Quel ’68 che in Italia durò quasi 15 anni

di Umberto Franchi

EPISODI TRATTI DAL MIO LIBRO AUTOBIOGRAFICO “LA VITA E IL SOGNO”: COME LA LOTTA PUO’ CAMBIARE LA REALTA’ DELLA FABBRICA .
  STORIE VERE e  AUTOBIOGRAFICHE
   Nel  1968 avevo 18 anni. Il 68,  fu un anno di rivolta sociale in tutto il Mondo ed anche a Segromigno (Lucca) dove lavoravo in un calzaturificio. Un giorno vidi davanti la mia fabbrica degli studenti e dei sindacalisti provenienti da Lucca che distribuivano un volantino a firma “Stella Rossa” , dove si evidenziava i mali del capitalismo sfruttatore ed il bene del comunismo. Nel volantino si invitavano  lavoratori ad andare ad un riunione presso la Casa del popolo di Camigliano per discutere dei problemi degli operaia locali.
La sera andai alla Casa del Popolo, ma prima di iniziare a discutere dei problemi degli operai, fu costituito un comitato di lotta formato da operai e studenti nel quale entrai pure io.
L’iniziativa alla quale partecipava anche la CGIL era stata indetta da un gruppo che si definiva  extraparlamentare e rivoluzionario: “Stella Rossa” . Iniziò quindi la  discussione politica con una introduzione di una studentessa universitaria a Pisa, la quale evidenziava  la necessità di intraprendere la rivoluzione proletaria tradita dai  “revisionisti” del Partito Comunista, dicendo che l’unico rivoluzionario del PCI era stato Bordiga mentre tutti gli altri compreso Togliatti,  Gramsci, Longo, Paietta, ecc… avrebbero dovuto  essere fucilati perché traditori.
 Subito dopo parlò un sindacalista della CGIL di nome Riccardo riportando la discussione sui problemi del lavoro locale , dicendo che c’èra bisogno di aggregare gli operai su una piattaforma rivendicativa al fine di fare applicare alle imprese il contratto nazionale.
La battaglia non sarebbe stata semplice perché quelli più professionalizzati avevano paghe superiori, mentre la stragrande maggioranza aveva paghe molto basse sotto i minimi contrattuali, ma erano ricattati dall’azienda che li andava a prendere con pulmini propri nei lontani paesi della Garfagnana. Quindi per loro era quasi impossibile pensare di organizzarli sindacalmente e farli scioperare.
 La discussione andò avanti per molto tempo, trovandoci per due giorni alla settimana alla casa del popolo ed a distribuire volantini davanti le aziende.
Dopo alcuni mesi , le persone che venivano all’assemblee della casa del Popolo erano tantissime, in gran pare operai del luogo ma anche studenti esterni.
 Al culmine della discussione sulla realtà e su come affrontarla, la CGIL fece venire un sindacalista dal Nazionale. Quella sera  fu proposta una piattaforma rivendicativa che abbandonava l’applicazione integrale del CCNL ma chiedeva più realisticamente un incremento dei salari di lire 70 orari per gli uomini e lire 50 per le donne.
Io ero molto “incazzato” per questa scelta, sostenevo che il contratto era solo un diritto dei lavoratori e non dovevamo transigere. Però fui messo in minoranza da atri operai ai quali appariva un obbiettivo troppo avanzato. Decisi comunque di impegnarmi nella lotta.
   Furono proclamati molti scioperi ed io diffondevo i volantini, parlavo con gli altri operai della mia fabbrica per farli scioperare, facevo i picchetti con gli altri. Gli scioperi riuscivano solo in alcune aziende più significative compresa la mia.
Dopo cinque scioperi, le aziende calzaturiere furono fatte convocare dal Sindacato tramite l’Ufficio del lavoro d Lucca. Tra tutte le imprese più significative, si presentarono solo quattro aziende tra cui quella dove lavoravo io dicendo, che loro non avrebbero mai sottoscritto un accordo con il sindacato, ma cha a partire dal mese successivo avrebbero dato un aumento di 50 lire orarie  ai propri dipendenti uomini e lire 30 orarie alle donne.
Il Riccardo della CGIL assieme ad una sindacalista di nome Matalda della CISL  fecero un’assemblea di tutti i lavoratori alla casa del Popolo di Camigliano. Secondo il pensiero del sindacato quelle proposte erano un passo avanti ed avrebbero rotto il fronte padronale costringendo anche altre imprese a dare gli stessi soldi. Ci fu un gran dibattito ed anche questa volta rimasi in minoranza. La maggioranza degli operai presenti in assemblea, accettarono la proposta del Fratino di interrompere gli scioperi  accettando quella cifra data da solo quattro a aziende senza sottoscrivere nessuna accordo sindacale.
 A mio parere fu fatto  un altro errore… interrompere gli scioperi significava fare un grande favore alle aziende. Nei giorni successivi , la scelta di accettare la proposta del piccolo aumento senza accordo e soltanto in 4 aziende fu molto criticata da altri lavoratori che non prendevano niente ma che avevano scioperato.
 Ripresi il mio lavoro ed il mese successivo tutti gli operai della mia fabbrica presero  40 lire di aumento se uomini e  25 se donne. Quindi meno di quello che era stato promesso, ma me non fu data nemmeno una lira ed anzi fui invitato dal padrone Chelini Olando a licenziarmi altrimenti mi avrebbe licenziato lui.
Speravo che gli operai da me guidati nella lotta rispondessero con uno sciopero alle minacce di un mio licenziamento fatte dal padrone, ma tutti gli operai ebbero paura e si guardarono bene dal farlo! Così va la vita…
   Mi trovai un altro lavoro in un calzaturificio di Altopascio. Feci una vertenza individuale all’azienda dove mi ero licenziato, per ricuperare le paghe arretrate in quanto percepivo 300 lire orarie, ma in busta paga ne segnavano 200 per 20 ore settimanali, pur lavorandone 48. Concordai una cifra pari a 500.000 lire e detti un contributo alla CGIL di 40.000 lire. Mi restarono 460.000 lire che comunque corrispondevano all’incirca a 10.000 euro odierne. Quindi mi comprai una fiat 850 usata.
   Ripresi la mia attività politica, con riunioni sia nella sezione del PCI di Porcari che nel “comitato di Lotta” studenti/operai.
Il 1969, fu un anno di grande battaglie per rinnovare i contratti e per la riforma delle pensioni. Cominciarono a diffondersi gruppi di giovani studenti ed operai, piccoli partiti o movimenti extra parlamentari, ne sorsero un’infinità. A Lucca alla fine del 1969 c’èrano: Stella Rossa, Vivere il Comunismo, Avanguardia Comunista, Servire il Popolo, la Lega dei Comunisti, Avanguardia operaia, Lotta Continua, il Partito Comunista Marxista-Leninista.  Quasi sempre nelle riunioni che facevamo, i compagni comunisti e quelli del Psiup venivano attaccati e tacciati di revisionismo.
Una sera ci fu uno spettacolo della compagnia teatrale “La Comune” con Dario Fo e Franca Rame al teatro del Giglio a Lucca, sulla condizione operaia al lavoro in una filatura. Il riferimento era alla grande azienda Cucirini Cantoni Coates  di Lucca dove il sindacato stava portando avanti una dura battaglia per il riconoscimento del Consiglio di Fabbrica e per aumenti salariali.
Dopo la bella recita si aprì un dibattito ed io intervenni, per confermare come reali le cose dette nella recita, citando l’esperienza di mia madre e dicendo che andava sostenuta con forza la lotta dei lavoratori per ottenere il diritto ad avere un Consiglio di fabbrica che li rappresentasse contro i soprusi del padrone. Ma subito dopo di me intervenne uno studente universitario di un gruppo extra parlamentare di nome Avanguardia operaia dicendo: “non ascoltate il Franchi è uno sporco Comunista revisionista iscritto al PCI, quindi tradisce il popolo, non è un rivoluzionario”… Sapete chi era quel rivoluzionario che stava parlando? Era  quello studente che era già stato iscritto al MSI e che alcuni anni prima in una scuola superiore di Lucca, aveva raccolto tutti i giornali “Nuova Generazione” e gettati sulla mia testa. Così va la vita…
Nel mese di aprile del 1970, durante una riunione del Comitato di Lotta, si avvicinò a me il Riccardo della CGIL chiedendomi  se l’indomani andavo nel suo ufficio che mi voleva parlare a quattro occhi.
Il giorno dopo, allora convenuta mi recai nel suo ufficio e mi disse: Franchi tu sei iscritto al partito Comunista, hai già dato una mano alla CGIL nella lotta , anche se ti è costato il posto di lavoro.  Ma a Segromigno c’è ancora bisogno di te e la CGIL ha bisogno di te. Ti propongo di entrare nel direttivo della Filtea CGIL e successivamente di farti eleggere in segreteria come Funzionario della CGIL a tempo pieno. Ne ho già parlato con il segretario della CGIL Bianchi ed è d’accordo. Dipende solo da te, sappi però che in CGIL non ci sono orari di lavoro e si guadagna poco. Chi fa il sindacalista lo fa perché  odia le ingiustizie sociali e vuole combatte per una causa giusta. Quindi non è un mestiere, ma una missione. Lo stipendio mensile e di 96 mila lire, circa 10.000 lire in meno di quello che prendi in fabbrica dove lavori. Tu hai l’odio di classe , sei intelligente ed anche in fabbrica fai il tuo lavoro con coscienza, figurati quando sarai in CGIL. A mio parere sei adatto a fare il Sindacalista. Pensaci ma dammi una risposta prima della fine del mese.
Gli risposi che ci avrei pensato e gli avrei dato quanto prima una risposta… ma dentro di me ero molto lusingato della proposta e già non vedevo l’ora di iniziare a fare il sindacalista.
  A partire dal mese di maggio del 1970 all’età di 20 anni, sono entrato in Segreteria dei tessili e calzaturieri, dipendente della CGIL e responsabile di tutto il Settore Calzaturiero e di altre aziende tessili della Piana di Lucca .
  La prima assemblea sindacale la feci in un maglificio di nome May Styles. Nella fabbrica ci lavoravano circa 80 persone quasi tutte giovani ragazze. L’azienda  non era organizzata sindacalmente.  Ci andai assieme ad una sindacalista  Segretaria della Filta  CISL . Spiegai cos’èra il Sindacato, quali erano gli obbiettivi rivendicativi del Contratto Nazionale, la necessità di sviluppare anche la contrattazione aziendale per migliore le proprie condizioni di lavoro, economiche e normative. Richiamai quindi i lavoratori presenti  anche alla necessità di darsi  un’organizzazione sindacale aziendale attraverso la nomina del Consiglio di Fabbrica.
 Al termine chiesi di iscriversi al sindacato e su circa 50 lavoratori presenti 20 operaie si iscrissero alla CGIL e 4 alla CISL. Il giorno dopo mandammo le deleghe di iscrizione firmate dai lavoratori alla Direzione dell’azienda. Il  padrone del maglificio licenziò tutte le 24 lavoratrici che avevano deciso di iscriversi al sindacato.
Sembra una storia incredibile, ma a quei tempi spesso andava così. Come CGIL, CISL e UIL della provincia di Lucca, promuovemmo subito una lotta, chiedendo agli altri lavoratori di scioperare per fare riassumere le lavoratrici , ingiustamente licenziate, ma furono in pochi a scioperare; chi era rimasto aveva paura a scioperare , perché sapeva che poteva  essere licenziato come era avvenuto alle altre compagne di lavoro. Decidemmo allora di fare un picchettaggio davanti al cancello dell’azienda,  per impedire a quelli che chiamavamo “crumiri” di andare al lavoro. Ci riuscimmo per diversi giorni, ma dopo circa una settimana , si presentarono a circa 200 metri dal cancello un gruppo di operai “crumiri” capeggiati dal padrone che volevano entrare in azienda ad ogni costo.
Il padrone assistito da un reparto di carabinieri, si mise a capo di un corteo di persone che volevano ad ogni costo sfondare il picchetto per entrare in fabbrica per lavorare facendo fallire lo sciopero.
Cercammo  di non farli entrare in fabbrica. Io mi sdraiai per terra  di traverso sulla strada. Una camionetta di carabinieri mi venne incontro a forte velocità facendomi capire che mi avrebbero investito, ma io rimasi immobile e la camionetta frenò per fermarsi a circa 20 centimetri dal mio torace. Allora mi spostarono di peso in una camionetta e dopo fecero polizia con i manganelli di tutti quelli che picchettavano.  Restò solo Enzo , un compagno insegnate molto preparato e militante del PSIUP che sferrò un calcione nel sedere del padrone mentre sfilava   in testa al corteo ed entrava in fabbrica. Naturalmente fummo tutti identificati e denunciati.
     Proprio in quel mese , il nuovo governo di Centro Sinistra (PSI DC  PRI PSDI) che aveva Ministro del Lavoro il Socialista Brodoloni, incalzato dalle forti lotte sui diritti presenti nelle fabbriche in tutto il Paese, fece una legge chiamata Statuto dei Diritti dei lavoratori. Legge n. 300 del 20 maggio 1970.
Tramite l’avvocato della CGIL Mario Frezza, fui il promotore di un ricorso al giudice del lavoro per attività antisindacale in base all’art 28 della legge appena approvata, ed il Giudice udite le arti, nell’arco di tre giorni condannò l’azienda a riassumere tutte e 24 lavoratrici licenziate.
Fu la prima causa vinta in Italia con l’utilizzo del nuovo Statuto dei Lavoratori: il titolare dell’azienda fu condannato per attività antisindacale a riassumere tutte le 24 lavoratrici licenziate ed a pagargli tutte le giornate che avevano perso.
 Una bella vittoria, andammo a festeggiarla in un ristorante e dopo  accompagnai una operaia, signora sposata di circa 40 anni, alla propria abitazione  ma prima ci fermammo in una stradina di campagna … poteva succedere di fare conciliare l’utile con il dilettevole.
       Nel mese di ottobre del 1970, andai a fare un corso lungo tre mesi per i giovani sindacalisti nella scuola Nazionale della CGIL di Genzano Roma. Fu una esperienza indimenticabile, molto bella. Quello che ancora oggi mi è rimasto di quel corso, è l’analisi “scientifica” del meccanismo adottato dal sistema capitalistico per cercare di carpire il consenso al sistema, da parte dei cittadini inconsapevoli di essere una rotella del medesimo sistema.
Al ritorno, ripresi con forza la lotta nella Zona di Segromigno per fare applicare il Contratto di lavoro alle aziende calzaturiere della Zona, che mi vedrà per oltre un anno, condurre iniziative , riunioni, scioperi, picchettaggi “duri” coinvolgendo i lavoratori e gli studenti.
   Ogni mattina prima delle 8, dalle 12 alle 14 e spesso anche all’uscita la sera andavo davanti le fabbriche a distribuire volantini ed utilizzando  l’altoparlante per invitare i lavoratori ad effettuare gli scioperi promossi dal sindacato. Inoltre iniziai ad effettuare assemblee nelle fabbriche in base al nuovo Statuto dei Lavoratori.
 Le aziende o si rifiutavano di fare svolgere le assemblee o intimidivano i lavoratori per non farli venire in assemblea dicendo loro che se andavano all’assemblea non li avrebbero più portati al lavoro con i propri pulmini. Tra il 1970 ed il 74 , furono ben  12 i ricorsi al Giudice del lavoro, che ho  effettuato denunciando i proprietari dei calzaturifici di Segromigno  per attività antisindacale e contro i diritti dei lavoratori, in quanto i  titolari delle aziende impedivano di farmi svolgere le assemblee che fissavo in qualità di Dirigente della CGIL di Lucca.
 Spesso entravo comunque  nel luogo di lavoro e chiamavo fuori gli operai, arrivando a fare scontri fisici con i Padroni ed i  “Capetti”. Venivano chiamati così quelli che svolgevano un ruolo di direzione e di comando su gli operai .
 Un giorno mi trovavo davanti una fabbrica e con l’altoparlante sulla mia auto ed invitavo gli operai a scioperare il giorno dopo. Vennero fuori due “Capetti” ed iniziarono a spingere e  dondolare la mia auto dicendo che  se non andavo via mi avrebbero rovesciato la macchina con me dentro. Io scesi dall’auto ed appena fuori detti un grosso pugno ad uno di loro stendendolo per terra, ripresi l’auto ed andai via.
  Un altro giorno ero assieme a degli studenti davanti una fabbrica dove gli operai non avevano scioperato. Venne fuori il titolare, un omaccione molto grosso ed urlando ci diceva di andare via di non rompere i coglioni  ai suoi operai… allora un compagno del PSIUP che era vicino a me molto alto e grosso di nome Gildo Tognetti, si mise davanti a lui dicendo: dillo a me di andare via, ma non fece in tempo ad aprire bocca che con un pugno lo aveva già steso a terra.
 Un’altra volta, io assieme al Segretario della CGIL Alfredo Bianchi, dovevamo effettuare un’assemblea in un’azienda chiamata calzaturiera chiamata “Fepa”, ma il titolare sbarrò il cancello, noi lo scavalcammo ed entrammo in fabbrica invitando tutti i lavoratori ad uscire per l’assemblea… ci fu una gran rissa tra noi due ed i “capetti” della fabbrica.
   A mio parere a Segromigno c’erano le condizioni storiche per modificare una realtà arretrata a partire dalla richiesta dell’applicazione del CCNL.
Come avevo previsto , la battaglia fatta due anni prima  nel 68/69, non era servita a niente, tutto era rientrato nella logica padronale del supersfruttamento dei lavoratori.
 Un giorno del mese di gennaio del 1971, feci una riunione del comitato d lotta operai e studenti, decidendo di riprendere con forza la battaglia per l’applicazione del Contratto di Lavoro Nazionale.  Organizzai come CGIL uno sciopero di otto ore a Segromigno per la fine del mese di gennaio 71 distribuendo volantini  per richiedere di scioperare per  l’applicazione del Contratto Nazionale di lavoro.
Feci una riunione con il “Comitato di Lotta Studentesco” e mi misi anche d’accordo con gli studenti per farli a protestare nella zona di Segromigno.
 Il Comitato di Lotta Studentesco decise una sciopero lo stesso giorno di quello fissato da  me (come Cgil)  a Segromigno in solidarietà con la classe operaia
  Erano le 7,00 del mattino del giorno dello sciopero, ed io assieme ad altri Compagni della CGIL mi recai  davanti le fabbriche più significative con l’altoparlante, invitando a scioperare e dicendo che a sostegno della loro lotta sarebbero intervenuti anche gli studenti di Lucca.
 Contemporaneamente , gli studenti di diverse scuole lucchesi scioperarono come non si era mai visto in precedenza ed iniziò  una lunga  marcia degli studenti che provenivano da Lucca a piedi ed andavano a Segromigno, coprendo circa 15 km di strada
. Erano circa 2.000 studenti, preceduti da molte automobili che con altoparlanti mettevano la musica “Contessa” ed invitavano gli operai ad uscire dalle fabbriche per scioperare. Non c’era solo la CGIL ad invitare a scioperare ma anche il movimento Studentesco, i partiti ufficiali di sinistra e molti “gruppi” extra-parlamentari.
 Questo era il tipo di invito che facevano i vari gruppi straparlamentari: “Stella Rossa” Fronte Rivoluzionario Proletario per il Comunismo, vi invita ad uscire dalle fabbriche ed ad unirvi agli studenti che manifestano, per fare applicare il contratto nazionale  di lavoro.
 I padroni di Segromigno appresero della marcia ed appena vedevano gli studenti davanti una delle loro fabbriche, ebbero paura, ed aprivano i cancelli facendo scioperare i lavoratori che in grandissima parte si univano al corteo guidandoci nelle altre fabbriche. Tutte le aziende (circa un centinaio) fecero scioperare i propri dipendenti  ad eccezione di una, la più grande di nome “Claudia”.
  Il titolare di quell’azienda, che chiamavano Dantone,  prese il fucile e si piazzò sul tetto dello stabile  puntando il suo fucile sulla folla.
Erano presenti i Carabinieri e la Digos che disarmarono il proprietario ma anziché arrestare il titolare del fucile, invitavano gli scioperanti e gli studenti ad andare via dicendo che c’èra anche il diritto di non scioperare.
  Io dall’interno della mia auto con l’altoparlante continuavo ad invitare i lavoratori ad uscire. Ad un certo punto, una decina di studenti ed operai provenienti da altre aziende, presero un grosso tronco d’albero e  cominciarono a sbatterlo contro un portone di ferro cercando di sfondarlo. Fu solo allora che l’azienda intimorita da quello che poteva succedere decise di fare uscire i quasi 200 lavoratori occupati.
  Quella giornata di lotta terminò nel tardo pomeriggio, fu memorabile e decisiva per le sorti della vertenza sindacale.
    Infatti il giorno dopo i titolari delle otto aziende più grandi di Segromigno accettarono di incontrarsi con me ed altri sindacalisti Presso l’ufficio Provinciale del Lavoro di Lucca . Fu una resa senza condizioni. Facemmo sottoscrivere un accordo dove le otto aziende più grandi  a nome anche degli altri titolari, si impegnavano ad applicare integralmente il Contratto di Lavoro a partire dal mese successivo. Così ogni lavoratore avrebbe avuto la normativa del contrattto integralmente : (orari, ferie, malattia, gratifica, inquadramento ecc…) nonché l’applicazione della  parte economica con un incremento medio orario di circa 120 lire.  Anche i contributi assicurativi versai all’Inps utili per la pensione , non sarebbero  più stati versati  per sole  20 ore settimanali ma su tutte le ore di lavoro effettivamente  svolte. Fù una vittoria veramente storica.
 La lotta non finì lì , andò avanti e per estendere il CCNL a tutte le altre aziende, ci volsero ancora due anni.
 Si aprì una fase nuova ed iniziai a costruire i Consigli di fabbrica molte aziende nonché  ad organizzare sindacalmente gli operai con l’iscrizione alla CGIL.
Avevo 22 anni, quando nel maggio  del 1972, ogni giorno ero davanti il cancello di una fabbrica con circa 300 addetti che fabbricava scarpe che si chiamava “APICE”, in località  Massarosa . in quella azienda si scioperava per ottenere incrementi aziendali tra cui la 14° mensilità e l’istituzione di esami e visite mediche periodiche ai lavoratori che usavano il mastice.
Il padrone si chiamava Rontani .. era un “osso duro” … quindi fu fatta una  lotta, con forme di protesta dure, con scioperi a “singhiozzo” mezz’ora di lavoro e mezz’ora di  non lavoro  e “creative”  come quella di montare solo la scarpa sinistra…e l’autoriduzione dei carichi e dei ritmi di lavoro.
Dopo tre mesi di lotta  fu fatto un buon accordo votato da 90% dei lavoratori con scrutinio segreto.
Nel 1976, il titolare  della dell’Apice  Rontani, aveva deciso di aprire una nuova azienda produttrice stivali in gomma , ma memore della realtà conflittuale esistente nell’azienda Apice di Massarosa, decise di costruire l’azienda nuova in una località diversa (tra le colline lucchesi) di nome Monsagrati… e per   di applicare i contratto della plastica perché  non voleva più vedere i sindacalisti che seguivano il settore calzaturiero , quindi il sottoscritto,   rompergli i coglioni. Purtroppo per lui, gli era andata male in quanto io ero passato proprio dal settore calzaturiero a quello della plastica che faceva parte del settore chimico.
   Un giorno di ottobre del 1977, andai all’ingresso della nuova  fabbrica di calzature in plastica del Rontani, che aveva chiamato “RONTANI”. La fabbrica   aveva  circa centotrenta addetti.
Ero andato li  per distribuire un volantino dove annunciavo che la settimana successiva avrei fatto un’assemblea .
Ero all’uscita delle 12 per l’ora di pranzo, vedo uscire  dei lavoratori con le auto e con le moto, mentre altri con la cappa nera mi vengono incontro a piedi.
Io sorridendo entro nel cancello aperto e gli vado incontro  porgendo ad uno di essi il volantino, dove comunicavo l’intenzione della CGIL di fare un’assemblea per verificare la situazione e organizzare sindacalmente i lavoratori .
Un con la “cappa” nera,  mentre prende il volantino mi da un calcione in uno stinco e tutti assieme mi spingono fuori dal cancello dicendo: noi qui non ti vogliamo… stai fuori dal cancello  merda di un sindacalista…siete voi che fate chiudere le fabbriche… avete già fatto troppi danni all’Apice… non venire qui mai più,  a rompere le palle perché ti ammazziamo !
 Non mi spaventai, ma rimasi allibito… malissimo… pensavo che fossero operai,  nel dargli il volantino cercavo di parlare con loro per fargli conoscere i loro diritti, ma in cambio ne avevo ricevuto un calcio  ed insulti.
   In realtà non erano operai ma capi reparto, anzi “capetti”. Ve ne erano ben 12 (11 uomini ed 1 donna) ed avevano il compito di fare da cane da guardia al padrone. Cioè dovevano solo stare attenti che gli operai non parlassero tra loro di organizzazione sindacale, di diritti, ed accettare ogni possibile vessazione che gli veniva imposta.
  Io non mi persi d’animo e risposi che sarei ritornato per fare un’assemblea sindacale e per cercare di organizzare i lavoratori. Loro mi dissero se torni ti facciamo fuori !
  Il giorno dopo, feci venire con me un Compagno alto e grosso,  Delegato alla Cucirini Coates (fabbrica tessile che all’epoca aveva oltre 3.000 dipendenti) , che aveva la fama di essere un duro… “un cattivo”… Ritornai quindi con lui davanti il cancello per distribuire  un altro volantino dove annunciavo la prossima assemblea sindacale che avrei svolto all’interno dell’azienda (come previsto dalla legge) il lunedì della settimana successiva . Nel volantino aggiungevo che nell’assemblea  avremmo esaminato la situazione aziendale e chiesto ai lavoratori di organizzarsi alla CGIL
 Alle12,  solita ora, i lavoratori iniziano ad uscire e tra essi i soliti “capetti” con la cappa nera. Il primo a venirmi incontro fu proprio quello che mi aveva dato il calcione il giorno prima. Appena lo vedo gli dico:  vieni fuori dal cancello se vuoi il volantino. Lui esce dal cancello, mi viene incontro ed io gli sferro un grosso pugno nel naso facendolo cadere per terra.
  A quel punto, tutti gli altri “capetti”, mi afferrano  le braccia e mi riempiono di cazzotti in tutte le parti del corpo. Io mi aspettavo una reazione del mio compagno  in mia difesa, ma lui se ne stette da una parte fermo immobile…impaurito …  senza nemmeno fiatare .  Dopo la sfuriata e le botte prese, con due costole fratturate, montai sull’auto con il compagno.
 Decisi di non rimproverarlo perché aveva avuto paura, e senza mai parlare ritornammo nella Sede della Camera del Lavoro di Lucca.
   Raccontai tutto al Segretario Responsabile dell’epoca Sergio Gigli, il quale mi disse di denunciare il fatto alla Questura. Cosa che mi guardai bene dal fare…
   Il lunedì successivo mi presentai in fabbrica per fare l’assemblea. Nella mensa si erano riuniti tutti gli operai ed i capetti. Ad ogni  parola che dicevo, c’èra un boato di molti, insulti, alcuni che gridavano “viva il duce”  ogni mia parola , la contestazione di un capetto… il più cattivo sembrava proprio quello a cui avevo dato un pugno, che a sua volta in precedenza mi aveva dato un calcio.
 Pur tra molte urla e contestazioni, avevo spiegato, con calma, i loro diritti sindacali ed invitato i lavoratori a candidarsi per essere eletti nel Consiglio di fabbrica, avevo anche  consegnato ai lavoratori le deleghe per l’iscrizione volontaria al Sindacato,  dicendo di pensarci e che avrei fatto un’altra assemblea dopo 10 giorni. Le deleghe furono raccolte da un “capetto”  e buttate sulla mia auto mentre andavo via.
 Ma nell’assemblea c’èra anche chi era stato zitto… chi mi ascoltava con attenzione… chi non ne poteva più della angherie subite.
Il giorno dopo venne nel mio ufficio un giovane operaio della Rontani di nome Paolo Santini, il quale mi dice: mi volevo complimentare per il tuo coraggio ed inizia a raccontarmi tutta la realtà della fabbrica. Mi racconta dei  capetti che erano tutti di destra ed asserviti al padrone. L’Azienda ne aveva nominati uno ogni 10 operai proprio con il compito di aumentare in continuazione i ritmi di lavoro della catena di montaggio, far  lavorare il più possibile gli operai e non farli mai parlare mai di Sindacato. Mi disse anche che lui ed altri due operai erano disponibili a fare qualche cosa per portare la CGIL in azienda… ma sarebbe stata molto dura.
 Io continuai a fare un’assemblea per tutti i mesi successivi e dopo 7 mesi riuscii a fare eleggere un consiglio di Fabbrica composto da 5 persone due affidabili e disposti a fare anche una battaglia per avere un contratto integrativo aziendale (tra cui il Compagno Santini Paolo), due molto deboli e piuttosto sensibili alla tesi padronale che se facevamo rivendicazioni aziendali la fabbrica avrebbe chiuso, ed uno , anzi una, era una “Capa Reparto con la cappa nera” che stava nettamente dall’altra parte, ma era stata eletta da quelli come lei.
  La battaglia alla Rontani fu durissima. Il padrone prese di mira Paolo, trovando ogni pretesto per fargli lettere di contestazioni e provvedimenti disciplinari fino al licenziamento del medesimo per il venir meno del rapporto fiduciario tra le parti.
  Il licenziamento fu immediatamente impugnato da me unitamente al Santini Paolo. Feci venire appositamente un Bravissimo Avvocato dalla Camera del Lavoro di Bologna di nome Pedrazzoli, docente universitario all’Università Sapienza di Pisa. L’Azienda Rontani fece altrettanto, facendosi difendere dall’Avvocato Pera anche esso Docente Universitario alla Sapienza di Pisa. Dopo circa 3 mesi dal licenziamento vincemmo la Causa con l’obbligo di riassunzione del Santini Paolo ed il pagamento di tutte le giornate perse.
 Il giorno dopo feci l’assemblea per informare i lavoratori.
    La vicenda  del Paolo Santini, non finì lì. Nella fabbrica lavorava anche la moglie del Santini  e l’azienda…con  i “capetti”  iniziarono ad isolare e trattare male anche lei, per il solo fatto che era la moglie di un delegato sindacale come il Paolo Santini.. Questa situazione era divenuta insopportabile per lei e decise di licenziarsi .
Dopo circa un anno, nel 1978, riuscii anche ad iscrivere alla CGIL 22 operai, non erano molti ma erano già un gruppo consistente: decidemmo anche di elaborare una Piattaforma aziendale rivendicando un premio ferie, alcune qualifiche e le visite mediche periodiche. Chiedemmo un incontro presso l’Associazione Industriali di Lucca, dove nel frattempo il Titolare, Sig. Rontani, ne era divenuto il Presidente.
 Il primo incontro fu del tutto negativo, ci fu un diniego su tutto, quindi nell’assemblea successiva in fabbrica proposi uno sciopero di 4 ore. Questa volta gli operai si divisero tra i pro ed i contro lo sciopero, ma nella votazione finale prevalsero a maggioranza quelli che volevano scioperare. Fu quindi proclamato un primo sciopero di 4 ore per il giorno successivo. Lo sciopero riuscì al 50%, ma per l’azienda Rontani fu comunque già un gran successo. Dopo ulteriori tre scioperi, l’azienda decise di firmare con noi il Contratto aziendale sul premio ferie, le qualifiche e le Visite mediche. Fu sicuramente una bella vittoria che mi ripagava di tanti torti subiti.
    La vicenda non finiva lì. Ogni giorno il Direttore dello Stabilimento nonché marito della figlia del Titolare, in ogni momento insultava il Delegato aziendale Santini Paolo. Lo aveva isolato in magazzino  “un Reparto Confino” e tutti i giorni andava da lui insultandolo, dicendogli che aveva fatto già andare via sua moglie e ci sarebbe riuscito anche con lui. Ma il Santini aveva le palle ed un giorno rispose  al Direttore dicendogli : “devi smettere di rompermi i coglioni” io non andrò mai via dalla fabbrica.
  Questa frase dette il pretesto all’azienda per licenziare nuovamente il Santini Paolo per insubordinazione grave verso i superiori.  Così dopo circa un mese dalla firma dell’accordo ed un anno dal precedente licenziamento, l’azienda tentò nuovamente di sbarazzarsi del Delegato più combattivo. Questa volta io mi incazzai veramente. Chiesi ai lavoratori di scioperare per protesta. Qualcuno lo fece ma la maggioranza si impaurì nuovamente. Al Direttore della Rontani qualcuno mandò anche un cartuccia di pistola… Comunque ci fu nuovamente una Causa legale con richiesta di riassunzione al lavoro e per la seconda volta il Giudice del lavoro obbligò la Rontani ad Assumere il lavoratore pagando le giornate perse.
   Dopo l’ultima riassunzione  l’azienda Rontani ha cambiò atteggiamento divenendo più costruttiva,  l’organizzazione sindacale, con il passare degli anni, si è rafforzata,  alcuni  dei capetti che avevano orientamenti di destra sono diventati di sinistra. Quello che mi aveva dato il calcio e preso il pugno venne emarginato dall’azienda e gli fu tolto un superminimo mensile che aveva acquisito in precedenza. Per questo motivo venne da me ed io riuscii a farglielo ridare in quanto era un diritto acquisito.
Per questo dopo è voluto diventare mio amico… si è iscritto alla CGIL, è entrato nel Direttivo della CGIL assieme ad un altro ex Capetto…cambiati nel profondo…   Visto, con la lotta, come può cambiare la realtà?
Redazione
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