sua madre ha eseguito ecografie, analisi del sangue, corsi preparatori e quant’altro. Se al momento della nascita si rendesse necessario un cesareo, questo farebbe parte del pacchetto di servizi del Ssn, quindi tutto gratis.

Passiamo a James: sua madre ha un’assicurazione sanitaria che però non copre tutto. Un parto naturale costa tra i 10 e i 15 mila dollari mentre un cesareo può arrivare a 30 mila. L’assicurazione copre gran parte delle spese ma resta sempre fuori qualcosa che si aggira tra i 3 e i 5 mila dollari a carico della famiglia.

I controlli pediatrici (vaccinazioni comprese) per Leonardo sono ancora gratuiti mentre James (il povero?) paga ogni visita intorno ai 200 dollari mentre una dose di vaccino può arrivare fino a 250. Non basta.

Mettiamo che il giovane Leonardo giocando a pallone cada e si rompa un braccio: al Pronto Soccorso lo visitano, gli fanno una radiografia, lo ingessano (se del caso) e lo dimettono. James è meno fortunato: la visita ortopedica costa 500 dollari, la radiografia 200 e l’eventuale ingessatura 1000. Sono 1700 dollari (800 da pagare subito) e se non ci fosse l’assicurazione i costi potrebbero superare i 2500 dollari.

Andiamo avanti: Leonardo cresce, invecchia e ₋ purtroppo ₋ gli viene diagnosticato un tumore (la visita è ovviamente gratuita) e il seguente percorso terapeutico è interamente a carico del Ssn. James, al contrario, continua a essere perseguitato dalla “sfortuna” finanziaria: la sua assicurazione non copre tutta la diagnosi e la terapia (il costo di una terapia chemioterapica negli Usa va da 10 a 20 mila dollari a ciclo) e deve magari saltare qualche passaggio.

Va tutto bene nel Servizio sanitario nazionale?

Gli esempi sopra citati sono ovviamente indicativi e servono a far comprendere quanto sia dispendioso assicurare un percorso di salute per il singolo cittadino (i costi in dollari sono praticamente sovrapponibili a quelli in euro). Da qui tutta una serie di problemi che, se non affrontati, potrebbero seriamente mettere in pericolo la tenuta del nostro sistema. E in parte già lo fanno.

A cominciare dalla partita del finanziamento che sconta una sorta di peccato originale, cioè la percezione ₋ condivisa nel tempo da praticamente tutti i Governi ₋ della sanità come “costo” da controllare e soprattutto da contenere il più possibile.

Ecco così che l’Italia ₋ pur in possesso di un Ssn universalistico ₋ si trova a essere tra le nazioni europee che investono meno in Sanità. Siamo al 14° posto tra i Paesi dell’Ocse e ultimi tra quelli del G7 (fonte: Gimbe); la media europea (Paesi dell’Unione Europea) è pari al 6,9% del Pil con punte (Francia e Germania nel 2024) del 10 e dell’11%. In Italia, al contrario, si investe appena il 6,3% del Pil.

Una situazione per molti versi sconsolante anche perché, nel tempo, cioè dal 1978 a oggi, ha finito col produrre tutta una serie di storture che Benedetti esamina via via nelle pagine del suo libro. A partire dalla scarsità del personale, per arrivare alle liste di attesa (ferita dolorosissima), alla disponibilità non sempre tempestiva di cure innovative. E sono solo le punte di un iceberg contro cui ciascuno di noi finisce col cozzare nel nostro rapporto quotidiano con la sanità.

Quali le ferite più gravi? La prima è senza dubbio quella inferta dall’aziendalizzazione della Sanità. «Quando chiamiamo azienda un ospedale stiamo accettando, senza rendercene conto, che il valore attribuito alla salute debba passare per criteri di profitto, prestazione, rendimento. Ma la salute non è un prodotto e chi cura non è un imprenditore» scrive l’autrice.

Inoltre tutti gli attori del sistema, a cominciare dalle Regioni, agli assessorati, fino alle Direzioni generali delle varie Aziende sanitarie locali (appunto, le Asl) hanno come loro principale obiettivo quello di chiudere in pareggio il loro bilancio ma così di frequente si perde di vista tutto il resto. E a soffrirne è immancabilmente proprio il cittadino.

Ecco che nasce così la disaffezione verso il Ssn: pochi medici, infermieri e operatori specializzati significano anche aumento delle attese per ottenere prestazioni di ogni tipo. Allo stesso tempo il carattere universale del sistema viene quotidianamente messo da parte dalla regionalizzazione del Servizio che tende a inserire perniciose logiche di mercato ma ha anche un altro effetto, quello di offrire ai pazienti un servizio diverso a seconda della Regione in cui si trovano (frutto soprattutto delle leggi 502/92 e 517/93). Qui l’analisi di Benedetti diventa più “tecnica” ma conduce ugualmente a conclusioni poco confortanti: ognuna delle ventuno Regioni italiane ha adottato un modello organizzativo differente. Così chi abita in Emilia Romagna può contare su un servizio con una forte presenza pubblica e una bassa dipendenza dal privato (convenzionato o non) mentre chi abita in Lombardia si trova dinanzi un modello “misto” che mette in competizione la sanità privata e quella pubblica. O, ancora, i cittadini calabresi si trovano a vivere in una Regione dove il sistema pubblico è al collasso e a gestire il recupero dei disavanzi accumulati negli anni c’è un commissario statale.

Il futuro? È ancora più incerto: la conversione in legge del decreto Calderoli sull’autonomia differenziata potrebbe condurre a ulteriori pesanti differenziazioni tra Regioni “ricche” e “povere”.

Le conclusioni

L’insieme di problematiche affrontate da La sanità in un angolo è dunque particolarmente complesso. In questo il libro può essere un utile raccolta di informazioni anche per i più esperti del settore. Ed evidenzia ancora di più la distanza che c’è tra la percezione del cittadino e la realtà di un sistema labirintico all’interno del quale si muovono forze non sempre immediatamente comprensibili. Benedetti compie senza dubbio uno sforzo sovrumano nel tentare di semplificare concetti come – ad esempio – quello dei Diagnosis Related Groups (DRG) il sistema di classificazione in gruppi omogenei dei malati dimessi dagli ospedali in base alle risorse necessarie alle varie terapie. O, ancora il Programma nazionale esiti che dovrebbe rendere accessibili i risultati conseguiti dalle strutture sanitarie ma che, in realtà, sono dati comprensibili solo dagli addetti ai lavori (e non tutti, aggiungo). O il meccanismo del payback sanitario per il quale le aziende produttrici di dispositivi medici devono restituire parte del loro fatturato se le Regioni superano i tetti di spesa.

Resta poi quasi del tutto irrisolta la questione della prevenzione delle malattie: un punto dolente dell’intero sistema sanitario. Tutti sono pronti ad affermare che “prevenire è meglio che curare” ma quanti amministratori della cosa pubblica sono davvero pronti a destinare fondi consistenti a un impegno che non ha ₋ per sua stessa natura ₋ un ritorno economico immediato? Prevenire in realtà significa innescare un percorso virtuoso destinato a prolungare lo stato di salute dei cittadini e garantire a lungo una qualità di vita. Si eviterebbero così le spese ulteriori e crescenti necessarie per affrontare patologie spesso croniche o che richiedono interventi complessi.

Il percorso proposto da Martina Benedetti all’interno del sistema salute è lungo perché non tralascia nessuno dei punti di forza né di debolezza del Ssn, non ultimi anche gli sprechi che ne caratterizzano il funzionamento e che sarebbero spesso evitabili. Ma è anche un percorso proposto per acquisire le conoscenze indispensabili a sostenere con forza un modello di sanità che deve forse fare qualche passo indietro e riappropriarsi di quei princìpi che sono stati la sua base.

Aloora ₋ ed è la stessa autrice ad augurarselo e ad augurarlo ₋ il suo lavoro può trasformarsi in un importante vademecum per chi intenda sostenere e difendere un sistema egualitario, equo e solidale e, soprattutto, intenda farlo richiamando a unità l’intero universo di chi, all’interno di quel sistema, opera per assicurare, attraverso difficoltà di ogni tipo, la salute di tutte/i coloro che vivono sul territorio italiano.

 

Martina Benedetti

Edizioni Dedalo 2025

euro 18

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