L’America latina per la denuclearizzazione

Dal Trattato di Tlatelolco del 1967 all’attuale Campagna internazionale per abolire le armi nucleari, quell’immensa regione che va dal Río Grande alla Patagonia si batte ancora oggi per essere una zona di pace.

di David Lifodi

“In America latina e nel Caribe non sono presenti armi nucleari e mai ci saranno”: questa convinzione, ripetuta da numerosi presidenti ed uomini di governo di diverso colore politico, ancora oggi è condivisa in tutta la regione latinoamericana, tra i luoghi del mondo maggiormente attivi per il disarmo nucleare. In questo contesto ha svolto un ruolo di primo piano la Celac (Comunidad de Estados Latinoamericanos y del Caribe), composta da 33 paesi che si sono pronunciati più volte a favore del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, approvato in sede Onu ed entrato in vigore il 7 luglio 2017. In particolare, la Celac ha aderito nel 2015 alla “Promessa umanitaria” sorta a seguito della conferenza di Vienna dell’anno precedente, in cui si proponevano dei negoziati multilaterali sul disarmo nucleare.

Di recente, il premio assegnato da Control Arms 2018 è andato ai sette paesi che hanno promosso il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, tra cui figurano anche Brasile, Costarica e Messico. Inoltre, va ricordato il ruolo degli attivisti latinoamericani nella Campagna internazionale per abolire le armi nucleari (Ican). A differenza dei paesi occidentali, infatti, le singole associazioni della società civile impegnate per promuovere il disarmo nucleare non hanno ricevuto alcun finanziamento governativo, anche perché la loro attività non è ritenuta una priorità rispetto a problemi endemici come la lotta alla povertà o la battaglia per fermare la crescita della violenza dovuta al proliferare delle armi leggere che fanno dell’America latina la regione con il maggior numero di omicidi.

Tuttavia, la tradizione antinucleare dell’America latina risale al Trattato di Tlatelolco, che nel 1967 trasformò la regione nella prima zona densamente popolata libera da armi nucleari. Fu per questa ragione che, nel 2017, il Messico ospitò la conferenza generale dell’Opanal (Organismo para la Proscripción de las Armas Nucleares en Amèrica Latina y el Caribe), evidenziando una volta di più come i paesi caraibici e sudamericani potessero assumere un ruolo trainante per tutto il resto del mondo, soprattutto in uno scenario internazionale dove invece la minaccia di ricorso alle armi nucleari era ed è utilizzata assai di frequente.

Il Trattato di Tlatelolco fu in un certo senso anticipato da Bolivia, Brasile, Cile, Ecuador e Messico che, a seguito della crisi dei missili del 1962 a Cuba, proposero agli altri paesi latinoamericani di trasformare l’intera regione in una zona libera da armi nucleari. La riunione preliminare si tenne nel 1964 in Messico, con la partecipazione, tra gli altri, del diplomatico Alfonso García Robles (il promotore reale del Trattato), dell’ecuadoregno Leopoldo Benites Vinueza (che diverrà poi il primo segretario generale di Opanal), dell’allora ambasciatore uruguayano Carlos María Velázquez e del brasiliano José Sette Cámara. Firmato all’epoca da Argentina, Bahamas, Barbados, Bolivia, Brasile, Colombia, Costarica, Cile, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Giamaica, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica dominicana, Suriname, Trinidad&Tobago, Uruguay e Venezuela, in pratica il Trattato di Tlatelolco trasformò in area denuclearizzata un’immensa regione che andava dal Río Grande alla Patagonia.

Quando il Trattato di Tlatelolco entrò in vigore, nessun paese latinoamericano possedeva armi nucleari o era nelle condizioni di poterle fabbricare autonomamente, una situazione, questa, impossibile da realizzarsi in altre aree del pianeta. Oggi, in uno scenario politico in cui l’integrazionismo latinoamericano è andato progressivamente in frantumi, a partire dalle tensioni ai confini degli stati fino alla crescente ondata di governi reazionari che guardano più a Washington che alla tutela della regione sudamericana, il fronte dei paesi ancora pronti a scommettere sull’America latina come territorio di pace si è notevolmente ridotto.

Eppure, come sostiene Carlos Umaña, attivista per il disarmo nucleare, direttore dell’associazione internazionale dei Medici per la prevenzione della guerra nucleare e rappresentante latinoamericano in seno alla Campagna internazionale per abolire le armi nucleari, il disarmo nucleare richiede un cambio paradigmatico, non un impegno limitato alla stesura di un singolo documento o trattato. In un articolo pubblicato su Alainet, Umaña sottolinea che il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari serve soprattutto ad indebolire le lobbies economiche che traggono enormi profitti dalla proliferazione delle armi nucleari e, sotto questo aspetto, l’America latina ha sempre giocato un ruolo fondamentale a favore della denuclearizzazione.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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