La scuola terreno di conquista

Cresce la propaganda di guerra e la presenza delle FFAA nella scuola pubblica italiana. I protocolli di intesa tra FFAA e Ministero dell’Istruzione, in essere da diversi anni, dovrebbero essere annullati perché incompatibili con l’educazione ai diritti umani e al pensiero critico e democratico.

di Maria Pastore (*)

A cosa serve la scuola?
C’è chi crede che la scuola sia un luogo essenziale per la crescita personale perché oltre alla trasmissione di dati e contenuti attiva il piacere della scoperta di sé, dell’altro e costruisce l’attitudine a dare corpo alle proprie passioni. C’è chi crede invece che la scuola sia una perdita di tempo, una tappa obbligata che nulla insegna di veramente utile per la vita, per cui prima ne vieni fuori prima diventi grande.

Per il primo sistema di pensiero sono le relazioni, il dialogo, il rispetto delle diversità, la libertà, a dare forma al mondo.

Nella scuola pubblica italiana di ogni ordine e grado si sta registrando una costante presenza delle FFAA. Mi chiedo, come stanno reagendo a questo genitori e insegnanti?
Mi preoccupa che i ragazzi che vivono in famiglie poco fortunate economicamente possano considerare conveniente intraprendere la vita militare di professione, o che questa scelta venga maturata solo per il fascino mitico di indossare una divisa e rappresentare un’Arma.

Mi preoccupa perché si parla troppo poco degli aspetti negativi e a volte fatali della vita da militare.

Ai nostri ragazzi non si dice quanto totalizzante sia l’addestramento militare, che modella non solo il corpo ma anche la mente al punto da annullare ogni riflessione autonoma, non si dice della forza spersonalizzante della gerarchia che quando ti impartisce un ordine non puoi rifiutarti o pensarci su, devi solo eseguirlo, anche se contro i tuoi principi.

 

Non si dice della sindrome da stress post-traumatico e delle leucemie da uranio impoverito e delle altre invalidità che colpiscono i nostri (sì, anche io voglio chiamarli “nostri”) che ogni giorno operano nelle aree devastate e inquinate dalle deflagrazioni, e di come i soldati malati vengano abbandonati se decidono di intraprendere un iter giudiziario di risarcimento per la salute compromessa.

Se a scuola si trattasse, come si dovrebbe, della complessità del mondo, chiederemmo alle FFAA di parlare dei lati problematici dei loro compiti.
Si può servire la guerra e fingere che sia la migliore scelta possibile solo raccontando falsità, nascondendo il dolore.
Non c’è vittoria nelle guerre.
Orgoglio nazionale ed eroismo, profitti e conquiste non superano la misura del dolore, anzi lo procurano a chi la guerra la subisce ma anche in maniera perversa a chi la guerra è chiamato a farla. Bisognerebbe partire da qui, ogni volta che si parla di guerra e anche chiarire la differenza tra pacificazione e pace.

Quando ci muoviamo per la pace lo facciamo per tutti, anche per chi veste una divisa, non possiamo più accettare il sacrificio della loro vita così come non possiamo accettare quello delle popolazioni civili inermi e innocenti.
I negoziati e gli incontri diplomatici devono diventare l’unica soluzione praticabile per salvare vite e territori. Dobbiamo essere coinvolti tutti nel processo di costruzione e di mantenimento della pace. Non è utopistico come certi dicono, sarebbe anzi il compimento delle democrazie nel mondo. Folle di persone più o meno anonime si impegnano ogni giorno per la pace, gli unici grandi assenti sono i governi e chi manovra l’economia di larga scala.

Torniamo alla scuola.
La scuola ha un ruolo centrale nella promozione di valori e strumenti, è il luogo prediletto della riflessione collettiva e della costruzione individuale. Secondo me ha un potere sui nostri comportamenti pari, se non superiore, ai mass media perché niente è più pervasivo del vivere in un posto con le stesse persone, 30 ore a settimana per anni.
Ma quale immaginario si alimenta nelle nostre scuole? La competizione ad ogni costo? L’ipermodernità che disumanizza? La dispersione di risorse?
Bandiera della pace

Qualcuno dice ai nostri ragazzi che chi guida le sorti del mondo sta spendendo più in armi che in pace?

Lo Studio delle Nazioni Unite sull’educazione al disarmo e alla non proliferazione (30 agosto 2002, A/57/124)  indica di impartire conoscenze e capacità ai singoli per incoraggiarli a dare il loro contributo, come cittadini nazionali e del mondo, alla realizzazione di misure concrete per il disarmo sotto effettivo controllo internazionale.
Chiaramente un bambino in età scolare può accedere a conoscenze relative al disarmo meno complesse di quelle necessarie a una guardia doganale, o a un funzionario politico o un insegnante di scuola superiore. Le raccomandazioni riportate nello Studio riguardano un ampio spettro di attori e spettatori, infrastrutture e tecnologie.

La formazione al disarmo e alla non proliferazione di armi dovrebbe sviluppare capacità critica in una popolazione informata, insegnare come pensare e non cosa pensare circa un argomento, approfondire la conoscenza dei moltiplici fattori che favoriscono o minano la pace a livello locale, nazionale, globale. Dovrebbe insegnare a fare buon uso delle metodologie avanzate disponibili e incoraggiare la ricerca di comportamenti e azioni che promuovano la pace, coordinare gli sforzi di gruppi e istituzioni verso il disarmo, un mondo pacifico e non violento. (punto 7 dello Studio)

Chi ci accompagna per la durata della nostra vita, famiglia, istituti scolastici e universitari, comunità di appartenenza, media, ONG, governi, parlamenti e organizzazioni internazionali è contestualmente importante anche per la costruzione della conoscenza, pratica e teorica, che ci permette di scegliere consapevolmente e individualmente valori che non ammettano la violenza, risolvano pacificamente i conflitti e sostengano la cultura della pace. (punto 20)

È necessario allora coinvolgere bambini e giovani, studenti, insegnanti, scienziati, ingegneri e fisici, privati e corporazioni, enti religiosi, popoli indigeni, rappresentanti di comunità e municipali, politici parlamentari e ufficiali di governo, sindacati e comunità commerciali, professionisti e funzionari di legge, militari, agenti delle forze dell’ordine, ufficiali amministrativi al rilascio delle licenze e doganieri. (punto 21)

Nelle situazioni post-belliche la transizione dalla distruzione di un conflitto a una società più pacifica e sicura è un processo lungo, complesso e graduale. (punto 30) L’educazione e la formazione al disarmo e alla non proliferazione siano adattati ai bisogni speciali educativi e emozionali di bambini e adulti ex-soldato (punto 34), devono prevedere un approccio ampio che copra l’istruzione primaria e secondaria come pure la formazione professionale e tecnica. (punto 33)

 

Capi e istituzioni religiose sono incoraggiati a sviluppare materiale educativo che promuova la cultura della pace e del disarmo. (punto 12, VIII Raccomandazioni pratiche)
I materiali d’educazione al disarmo e alla non proliferazione sviluppati dalle Nazioni Unite dovranno includere materiale per i genitori per incoraggiare le attitudini alla pace e alla non violenza. Si richiedono ulteriori sforzi a insegnanti, genitori e comunità commerciali per congegnare e produrre giocattoli, giochi al computer e video che generino tali attitudini. (punto 17, VII Raccomandazioni pratiche)

Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole

Va in questa direzione indicata dall’ONU l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole nato su impulso del CESP (Centro Studi per la Scuola Pubblica) e di COBAS scuola, aperto alla collaborazione con qualsiasi sigla e realtà voglia unirsi al suo lavoro.

(*) Leggi l’articolo completo: https://www.peacelink.it/pace/a/49416.html

 

Redazione
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