Lavoro, prima tappa dei 3 referendum
Riflessioni di Gian Marco Martignoni intorno alla raccolta firme promossa dalla Cgil
La prima tappa relativa alla consegna delle firme dei tre referendum abrogativi delle norme sul lavoro ha raggiunto, senza dubbio, un risultato positivo; non senza una certa apprensione e con le difficoltà connesse a una macchina organizzativa che nelle sue articolazioni categoriali e territoriali non ha lavorato con la medesima alacrità.
Se si considera che i due referendum promossi contro l’assalto alla Costituzione del 1947 non hanno raggiunto l’obiettivo delle 500.000 firme, mentre i quattro promossi da un variegato arco di forze, a partire dalla Flc Cgil, dovranno per l’ammissione passare al vaglio della Corte di Cassazione, si può essere moderatamente soddisfatti anche per l’impegno spasmodicamente profuso.
In quanto, come giustamente ha rilevato Giacinto Botti nell’editoriale del numero 9 di «Sinistra Sindacale», a fronte di «una sinistra che ha perso identità e anima», serve a poco affidarsi alle sirene del movimentismo, poiché solo chi dispone di una sicura base organizzata può prefiggersi determinati obiettivi e raggiungerli.
Diversamente, se si considera il rapporto tra firme raccolte e iscritti che hanno partecipato alle 41mila assemblee che hanno caratterizzato la fase di consultazione, per non parlare degli iscritti di tutta la nostra Confederazione, si comprende come non tutte le potenzialità sono state aggredite con la strumentazione più adeguata a disposizione. Soprattutto in ragione dello scarto rilevante tra le firme autenticate e quelle certificate, per via di quel nuovismo imperante che affida superficialmente al mezzo informatico quanto tradizionalmente nei referendum è sempre stato il risultato di una certosina raccolta di firme su moduli rigorosamente comunali da parte di un esteso corpo militante.
Fra l’altro, paradossalmente, la raccolta di firme si è contraddistinta per l’elevato numero di banchetti tenuti nei mercati comunali, nelle piazze, davanti agli ospedali, nonché per le migliaia di firme sottoscritte agli ingressi delle nostre sedi laddove sono collocati i nostri patronati.
Mentre ha scontato le debolezze suddette, sulle quali è opportuno riflettere, stante che l’appuntamento per la consegna delle firme sulla “Carta dei Diritti Universali” del lavoro è previsto per i primi di ottobre, mentre la raccolta comunque continua. Da un lato, nei luoghi di lavoro ci siamo arrivati con incomprensibile ritardo, cosicché, considerata anche l’inesperienza di molti nuovi delegati, privi di una qualche formazione politica, il risultato quantitativo non è stato adeguato all’altezza delle aspettative. D’altro canto, nei tanti banchetti realizzati, è risultato assai difficile avvicinare e coinvolgere proprio quei giovani a cui tendenzialmente le nostre proposte hanno l’audacia e l’ambizione di rivolgersi. Infatti, mentre per le generazioni che hanno lottato per conquistare lo “Statuto dei lavoratori” e per quelle successive che ne hanno goduto, l’adesione all’iniziativa – in controtendenza all’ideologia liberista – promossa dalla Cgil è stata consequenziale alla loro visione critica dell’esistente, questa coincidenza di giudizio non è per nulla scontata per le nuove generazioni.
Le risposte ai banchetti sia sui voucher – «sono meglio del lavoro nero» – sia sulla reintegra nei luoghi di lavoro – «se faccio il mio dovere il datore di lavoro non mi caccia» – nonché l’incoscienza diffusa sulla necessità di una riscrittura della sfera dei diritti, sono il prodotto di una condizione lavorativa precaria (il 57% degli under 25 secondo l’Employement Outlook dell’Ocse), di un individualismo crescente e di una propaganda mediatica che ha fatto tabula rasa di alcune certezze consolidate.
Vi è quindi una contraddizione palese nel nostro blocco sociale di riferimento che prima o poi dovrà essere affrontata, poiché , come ha giustamente evidenziato il giovane filosofo Diego Fusaro – in «Europa e capitalismo» – «i giovani di oggi sono la prima generazione disintegrata nella struttura – proprio perché costretti al precariato ed alle forme contrattuali più meschine – ed integrata nella sovrastruttura».
LE VIGNETTE, SCELTE DALLA REDAZIONE sono di MAURO BIANI