L’effetto serra

Associazione Marco Mascagna (ripreso dal loro sito)

L’effetto serra ogni anno ci causa danni per decine di miliardi di euro, ma al Governo e a una parte dei cittadini non importa niente

Quanti ricordano l’uragano Florence? Quanti gli uragani Michael, Katryna, Wilma? Quanti la Tempesta Vaia? Crediamo pochi.

L’uragano Florence (venti fino a 220 Km/h) si è abbattuto nel 2018 sugli USA provocando in solo due giorni danni stimati in 22 miliardi di euro e 52 morti. Sempre nel 2018 il Michael (venti a 250 Km/h) in soli 3 giorni ha causato danni per 14 miliardi di euro. Nel 2005 il Wilma (venti fino a 281 Km/h, l’uragano più potente mai conosciuto) ha causato danni per 26 miliardi di euro e, nel medesimo anno, l’uragano Katryna (venti fino a 280 Km/h) danni per circa 145 miliardi di euro e 1896 morti [1].

La Tempesta Vaia si è abbattuta sull’Italia del Nord-Est nel 2018 causando danni per 5 miliardi di euro e 37 morti [1].

La siccità dell’anno scorso, che forse abbiamo già dimenticato, si stima abbia causato in Italia danni per 6 miliardi di euro [2].

Il cambiamento climatico non è qualcosa che forse avverrà: è già iniziato da vari anni e, pur essendo solo all’inizio, già causa ingentissimi danni e non solo agli ecosistemi, alle piante, agli animali, ma all’uomo. Non solo determina morti, feriti, malati, peggioramento della qualità della vita e disagi, ma consistenti danni economici.

Per la nostra società l’economia è tutto. Questo viene affermato in continuazione a parole e con i fatti: bisogna aumentare il PIL (prodotto interno lordo) sempre di più, ridurre gli sprechi di denaro, farlo fruttare di più, aumentare i profitti, tagliare le spese, ecc. L’effetto serra causa all’Italia decine di miliardi di danni ogni anno eppure sembra che ciò non interessi alla gran parte di politici e amministratori e anche alla gran parte dei cittadini.

Equipe di scienziati ed economisti da vari decenni compiono studi per stimare il costo economico di una tonnellata di CO2 emessa (cioè il costo dei danni determinati da un quantitativo di gas serra equivalente a una tonnellata di CO2). Sono studi difficili e le stime prodotte hanno un notevole margine di incertezza. Secondo uno dei più autorevoli studi (pubblicato su Nature nel 2022) il costo dei danni per ogni tonnellata di CO2 prodotta è di 165 euro (con un range di 39-367 euro) [3]; secondo un altro studio il costo è di 372 euro (con un range di 157-716 euro) [4].

Avere una stima del costo per la società di un’ulteriore tonnellata di CO2 aggiunta all’atmosfera è di estrema importanza. Secondo la “logica” dell’economia dominante (quella capitalistica, di mercato) se una tonnellata di CO2 provoca danni per 372 euro non vale la pena che uno Stato spenda più di tale cifra per cercare di non farla emettere, ma vale la pena spendere meno di quella cifra per ogni tonnellata di CO2 evitata. La stima, cioè, è un parametro fondamentale per i governi per calcolare la convenienza economica degli interventi contro l’effetto serra.

La stima ha anche un’altra funzione: permette di sapere quanto dovrebbero pagare i produttori di gas serra se si volesse applicare il principio “chi inquina paga”. E’ giusto infatti che i danni li paghi chi li produce e non chi li subisce o l’intera società. Se si applicasse una tassa pigouviana (da Pigou, l’economista che per primo la ha teorizzata) lo Stato avrebbe le risorse necessarie per “neutralizzare” ogni tipo di inquinamento. Inoltre poiché i prodotti più inquinanti costerebbero molto di più ciò porterebbe molti consumatori a non comprarli e i produttori sarebbero stimolati a trovare modalità produttive e prodotti meno inquinanti. Tutto ciò, secondo gli economisti pigouviani, darebbe un grandissimo contributo alla lotta contro l’inquinamento e il degrado dell’ambiente.

Purtroppo tutti questi ragionamenti così logici, giusti, razionali non sono seguiti e i governi se ne impippano dei risultati dei complessi studi condotti da scienziati ed economisti.

Infatti negli USA la stima che il Governo utilizza per definire la convenienza economica degli interventi contro i gas serra è di 33 euro per tonnellata di CO2, cioè 5 volte meno di quanto corrisponde alla realtà secondo lo studio pubblicato su Nature e 11 volte di meno di quanto stima il secondo studio [4]. Con una stima così bassa gran parte degli interventi contro l’effetto serra sono dichiarati non convenienti (dal punto di vista economico) e quindi messi da parte.

Per quanto riguarda la tassa sui gas serra prodotti (cosiddetta carbon tax) in Italia è stata introdotta con legge 448 del 23 dicembre 1998 (ma nessuno dei numerosi governi succedutisi dal 1998 a oggi ha dato concretezza a tale legge. Va detto che siamo in ottima compagnia, perché sono pochi gli Stati in cui realmente esiste una tassa sulle emissioni di gas serra (Paesi scandinavi, Olanda, Irlanda, Sud Africa e pochi altri) e la tassa quasi sempre non è dell’ordine di grandezza degli studi prima citati.

I detrattori della carbon tax dicono che può essere introdotta solo se viene accettata in tutti i Paesi del mondo, altrimenti succederebbe che le produzioni inquinanti sarebbero trasferite nei Paesi dove non esiste una tale tassa, vanificando la sua efficacia e determinando un depauperamento degli Stati che l’adottano. In realtà ciò può essere evitato tassando con una carbon tax i prodotti importati dai Paesi che non l’adottano. L’UE solo pochi mesi fa ha approvato una legge in tal senso, che però deve ancora avere l’approvazione del Consiglio e che entrerà in vigore tra vari anni.

Nella UE invece della carbon tax esiste il sistema ETS (Emissions Trading Scheme), che fissa un limite alle emissioni di gas serra per i vari settori produttivi e, quindi, per le varie aziende di quel settore; se un’azienda supera tali limiti è costretta a comprare permessi di emissione da aziende che hanno emesso meno gas serra di quello che era loro consentito.

La differenza tra carbon tax e ETS è sostanziale: nel primo caso è lo Stato che incamera i proventi della tassa ed essa può effettivamente essere pari al danno provocato dalle emissioni (cioè le esternalità negative sono del tutto internalizzate, come dicono gli economisti), nel secondo sono le aziende più virtuose che incamerano soldi dalla vendita dei certificati di emissione e l’ammontare della tassa è soggetta solo al mercato.

Entrambi i provvedimenti tendono a far aumentare il prezzo dei prodotti o servizi perché la tassa o i certificati comprati sono un costo in più per le aziende. Per esempio il Fondo Monetario Internazionale ha proposto una carbon tax di 67 euro per ogni tonnellata di CO2 emessa. L’FMI ha calcolato di quanto aumenterebbero i prezzi di metano, elettricità e benzina nei vari Paesi con una tale tassa. Per l’Italia il prezzo del metano aumenterebbe del 50%, quello dell’elettricità del 18% e della benzina del 9% [5].

Ovviamente chi risentirebbe maggiormente di tali aumenti (e ancora di più se si applicasse una carbon tax di 165 o di 372 euro) sarebbe la popolazione più povera. Se si vuole evitare ciò e le giuste proteste che inevitabilmente sorgerebbero contro la carbon tax (vi ricordate i gilet gialli?) si dovrebbe destinare una parte del ricavato della carbon tax per sostenere le fasce di popolazione meno abbiente. Secondo l’FMI per compensare il 40% della popolazione (quella più povera) basterebbe solo un terzo dell’importo incassato con la carbon tax (per l’Italia cioè circa 5 miliardi dei 15 incassati) [5, 6]. Allo Stato resterebbero 10 miliardi che potrebbero essere utilizzati per finanziare la Sanità, i trasporti pubblici, la mobilità sostenibile, asili nido e scuole dell’infanzia ecc. creando anche occupazione in settori socialmente utilissimi e in attività ecosostenibili, con i conseguenti vantaggi per l’economia. E’ quello che ha fatto la Svezia, che ha una carbon tax di 113 euro per tonnellata di CO2 emessa (anche sui prodotti importati) e che ha destinato gran parte del denaro così raccolto a favore delle fasce di popolazione meno abbiente [7].

Purtroppo l’attuale maggioranza di governo la pensa tutto al contrario. Lo dimostrano non solo le dichiarazioni dei suoi esponenti (per esempio le ripetute dichiarazioni di Meloni che la transizione ecologica deve realizzarsi solo se non in conflitto con l’economia e con le imprese o l’impegno del ministro Urso di aiutare l’industria automobilistica così che raddoppi la produzione di auto [8]), ma le scelte che compie: per esempio quella di votare al Parlamento Europeo contro la legge per il ripristino della natura, la battaglia per annacquare il più possibile la legge sulla carbon tax della UE (una legge che secondo la Lega “danneggia vergognosamente il nostro tessuto economico e occupazionale”), l’opposizione alla legge europea che riduce i limiti consentiti di inquinanti nell’aria, ecc.

Una tale politica è una politica dello struzzo: mettere la testa sotto terra per non vedere il pericolo che si avvicina sempre più. Ogni giorno di ritardo nel prendere gli opportuni provvedimenti contro l’effetto serra determinerà più morti, feriti, disagi, ma anche gravissime perdite economiche per gli Stati e i cittadini. Più tardi si prendono i provvedimenti e più saranno costosi, in tutti i sensi.

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Note: 1) Wikipedia; 2) Siccità, danni per 6 miliardi alle imprese, Sole 24Ore 22/3/23; 3) Rennert K et al.: Comprehensive evidence implies a higher social cost of CO2, Nature, 210/2022; 4) Ricke K, Drouet L, Caldeira K, Tavoni M: Country-level social cost of carbon, Nature Climate Change, 8/2018; 5) Università Cattolica, Osservatorio Conti Pubblici Italiani: Carbon tax: il prezzo da pagare per salvare il pianeta, 15/11/19; 6) Malocchi A: Chi inquina, paga? Tasse ambientali e sussidi dannosi per l’ambiente. Ipotesi di riforma alla luce dei costi esterni delle attività economiche in Italia, Documento di Valutazione N. 6, 2017; 7) Wikipedia: Carbon tax; Per esempio si vedano le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Meloni all’assemblea della Coldiretti e a quella di Assolombarda e le dichiarazioni del Ministro delle Imprese Urso all’incontro con Stellantis il 9/7/23.

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