Lessico di guerra: l’educidio

di Paola Rivetti (*)

Sebbene non esista una definizione “edu-cide” o “scholasticide” (in italiano, “educidio” o “scolasticidio”) codificata nella legge internazionale, questa parola si riferisce alla distruzione delle strutture materiali e immateriali che costituiscono il sistema educativo e di conoscenza di un luogo o di una nazione.
Il termine scholasticide fu coniato da Karma Nabulsi nel 2009, per indicare la sistematica demolizione dei centri di educazione in Palestina (Ameera Ahmad in Gaza, Ed Vulliamy, In Gaza, the schools are dying too, The Guardian, 10 gennaio 2009.).
L’educidio spesso si sovrappone a un altro termine, epistemicidio, che si riferisce all’annichilimento di una comunità e della sua capacità di trasmettere determinate tradizioni, conoscenza e genealogie epistemiche.
La dimensione genocidaria dell’epistemicidio sta nella sua natura intenzionale e nel suo obiettivo di cancellare la memoria e i saperi di una comunità intera.
Il medesimo obiettivo è presente anche nel caso dell’educidio o scolasticidio, che si riferisce però anche alla distruzione o alla conversione di uso, sistematica e intenzionale, delle infrastrutture materiali, come gli edifici scolastici, le università, i musei (Scholasticide Definition).

Oltre al lavoro di Nabulsi del 2009, esiste un corpus di studi e interventi che hanno perimetrato la definizione di educidio o scolasticidio. I primi interventi in questo senso sono avvenuti in relazione all’invasione, occupazione e, successivamente, alla guerra in Iraq (dal 2003).
In particolare il libro Cultural Cleansing in Iraq: Why Museums Were Looted, Libraries Burned and Academics Murdered, del 2009 ha costituito un primo tentativo di leggere l’epistemicidio come legato alla volontà di distruggere non solo il sistema scolastico ma anche la memoria storica legata a musei, archivi, e istituzioni culturali in atto nel contesto della guerra in Iraq. La “pulizia culturale” denunciata nel libro è considerata come parte integrante dell’impresa bellica di ricostruire, dopo aver distrutto, l’Iraq secondo gli interessi della potenza occupante e belligerante, gli Stati Uniti in primo luogo.

Hans-Christop von Sponeck, ex funzionario delle Nazioni Unite e coordinatore degli aiuti umanitari per l’Iraq, nel suo discorso tenuto nel 2011 alla conferenza presso l’Università di Ghent da cui poi prese vita il volume Beyond Educide: Sanctions, Occupation and The Struggle For Higher Education in Iraq del 2012 (Dirk Adriaensens, Lieven De Cauter, Christopher Parker, Ward Treunen, Sami Zemni, Beyond educide. Sanctions, occupation and the struggle for higher education in Iraq, Academia Press, 2012) mise in luce come la distruzione del sistema educativo iracheno fosse anche legato alle sanzioni imposte nel periodo pre-2003.
Nel suo discorso (Iraq: a case of educide?, New Internationalist, 20 aprile 2011), von Sponeck parlò di come le condizioni di impoverimento educativo, le quali andavano ben oltre la scarsità di libri e materiali scolastici, per includere l’assenza di un accesso adeguato al cibo, all’acqua e a un ambiente sicuro che permettesse agli studenti di imparare, non fossero cambiate con il cambio di regime a seguito dell’attacco militare del 2003.

L’ampliamento della definizione di scolasticidio o educidio – un processo, non un evento per quanto brutale – è nel corso degli anni avvenuto sia grazie al lavoro collettivo di accademiche e accademici, come si evince dalla Carta di Ghent in difesa dell’accademia irachena del 2011, depositata presso l’Unesco (The Ghent Charter in Defense of Iraqi Academia), sia grazie all’attivismo della Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale (PACBI).
Nei documenti e negli studi prodotti in queste istanze, si mettono in luce gli elementi che costituiscono l’educidio (dallo sradicamento della cultura diffusa e di quella accademica, dall’uccisione di docenti e studenti, dalla distruzione di musei e di memoria, all’impossibilità di tramandare conoscenza – si veda anche la guida preparata dall’organizzazione Scholars Against the War on Palestine, e si teorizza la responsabilità della comunità accademica internazionale nell’evitarlo.

Più recentemente, studiose come Samia Al-Botmeh e Maya Wind, associazioni professionali come la British Society for Middle East Studies, la Middle East Studies Association, e tantissimi colleghi e colleghe in moltissime lettere aperte e petizioni, hanno definito quello che sta avvenendo nella Striscia di Gaza come un educidio o scolasticidio (Neve Gordon, Lewis Turner, Academics have a duty to help stop the ‘educide’ in Gaza, University World News, 27 febbraio 2024. Katherine Hearst, War on Gaza: Killing of Gaza’s academics amounts to ‘educide,’ say campaigners, Middle East Eye, 31 gennaio 2024. BDS, 350 Scholars Urge Flemish Interuniversity Council To Suspend Cooperation With Complicit Israeli Universities Over “Educide”, 1 febbraio 2024. Maya Wind, Israel’s Universities Are a Key Part of Its Apartheid Regime, 27 febbraio 2024. The war in Gaza is wiping out Palestine’s education and knowledge systems, The Conversation, 8 febbraio 2024. Ameera Ahmad, Ed Vulliamy, In Gaza, the schools are dying too, The Guardian, 10 gennaio 2009 )

Inoltre, la situazione attuale nella Striscia di Gaza mette bene in luce come vi siano diversi livelli di distruzione che si sovrappongono: ad esempio, parlando della distruzione sistematica degli edifici scolastici, non si può non parlare di urbicidio e, parlando della sistematica eliminazione della possibilità di consegnare memoria e conoscenza alle generazioni future, non si può non parlare dell’uccisione di migliaia studenti, docenti e personale tecnico impiegato nelle università e nelle scuole.
Si tratta di condotte che sono incriminanti e attualmente all’esame della Corte Internazionale di Giustizia, nel caso portato dal Sud Africa contro Israele, e della Corte Penale Internazionale, la quale sta attualmente investigando su tali condotte nella cornice della legislazione sui crimini di guerra.

I dati su cui si basano le accuse di educidio o scolasticidio nei confronti dello stato di Israele sono i seguenti. Prima di presentarli, tuttavia, è bene ricordare che l’attuale situazione è estrema ma non nuova nel contesto dell’occupazione israeliana dei Territori Occupati (illegale, secondo il diritto internazionale) e del sistema di apartheid israeliano nei confronti dei palestinesi.
I raid da parte dell’esercito israeliano, gli arresti arbitrari di studenti e staff accademico, la diversione di utilizzo delle università convertite in basi militari e/o centri di detenzione, non sono novità, ma fanno parte da decenni dei numerosi ostacoli al diritto all’istruzione e allo studio (inclusi i check points e la restrizione di movimento per i palestinesi, impossibilitati così a raggiungere il proprio luogo di studio e/o di lavoro) denunciati da università, agenzie internazionali e organizzazioni dei diritti umani nel corso degli anni (The Right to Education Campaign, birzeit.edu. Friend of Birzeit University, The War on Gaza: Israel’s detention and imprisonment of Palestinian students and academics,  Fobzu Briefing No. 2, febbraio 2024. Adalah’s Report to the UN Special Rapporteur on the Right to Education, Israeli Academic Institutions Sanction Palestinian Students for Social Media Posts since 7 October, violating their Rights to Free Expression and Education, 15 febbraio 2024. Jillian Kestler-D’Amours, Israel denies Palestinians in Gaza right to study in West Bank, The Electronic Intifada, 27 giugno 2012. BRICUP, BRICUP Newsletter 90, agosto 2015. Nick Riemer, The Attack on Palestinian Universities, 30 dicembre 2018).
È altrettanto importante ricordarsi che, sebbene oggi l’attenzione sia concentrata su Gaza, in Cisgiordania le violenze stanno aumentando grazie all’impunità fornita dal governo israeliano e dall’inazione della comunità internazionale (BRISMES, British Society for Middle Eastern Studies Grave Warning: Danger of Massive Ethnic Cleansing of Palestinians in the West Bank, 26 ottobre 2023).

Fino all’ottobre 2023, a Gaza, vi erano oltre 625.000 studenti e circa 23.000 insegnanti e professori (Education under attack in the Gaza Strip, as of 30 January 2024, ReliefWeb, 31 gennaio 2024),  molti dei quali sono oggi uccisi o fanno parte degli oltre 1,5 milioni di palestinesi sfollati a Rafah.
Al 24 gennaio 2024, Israele ha ucciso 4.327 studenti e feritone 8.109 , e ha ucciso oltre 230 insegnanti e amministratori (feriti 756) (How Israel has destroyed Gaza’s schools and universities, Al Jazeera, 24 gennaio 2024. Children Suffer as Education Under Attack in the West Bank and Gaza, ReliefWeb, 31 gennaio 2024).
È bene ricordarsi che, nella storia umana, non si era mai raggiunto un numero così alto di uccisioni in così poco tempo, ed è bene ricordarsi che, secondo il report della London School of Hygiene and Tropical Medicine, del Health in Humanitarian Crises Centre e del John Hopkins Center for Humanitarian Health, nei prossimi sei mesi a Gaza potrebbero morire tra le 60.000 e le 75.000 persone a causa dell’assenza di cibo e acqua, e a causa di malattie ed epidemie (Continued Israeli assault could kill more than 80,000 in Gaza by August: report, The New Arab, 22 febbraio 2024).

Ad oggi, non esiste università funzionante a Gaza, per mancanza di personale, di studenti e/o a causa della distruzione degli edifici. Il 17 gennaio, l’esercito di Israele ha distrutto l’Università Al-Israa, l’ultima rimasta in piedi la cui distruzione è stata documentata dalla BBC (Daniele Palumbo, Abdelrahman Abutaleb, Paul Cusiac, Erwan Rivault, At least half of Gaza’s buildings damaged or destroyed, new analysis shows, 30 gennaio 2024).
L’archivio e museo universitari di Al-Israa sono stati danneggiati e saccheggiati dalle forze armate israeliane. Balakrishnan Rajagopal, relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’abitare, ha fatto esplicito riferimento a questo caso come una forma di educidio.
L’Università Islamica e la Facoltà Universitaria di Scienze Applicate sono state bombardate in ottobre (Israel targets the Islamic University of Gaza claiming it is used by Hamas for training and arms production, NBC News, 11 ottobre 2023). A novembre, le forze israeliane hanno bombardato l’Università di Al Azhar, la seconda università più grande di Gaza, e l’Università di Al Quds.
In dicembre è stata bombardata la facoltà di medicina dell’Università Islamica e sono state gravemente danneggiate l’Università di Al-Aqsa e il Palestine Technical College (The PIE News, Higher education ‘under attack’ in Gaza and Israel, 15 gennaio 2024).

La maggior parte degli edifici scolastici di Gaza sono danneggiati (Israeli forces blow up UNRWA school in northern Gaza, Al Jazeera, 12 dicembre 2023).
I soldati israeliani hanno filmato la distruzione della scuola delle Nazioni Unite a Beit Hanoun, nel dicembre 2023.
Inoltre, le forze israeliane hanno attaccato diverse scuole che fungevano da rifugi temporanei per i civili, uccidendo i palestinesi che vi si trovavano dentro. Ad esempio, nel novembre 2023 le forze israeliane hanno attaccato le scuole Al-Fakhoura e Al-Buraq, gestite dall’UNRWA, uccidendo almeno 40 persone, mentre nel dicembre 2023 hanno ucciso 15 palestinesi nell’attacco alla scuola Shadia Abu Ghazala. L’esercito israeliano ha anche distrutto le principali biblioteche di Gaza, insieme a molte librerie, case editrici e centinaia di altri istituti culturali.

Nel dicembre 2023, il portavoce UNICEF Jonathan Crick aveva dichiarato che ogni forma e mezzo di istruzione nella Striscia di Gaza è stata distrutta (Aseel Mousa in Gaza, mma Graham-Harrison, War’s toll on education in Gaza casts shadow over children’s future, The Guardian, 18 dicembre 2023), e che più di 600.000 studenti e alunni, compresi 90.000 studenti universitari, non hanno ad oggi alcuna scuola o università da frequentare. Tuttavia, il diritto all’istruzione è parte integrante del diritto internazionale e del diritto umanitario, che lo protegge anche in tempi di guerra e di conflitto.
Secondo l’articolo 50 della Convenzione di Ginevra, gli studenti, soprattutto se minori, dovrebbero poter frequentare la scuola e le potenze occupanti dovrebbero “facilitare il corretto funzionamento di tutte le istituzioni dedite all’assistenza e l’educazione” (International Justice Resource Center).

Esiste, per tutte le comunità accademiche del mondo, un obbligo morale a fermare l’educidio in corso a Gaza. Questo scolasticidio si affianca alla progressiva restrizione del diritto alla libertà accademica e di opinione all’interno delle università israeliane.
Il caso della professoressa Nadera Shalhoub-Kevorkian (In Support of Professor Nadera Shalhoub-Kevorkian, Jadaliyya Reports, 1 aprile 2024) è solo il più prominente esempio di come esista una fortissima restrizione della libertà di pensiero in Israele per chiunque non si allinei alla posizione ufficiale degli atenei israeliani, che è stata fino ad oggi uniformemente a sostegno del governo, dell’attacco militare a Gaza e della sua continuazione, anche a seguito del gravissimo pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia. Mentre esistono voci, coraggiose, di colleghe e colleghi che si oppongono al plausibile genocidio in corso, lo stesso non si può dire della posizione delle istituzioni a cui appartengono.
Nel suo lavoro, Maya Wind mette bene in luce come queste non siano posizioni sorprendenti, considerato il ruolo che storicamente le università hanno giocato nel legittimare e nel sostenere la colonizzazione dei territori palestinesi, beneficiandone a discapito del sistema educativo e accademico palestinese (Maya Wind, Israel’s Universities Are a Key Part of Its Apartheid Regime, Jacobin, 27 febbraio 2024).
Esistono diversi modi per opporsi all’educidio in corso. Uno è la non collaborazione con le università israeliane, distinte dalle colleghe e colleghi singoli, visto che hanno scelto di adottare una posizione filo-governativa e di essere complici con lo scolasticidio attualmente in corso, e visto il trattamento riservato a chi dissente da queste scelte.

(*) Tratto da: P. Rivetti (2024), Educidio, in Studi sulla Questione criminale Online a questo link. Paola Rivetti è Associate Professor in Politics and International Relations at the School of Law and Government presso la Dublin City University.
***

alexik

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *