Se ha combattuto l’Isis, lo Stato italiano le proibisce di parlare

E nessuno ha qualcosa da ridire  – di  Davide Grasso

Notizie sul documentario “Soggetti pericolosi” di Stefania Pusateri e Valentina Salvi

Eddi

 

Si parla molto di Shamima Begum, la donna britannica che ha aderito all’Isis e alla quale una Corte d’appello inglese ha imposto sia restituita la cittadinanza. La prima nazionale del documentario Soggetti pericolosi (Stefania Pusateri e Valentina Salvi, 87’, col.) al Centro studi per la pace Sereno Regis di Torino, invece, ha riacceso la luce su una vicenda del tutto opposta, e che ci tocca da vicino: a Maria Edgarda Marcucci, romana di 27 anni che ha combattuto in Siria non a favore, ma contro lo Stato islamico, lo stato italiano ha proibito di parlare in pubblico (http://serenoregis.org/evento/documentario-soggetti-pericolosi-prima-nazionale/).

Studentessa di filosofia e attivista di Non Una Di Meno, Maria Edgarda (Eddi per le  amiche) ha deciso di andare in Siria con altre studentesse nel 2017 per conoscere le donne che, nel nord del paese, si battono contro i gruppi fondamentalisti che lapidano, uccidono e riducono al silenzio migliaia di donne. Dopo aver vissuto nelle istituzioni autonome femminili che hanno esteso e protetto in quei territori le libertà di genere, ha deciso di arruolarsi nell’esercito curdo in cui si battono anche donne arabe, assiro-cristiane e internazionaliste (Unità di protezione delle donne o Ypj). Ad Afrin, piccola città sotto l’attacco di 20.000 jihadisti sostenuti da bombardamenti turchi, ha combattuto nel 2018 con altri volontari italiani, tra cui Lorenzo Orsetti. Nonostante i loro sforzi Afrin fu trasformata in regime islamico ed Eddi perse in battaglia l’amica Anna Campbell (volontaria britannica di opposta fazione rispetto a Shamima Begum) di cui il padre chiede inutilmente da anni la restituzione del corpo alla Turchia.

Tornata in Italia Eddi si è vista accusata dalla procura di Torino di essere divenuta, a causa del suo contributo in Siria, pericolosa per la società italiana. Assieme ad altri quattro volontari (tra cui il sottoscritto) è stata proposta, nel gennaio 2019, per la più pesante delle “misure di prevenzione”  plasmate da Mussolini nel 1931 e convertite, dietro modifiche, in norme di pubblica sicurezza nel 1956 e ancora nel 2011: la “sorveglianza speciale”.

La Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti umani hanno già eccepito su vari aspetti di questa misura, che permette allo stato di limitare non solo la libertà, ma anche i diritti civili (ad esempio la libertà di riunione e di espressione del pensiero) senza formulare accuse, celebrare un ordinario processo o emettere una sentenza. Basta un semplice decreto, fondato su un “pronostico” del Tribunale sulla (futura) “pericolosità sociale” del cittadino.

Istituto pressoché sconosciuto all’opinione pubblica e zona grigia dello stato di diritto, viene applicato ogni anno a migliaia di persone per mafia o in contesti di marginalità sociale, ma anche in seguito ad attività politiche. Se ne tratta poco, sembra, anche nelle facoltà di Giurisprudenza. Ma è agghiacciante che, mentre il nostro paese mette a repentaglio la sicurezza di tutti vendendo armi a chi appoggia militarmente l’estremismo religioso più pericoloso (la Turchia, appunto) tale misura sia applicata a una donna che volontariamente, e a rischio della propria vita, ha combattuto i criminali jihadisti in prima persona.

Dal 17 marzo a Eddi è vietato partecipare a riunioni pubbliche, comprese le conferenze che teneva per informare sulla condizione femminile in Siria e non solo. Le è prescritto di non avvicinarsi a luoghi pubblici dopo le 18.00 e di restare presso la propria abitazione dalle 21.00 alle 7.00 per due anni. È normale?

Di tutti i volontari italiani nelle forze curde Eddi è l’unica cui infine sia stata imposta la misura. Colpisce, a dir poco, che fosse anche l’unica donna tra i proposti. A renderla diversa secondo i giudici è la pervicacia del suo attivismo in Italia una volta tornata, ad esempio l’aver contestato pubblicamente una trattativa per lo scambio di tecnologie militari tra Italia e Turchia nel novembre 2019, mentre le sue compagne venivano bombardate da Erdogan in Siria (e dopo che il ministro Di Maio aveva annunciato  che l’Italia non avrebbe intrapreso nuovi scambi militari con Ankara.

È la lealtà socialmente pericolosa? La difesa di vite umane contro l’ipocrisia della politica? La coerenza?

Questa vicenda è un’onta non per Torino, ma per l’Italia. Un’onta è soprattutto il silenzio su questa vicenda. Dove sono le paladine e i paladini delle donne e della democrazia, della libera stampa e del libero pensiero? Cosa deve accadere ancora in questa nazione perché la società rivendichi la propria indipendenza di fronte agli oltraggi e alle assurdità di cui è disposto a macchiarsi lo stato?

Da Il fatto quotidiano

da qui

«SOGGETTI PERICOLOSI»

Così lo presenta il Centro Sereno Regis di Torino

Un documentario di Stefania Pusateri e Valentina Salvi che intende restituire una narrazione pulita, coerente e reale a una Storia che vale la pena di essere raccontata.

Il film intende analizzare le ambiguità nella definizione di “pericolo” secondo lo Stato italiano che oggi, attraverso le azioni della Procura di Torino, intende censurare la possibilità di testimoniare il Rivoluzionario esperimento di vivere sociale che nei territori della Siria del Nord-est faticosamente cerca di sopravvivere.

Ci interessa parlare dei perché che risiedono dietro le scelte degli internazionalisti italiani di sostenere, a vario titolo, l’esperienza del Confederalismo Democratico e di riflettere attorno le motivazioni dietro la richiesta di misure di prevenzione estremamente lesive delle loro libertà personali.
Questo vuole essere un documento in cui si cerca di delineare le caratteristiche del “soggetto pericoloso” e di decostruire passo dopo passo le accuse mosse a Davide, Jak, Eddi, Jacopo e Paolo riconsegnando un senso della realtà in cui l’utilizzo della forza è solo l’ultimo, sempre triste punto, di una narrazione fatta di altri fondamenti imprescindibili dall’essere raccontati.

Abbiamo conosciuto ed ascoltato Davide Grasso, Maria Edgarda Marcucci, Fabrizio Maniero, Jacopo Bindi e Paolo Andolina, “colpevoli” di aver supportato l’attività delle Forze siriane democratiche curdo-arabe contro lo Stato islamico nel nord della Siria tra il 2016 e il 2018 e di aver svolto un ruolo di sostegno all’esperienza rivoluzionaria proposta dal Rojava.

Il 16 dicembre 2019 si è tenuta l’ultima udienza per decidere sull’applicazione della Sorveglianza speciale per tre di loro. Tale misura di prevenzione, che prevede la limitazione delle libertà prescindendo dall’accertamento giuridico di eventuali responsabilità, è custodita nel Codice Rocco, ideato e redatto nel 1931. Dal ventennio fascista ad oggi questa rimane una misura ampiamente utilizzata, più volte riconfermata ed estesa e caratterizzata dalla sua applicabilità in assenza di reato contestabile ma in mera supposizione di eventuali e possibili future condotte fuorilegge.

Un processo alle intenzioni dunque che vuole mirare a pregiudicare la partecipazione di Davide, Eddi, Jak, Jacopo e Paolo ad eventi pubblici e la condivisione dell’esperienza nella militanza rivoluzionaria in Nord della Siria, che ha sicuramente caratterizzato il loro impegno nei mesi successivi al rientro in Italia.
Si tratta forse di censura? È sicuramente un procedimento che manifesta un chiaro indirizzo politico e che intende punire le convinzioni ideologiche di chi si schiera contro la conservazione di uno status quo utile a consacrare i privilegi di pochi. Una condanna all’impegno politico, attuata da una Procura che ha fretta di chiudere la vicenda prima che la questione possa ritornare sotto i riflettori di una cronaca risvegliata solo dalla morte di Lorenzo Orsetti cui il documentario intende essere omaggio.
Con delicatezza e verità intendiamo restituire una narrazione coerente del reale che non dimentichi le donne e gli uomini che si sono schierati dalla parte giusta della Storia, con la convinzione, inoltre, che le esperienze particolari di Eddi e gli altri rivoluzionari siano molto più vicine a noi di quanto non crediamo.

Ci sono in preparazione altre proiezioni. Nel frattempo è possibile contribuire alla realizzazione del documentario attraverso la raccolta fondi attiva sulla piattaforma Produzioni dal basso.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

4 commenti

  • alberto campedelli

    Perchè non viene promossa una raccolta firme per restitutire il diritto di parola a Maria Edgarda (Eddi)?

  • Daniele Barbieri

    Un messaggio da UIKI
    Il 12 novembre si svolgerà a Torino l’appello richiesto dai legali di Maria Edgarda Marcucci, che tutti conosciamo come Eddi, ma anche come Heval Shilan. Maria Edgarda è stata in Kurdistan nel 2018 e ha preso parte alle attività civili in Rojava, ed alla resistenza di Afrin nelle file delle Ypj.
    Il 17 marzo 2020 la sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Torino ha applicato soltanto a lei la misura della Sorveglianza speciale, che era stata proposta anche per altri quattro volontari italiani in Rojava. Mentre ci rallegriamo per la decisione riguardante gli altri quattro, non possiamo nascondere la nostra amarezza in relazione all’esito che questa vicenda ha finora avuto per Eddi. Questa misura le impedisce di partecipare a riunioni pubbliche e le impone di rientrare a casa tra le 21 e le 7, di non sostare nei pressi di locali pubblici dopo le 18, di comunicare i suoi spostamenti alle autorità di polizia. Essa ha anche motivato il sequestro del passaporto e della patente e il diniego della validità per l’espatrio dei suoi documenti di identità.
    Crediamo che Eddi non meriti questa misura. Le sue attività in Kurdistan sono state rivolte alla costruzione della pace e del rispetto delle donne e dei diritti umani di tutti i popoli. Le Ypj di cui Eddi ha fatto parte hanno guidato la lotta contro l’Isis e sconfitto il califfato, e si sono opposte e si oppongono a tutti i gruppi fondamentalisti che mettono in pericolo le popolazioni del Kurdistan, del Medio oriente e dell’Europa.
    Ci auguriamo che i giudici del Tribunale di Torino vogliano rivedere questa decisione, ascoltando gli argomenti dei legali di Maria Edgarda. Eddi non può essere in alcun modo un pericolo per la società italiana, e proprio il suo contributo nella società curda sta a dimostrarlo.
    UIKI Onlus – Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia

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