L’Occidente è un immenso schema piramidale militare e finanziario*

articoli di Jeffrey Sachs, Raniero La Valle, Benjamin Abelow, Pubble, Toni Muzzioli, Scott Ritter, Ennio Remondino, Nico Piro, Manlio Dinucci, Giulio Chinappi, Fabrizio Poggi, bortocal, Piero Orteca, Andrea Zhok, Alberto Bradanini, Giacomo Gabellini, Stefano Orsi, Alessandro Marescotti, Elena Basile, Lucio Caracciolo, Giuliano Marrucci, Pierluigi Fagan, National Interest, Fulvio Scaglione, Alessandro Capuzzo, Domenico Stimolo

elogio della follia ucraina ed occidentale – bortocal

vorrei delineare le basi di un sintetico elogio della follia ucraina ed occidentale in dodici punti.

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  1. devo proprio sputare il rospo: ci sono miei coetanei che cinquant’anni fa contestavano la guerra americana in Vietnam e che oggi sostengono attivamente una guerra americana dello stesso tipo, solo perché è combattuta per interposto esercito, ed è perfino ancora più squallida per questo.

quei coetanei o hanno cambiato idea perché si sono rincretiniti, oppure sono sempre stati cretini e dicevano allora delle cose senza rendersi conto di quello che dicevano, come non se ne rendono conto adesso.

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  1. anche allora il Vietnam del Nord alimentava la guerriglia nel Sud, per riunificare il paese, e, dopo l’intervento armato americano, intervenne attivamente dal punto di vista militare (e alla fine di dodici anni di guerra vinse).

qualcuno potrebbe dire che ci fu una mimetizzata invasione nord-vietnamita nel Sud e che quell’intervento militare era illegale, come si dice oggi del tentativo dell’Ucraina russofona di riunificarsi col la Russia.

però allora nessuno si sognava di dire simili stupidaggini anti-storiche e si sbeffeggiava ancora Metternich, che il secolo precedente la pensava così, dopo il Congresso di Vienna.

tutto il Risorgimento italiano fu dunque una mostruosa violazione del diritto internazionale?

oppure il diritto internazionale attuale è una mostruosa violazione del diritto dei popoli di decidere del loro destino?

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  1. sono mesi che l’Ucraina ci fa sapere che sta avanzando, ed è vero, se si misura l’avanzata in centimetri come media, sui 2mila chilometri del fronte.

il ritornello continua e di giorno in giorno si annuncia lo sfondamento definitivo e si alza il tono di trionfo con cui si comunicano queste avanzate.

per fortuna quel governo ha sempre mentito, e io continuo ad augurarmi che sia sempre così.

perché il giorno che l’avanzata ci fosse davvero, la guerra nucleare sarebbe alle porte, e i russi lo stanno facendo capire benissimo.

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  1. noi stiamo sfidando da incoscienti la distruzione nucleare delle nostre città, per impedire ai russofoni di riunirsi alla loro madrepatria, come i veneti, i trentini, i triestini nella nostra storia?

e per inserire l’Ucraina nella NATO, violando gli impegni presi dall’America con Gorbaciov?

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  1. intanto due caccia italiani hanno fronteggiato dei caccia russi che stavano per violare lo spazio aereo NATO sul Baltico.

stavano per…, cioè non avevano violato un bel niente.

i russi sono stati saggi e hanno fatto rientrare gli aerei.

ma con quale diritto i nostri aerei hanno impedito a quelli russi di volare sul loro territorio, ma vicini al confine?

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  1. in un carro armato colpito dai russi sono stati trovati, feriti, dei tedeschi.

erano mercenari, non soldati regolari della Bundeswehr; così giuriamo tutti, altrimenti la guerra mondiale è assicurata.

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  1. gli ucraini bombardano il quartier generale della marina russa in Crimea; sono in guerra, è un loro diritto, ci mancherebbe.

se fossi il capo del loro governo io piuttosto avrei rispettato l’accordo di pace del marzo dell’anno scorso, in base al quale la Russia ritirò la sue truppe da Kijv, quasi conquistata; ma Zelenskij ha preferito stracciarlo subito dopo, su ordine USA ed UK.

e quindi via all’escalation degli attacchi in terra russa, per mascherare gli insuccessi sul campo dalla loro parte.

annunciano anche di avere ucciso nel’attacco il capo della marina russa.

questo però compare alla tv russa, e i russi smentiscono.

la nostra stampa sfida ogni senso del ridicolo e titola parlando del giallo del generale, che, come il gatto di Schroedinger, forse è vivo, forse è morto, eppure è già uscito dalla scatola…

grottesco!

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  1. il parlamento del Canada tributa un lunghissimo ed entusiasta applauso ad un reduce neo-nazista di 98 anni, esaltando la sua lotta per liberare l’Ucraina dalla Russia, o meglio dall’Unione Sovietica, di cui allora faceva parte, peraltro come stato autonomo.

la cosa è talmente vergognosa che è meglio che i nostri media non ne parlino e dice da sola a che punto siamo arrivati.

ma il silenzio è d’oro; metti che al nostro primo ministro Meloni venga in mente di fare altrettanto.

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  1. intanto il governo di Kijv strumentalizza il ruolo di tutori dei minori rifugiati in Italia, assegnato ad ucraini, se quelli sono senza genitori, per obbligare i primi a rientrare nel paese, compresi i sedicenni, che tornano buoni, perché l’obbligo di andare a combattere è stato esteso anche ai diciassettenni, come un secolo fa in Italia dopo Caporetto.

anche in Germania l’Ucraina pretende che il governo respinga i rifugiati, soprattutto quelli in grado di combattere.

è abbastanza evidente, infatti, che l’Ucraina è a corto di uomini, dopo le stragi imposte ai propri giovani, ed è inutile continuare a riempirla di armi, se stanno venendo meno gli uomini per adoperarle

volontari occidentali amanti del virile pericolo di lasciarci la pelle e vili mercenari disposti a tutto per i soldi non basteranno a colmare i vuoti paurosi di vite umane provocati dagli attacchi suicidi, soprattutto tra i poveri cristi che non possono pagare per imboscarsi, contro una linea difensiva ben protetta (a Gorizia, la maledetta, se ne ricordano ancora…).

Italia e Germania si piegano ai diktat di Zelenskij, in spregio ad ogni tradizione democratica, alle leggi internazionali sui rifugiati di guerra e ad ogni umanità, rispedendo nel paese in guerra qualche ragazzino senza genitori, che ne è fuggito, per salvarsi dalle distruzioni e dal rischio di morte.

interverrà stavolta il Tribunale Internazionale dell’Aja?

non credo: ha distrutto ogni sua credibilità dichiarando Putin criminale di guerra, per avere trasferito in Russia, fuori dalla zona delle operazioni militari (almeno in quel momento), i bambini che abitavano lì.

e dove doveva mandarli? in Ucraina?

invece approverà l’operato del governo ucraino, che viene a riprendersi i bambini orfani in Italia, per riportarli sotto le proprie patriottiche bombe.

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  1. intanto in Lettonia il governo ha comincato l’espulsione dei cittadini della minoranza russa che non dimostrano in un apposito testuna sufficiente conoscenza del lettone, o perché effettivamente non lo sanno, o perché rifiutano di sottoporsi altest.

i russi in Lettonia erano il 34% nel 1989, al momento dell’uscita dall’URSS; erano scesi al 25% nel 2018, trent’anni dopo, e dimuinuiranno ancora, continuando con questa pulizia etnica, per fortuna incruenta, che lascia del tutto indifferente l’Europa, che si vanta di essere la migliore paladina mondiale dei diritti umani.

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  1. l’anno prossimo in Ucraina dovrebbero svolgersi le elezioni farsa, che Zelenskij non vorrebbe, per evidenti motivi, perché, nonostante l’aspetto farsesco, potrebbero far trapelare sentimenti pubblici non proprio conformi.

ma le vogliono i governi occidentali per dimostrare, ai gonzi che ci credono, quanto democratica sia l’Ucraina, in cui i partiti di opposizione sono stati messi fuori legge con l’accusa di essere anti-nazionali e filo-russi.

eppure dovrebbe andare da sé che le guerre sospendono le elezioni e la democrazia, perché se i popoli potessero votare liberamente urlerebbero basta! con le schede elettorali.

ma che senso ha che votino gli ucraini, oggi, in un paese che ha messo in Costituzione l’obbligo di aderire alla NATO e ha vietato per legge ogni trattativa per porre fine alla guerra?

che elezioni sarebbero queste?

comunque, ben vengano, queste elezioni, perché se l’Ucraina dovesse eleggere un nuovo parlamento senza la rappresentanza della minoranza russa, in questo momento in gran parte sotto occupazione russa, questo sarebbe già il riconoscimento perfetto che quelle regioni non fanno più parte dello stato.

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  1. elogio della follia, viene da dire.

perfino uno come Berlusconi si ribellò a questo stato di cose; ma oggi abbiamo di meglio, e da un mezzo simpatizzante fascista siamo passati ad un manipolo di nostalgici fascisti interi.

e che cosa volete che facciano i neo-fascisti al governo se non esaltare la guerra e fare di tutto per trascinarci dentro?

da qui

 

 

Il controllo della narrazione e la (de-)formazione della coscienza umana – Alberto Bradanini

Dopo “La trilogia distopica: estremisti e razionali dei nostri tempi”, l’ex ambasciatore Alberto Bradanini ci segnala un’altra gemma pubblicata oggi anche da La Fionda. “Il potere non risiede in chi dispone di denaro, soldati o armamenti (tutto ciò è di risulta), ma nel controllo della narrazione”, scrive Bradanini. E chi oggi controlla la narrazione dei nostri tempi si affida ad agenzie che modificano gli algoritmi di social e browser, decidendo quello che potete o non potete leggere durante la giornata

Più si getta uno sguardo critico nelle intercapedini del potere, più si diviene consapevoli del dominio di una narrazione esterna sia alla logica che all’esperienza dell’essere umano. Più si penetra nella cupezza di tali labirinti, più si comprende che l’obiettivo di tale narrazione è la (de-)formazione della coscienza umana. Sono pochi a vantare un’esperienza personale degli eventi riverberati dalla Macchina della Propaganda. La rappresentazione del mondo e la coscienza dell’io sono percorsi fabbricati al di fuori di noi. Essi invadono la nostra mente dopo aver valicato filtri, pregiudizi, cliché cognitivi e distorsioni, lasciando sul cammino l’essenziale.

Solo la consapevolezza di tale tragedia gnoseologica consente di dischiudere qualche varco alla comprensione delle torsioni che il potere esercita su una popolazione devastata dall’alienazione.

Gli esseri umani si dimenano in una prateria di conoscenze approssimate e fantasie metafisiche su riflessi di realtà, polvere di stelle vaganti nello spazio, di cui non conosciamo che qualche bagliore. Persino chi siede in sala comando agisce sulla scorta di scarsa intelligenza del mondo, sebbene ciò non gli impedisca di applicarsi con spietata coerenza nel perseguimento di potere e ricchezze.

Per chi dirige l’orchestra è sufficiente scegliere di volta in volta l’ermeneutica megafonica più consona alla tutela dei propri privilegi, il resto è un gioco da ragazzi. Attraverso la presa sui meccanismi di persuasione, occulta o palese a seconda dei casi, la coscienza di un popolo viene modellata e posta al servizio altrui. Cosicché individui potenti, cinici e privi di umana empatia si servono di tale corredo per acquisire onori, denaro, sesso, obbedienza.

Il potere non risiede in chi dispone di denaro, soldati o armamenti (tutto ciò è di risulta), ma nel controllo della narrazione. Questa modella coscienza e azione della popolazione, rendendo cruciale la presa sui nastri cursori attraverso cui l’oligarchia fabbrica la classe di servizio: quella politica, mediatica e accademica. La finta dialettica tra correnti del Partito Unificato – prodotto di una medesima selezione – è una costruzione cosmetica. La principale attività di tali correnti è l’organizzazione dello svago televisivo o cartaceo, mentre le decisioni sono nelle mani di un inaccessibile Pilota Automatico, attraverso algoritmi che finanziano l’oggettività degli accademici, deformano o fabbricano informazioni, imprigionano giornalisti insubordinati.

Sotto la superficie, tuttavia, anche i manipolatori restano confusi, assediati da instabilità mentale e fantasmi distruttivi. Sebbene vivano una vita privilegiata rispetto al popolo dominato, combattono anch’essi contro l’ineluttabilità della loro infelice esistenza. La fonte della sofferenza, infatti, si colloca nella struttura di una società distopica, prigioniera del cupo binomio assolutismo della mercificazione e ontologia dell’immutabilità. Il primo postulato mira a rendere la persona umana una mera commodity negoziabile sul mercato, il secondo a sopprimere la tensione verso l’etica della natura e del soddisfacimento dei bisogni essenziali dell’uomo. Anche la classe dominante, dunque, resta schiava di cupe patologie, immersa in un’allucinazione di realtà, nella presunzione di conoscere gli interstizi profondi della specie umana. L’ossessione di sopprimere la libertà di prendere coscienza – con qualche eccezione che non fa differenza – mira a impedire che la resistenza giunga a massa critica, a costo della sopravvivenza del pianeta, distruzione dell’ambiente di vita o annientamento nucleare.

L’essere umano resta comunque padrone del proprio destino, può scavare dentro di sé, prendere coscienza e giungere alla radice dell’abisso devalorizzato nel quale la società viene relegata. Percorrere il sentiero della consapevolezza consente di cogliere l’insostenibilità ontologica di tale scenario, di coltivare la speranza di una graduale riemersione, di tornare liberi dal dominio della voce narrante, avviandosi verso la guarigione e la libertà.

Non sappiamo se la nostra specie riuscirà a svegliarsi dal sonno della ragione, liberandosi dalle logiche manipolatorie che ne sono la fonte. Tale obiettivo resta però alla sua portata e chiunque può contribuirvi.

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LE SS RIABILITATELE VOI – Fulvio Scaglione

Com’era ampiamente prevedibile, dopo i grotteschi tentativi, all’epoca della presa di Mariupol’ da parte dei russi, di sciacquare i panni filo-nazisti del Battaglione Azov, ecco quelli ancor più disperati e disperanti di tramutare le SS naziste in un variegata compagnia dove alcuni erano nazisti e altri si trovavano lì per caso. D’altra parte l’ho scritto subito, siamo tutti un po’ canadesi, tutti inclini ad onorare l’ex ufficiale della Divisione Galizia delle SS Gunka, tutti o quasi affetti dalla sindrome che ci spinge a considerare buono tutto ciò che oggi va contro la Russia. Come la maschera piemontese di Garibuia che, dice la tradizione, si tagliava gli attributi per far dispetto alla moglie.

La coglioneria attuale viene giustificata in nome della “complessità della storia”. Definizione che, applicata per bene, porterebbe a cancellare qualunque responsabilità. Anche quella della Russia che invade l’Ucraina, per dire, perché la storia è complessa e se non possiamo giudicare una vecchia SS come Gunka 78 anni dopo i fatti come possiamo giudicare un evento dell’altro ieri, ancora in pieno svolgimento. Sai, c’è stata la Nato, Maidan, la UE, il nazionalismo ucraino, la storia è complessa… Non è detto che solo perché ha fatto un’invasione Putin sia un invasore, no?

I nostri mediocri non avrebbero aperto bocca, probabilmente, se non avessero potuto citare un pezzo di Politico intitolato “Aver combattuto contro l’URSS non fa necessariamente di te un nazista”. Un ottimo giornalista americano come Matt Taibbi ha definito questo pezzo “il peggior editoriale di sempre”. E si può ben capirlo. Intanto il titolo è una scemenza. Essere una SS fa di te un nazista, e non c’è verso di sostenere il contrario. Essere nella mafia fa di te un mafioso, essere nel Kgb fa di te una spia, essere un prete fa di te un membro della Chiesa. I peccati e i meriti individuali c’entrano poco rispetto al giudizio storico. Riguardano semmai purgatorio, inferno e paradiso, se uno ci crede. Come per i filo-nazisti dell’Azov. Ci dicevano: eh, però legge Kant, però è un bravo padre di famiglia. Perché, chi ha detto che non si possa essere filo-nazisti (con tutto ciò che questo comporta) e bravi papà? O essere bravi papà senza per questo essere meno inclini a bruciare gli ebrei e sterminare gli zingari?

Secondo: lo scandalo internazionale non è nato dal fatto che Gunka fosse stato membro delle SS, come tanti altri che alla fine della seconda guerra mondiale si sono rifugiati oltre-Oceano e lì hanno vissuto tranquilli e sereni. Lo scandalo è nato dal fatto che il Parlamento canadese e due uomini di Stato, il premier Trudeau e il presidente ucraino Zelensky, hanno sentito la necessità di onorarlo come un eroe, come un esempio da seguire e da additare alle future generazioni. Passi per Zelensky, leader di un Paese che da almeno dal 2010, dai tempi del presidente democratico e occidentalismo Viktor Jushchenko, persegue la riabilitazione della destra peggiore. Ma gli altri?

Terzo: non è vero quanto scrive Politico, e cioè che l’unità delle SS in cui militava Gunka, non fosse responsabile di crimini di guerra. La 14° Waffen Grenadier, più nota come Divisione Galizia, è stata giudicata dal Governo polacco responsabile dell’uccisione di oltre mille civili nel villaggio di Huta Pienacka, ora nella regione di L’viv (Ucraina). E per questo l’attuale Governo polacco ha accennato alla possibilità di chiedere l’estradizione di Gunka. Il quale magari è riuscito a non sparare, a non farsi notare dalle altre SS mentre rifiutava di uccidere quei civili, chissà…  Ma resta un nazista, come minimo complice di crimini di guerra innegabili. Anche se adesso il negazionismo va di moda.

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La Polonia vuole il nazista ucraino-canadese Hun’ka. Mito SS sul fronte occidentale – Ennio Remondino

Non si placa lo scandalo del nazista ucraino-canadese Jaroslav Hun’ka accolto con una standing ovation al parlamento del Canada alla presenza del presidente dell’Ucraina Zelens’kyj. La dimissioni tardive dello speaker della Camera dei Comuni, o il premier Trudeau, che ha visto nel caso Hun’ka una sorta di propaganda/disinformazione russa.
Peggio, Il mito delle Waffen-SS che non tramonta a Ovest.

 

Solo inciampo o complicità nascoste?

Non sono bastate le dimissioni dello speaker della Camera dei Comuni Anthony Rota, colpevole di aver invitato il 98enne criminale di guerra che militò volontario nella 14ª divisione Waffen Grenadier delle SS nel conflitto mondiale. «Né sono bastate le (patetiche) scuse dei parlamentari canadesi, convinti di applaudire un genuino combattente per l’indipendenza della propria terra dall’invasore russo», scrive severo Limes. «Scuse che rappresentano una toppa peggiore del buco: l’allora Unione Sovietica era alleata del Canada nella lotta contro la Germania nazista e per questo sostenuta materialmente nella sua avanzata verso ovest».

E le polemiche sono state rinfocolate da un’uscita poco lucida del primo ministro canadese Justin Trudeau, che ha visto nel caso Hun’ka una sorta di propaganda/disinformazione russa, e per questo divenuto oggetto di sarcasmo persino sui media anglosassoni.

Riabilitazione ‘inconsapevole’?

Il triste caso di riabilitazione ‘inconsapevole’ di un criminale nazista ucraino si inserisce nella più ampia crisi diplomatica tra Varsavia e Kiev. Il governo polacco del nazionalista Mateusz Morawiecki non può di certo tollerare gli applausi dell’alleato Zelensky indirizzati a un uccisore conclamato delle genti polacche in Volinia e Galizia orientale (1943-45). Certamente non a poche settimane dalle elezioni parlamentari (15 ottobre), che in un modo o nell’altro designeranno il futuro del Paese…

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NYT: mesi di massacri e sui campi di battaglia non è cambiato niente – Piero Orteca

Stoltenberg si inventa vittorie: «Kiev avanza». Nyt: «tutto come prima». Il segretario della Nato smentito dai fatti: mai lo stallo è stato peggiore. I dati elaborati dall’Institute for the Study of War, dicono che «la linea del fronte, dopo mesi di combattimenti estenuanti e pesanti perdite, è rimasta praticamente invariata». Mentre in consenso politico interno Usa al sostegno militare mette a rischio la presidenza.

 

Le eterne bugie di guerra

Oltre la triste figura del segretario Nato. L’analisi del New York Times è una frustata. Alle coscienze. L’inchiesta che pubblica on line, in prima pagina, d’apertura, corredata da un ricco contorno di grafici e cartine, parla da sola: finora, in tutto il 2023, durante nove mesi di dolore, distruzione e soprattutto massacri, sui campi di battaglia ucraini non è cambiato niente. Quello del prestigioso giornale americano è un giudizio che pesa come una sentenza. «Chi ha guadagnato terreno in Ucraina quest’anno?». Ci si chiede nel titolo del report. E la risposta è crudele: «Nessuno». Col sommario che chiarisce, qualora ci fossero ancora dubbi, «sebbene entrambe le parti abbiano lanciato offensive ambiziose, la linea del fronte si è spostata appena. Dopo 18 mesi di guerra, una svolta sembra più difficile che mai». E, per non essere fraintesi, ben consapevoli delle inevitabili polemiche, che accompagnano qualsiasi tentativo di vederci chiaro nell’ultima delle guerre medievali, i giornalisti Usa hanno voluto spaccare il capello in quattro.

Il loro report, infatti, si basa sui dati incontrovertibili e verificabili, pubblicati dall’Institute for the Study of War e dall’American Enterprise Institute.

Migliaia di morti per pochi centimetri su una mappa

Sostanzialmente, a fronte di centinaia di migliaia, di morti, dispersi, invalidi e feriti gravi, «l’Ucraina ha ottenuto piccoli guadagni territoriali nel sud, mentre la Russia ha preso qualcosina a notd-est». Briciole, fanno capire al NYT, ancora più evidenti se si comparano con i mesi interessati. Agosto, per esempio, che avrebbe dovuto essere il mese clou della controffensiva di Kiev, si è invece rivelato come il periodo della guerra «in cui sono passati di mano meno territori». Cioè, si è rimasti praticamente fermi. E tutto questo viene spiegato, efficacemente, dalla interpretazione che fanno al New York Times dei dati sui movimenti delle unità sul campo di battaglia. «Nonostante nove mesi di sanguinosi combattimenti – recita l’articolo – dall’inizio dell’anno meno di 500 miglia quadrate di territorio sono passati di mano. Uno stallo prolungato potrebbe indebolire il sostegno occidentale all’Ucraina».

Inutili battaglie, e dopo? Altre armi o cosa?

Di questo, dunque, si tratta. Anche se hai ragione, quando scegli una strategia che mette sottosopra il mondo e non ti dà risultati, allora qualcosa non torna. Stiamo parlando, per quelli che non l’avessero capito (o che fanno finta di non capirlo), del fatto che gli ultimi 270 giorni di mattatoio a cielo aperto sono serviti solo a riconquistare (o a riperdere) qualche decina di chilometri di pietraie. Al costo di perdite inenarrabili, da quelle umane alle risorse quotidianamente bruciate. E sottratte alla ricchezza del pianeta. Da un punto di vista strategico, il discorso che fanno gli analisti del NYT è molto semplice. La Russia puntava ad allargarsi nel settore centrale del Donbass, fino al Dnipro. Inglobando militarmente tutta l’area. Gli ucraini, invece, con la controffensiva volevano dividere il fronte in due, separando la Crimea dalle regioni russofone dell’est. Bene, dicono i giornalisti americani: fatevene una ragione, perché i piani sono entrambi falliti. E da questa situazione bisogna ripartire, per inventarsi qualcosa.

Guerra di logoramento, conti al dettaglio

Facendo poi i conti al dettaglio, per mostrare i risultati conseguiti da tanto sangue versato, basta solo considerare, dicono al NYT, che dall’inizio dell’anno la Russia ha guadagnato 200 miglia quadrate (un fazzoletto di circa 18×18 chilometri, n.d.r.) e l’Ucraina ancora meno. Per Kiev si parla di un’area di 142 miglia quadrate recuperate. Cioè, zero. I dati sono confermati da uno studio estensivo condotto, il 19 settembre scorso, dal Belfer Center della Kennedy Harvard School. Anche quel rapporto, molto rigoroso, sottolinea la realtà di una ‘guerra di logoramento’, dove più che puntare a vincere sul campo (cosa che appare impossibile) si mira alla distruzione del ‘fronte interno’ dell’avversario. Cioè, alla popolazione civile. Non solo, ma si gioca anche sui ‘danni collaterali’ inflitti ai fiancheggiatori. Insomma, a favore di chi lavora in tempo?

Si, perché la sensazione che sta maturando è che le opinioni pubbliche delle democrazie occidentali possano ‘stancarsi’ prima di quella russa. E il motivo è ovvio. Nelle società libere, in cui i governi sono scelti dagli elettori, non ci si può permettere (se non in casi eccezionali) guerre, anche per procura, che durino a lungo.

Russia-America, chi cede per prima?

Un esempio che calza a pennello è quello delle prossime elezioni per la Casa Bianca, nel 2024. In Europa gli echi arrivano attutiti, ma in America la campagna elettorale già imperversa. Ed è arroventata, con la guerra in Ucraina che entra di prepotenza negli scontri mediatici tra i contendenti. L’altro ieri, in California, si è svolto un dibattito televisivo tra i candidati Repubblicani alle Primarie. Lo citiamo, perché si inserisce perfettamente nel discorso che facevano prima, comparando ‘guerra di logoramento’ e progressivo (possibile) affievolimento dal sostegno popolare. Ebbene, l’incontro è stato disertato da Trump che, a questo punto, se non dovesse cadere l’asteroide (e se non si scatenerà uno tsunami giudiziario) sarà al 99% lo sfidante repubblicano.

Sostegno alla guerra in Ucraina a scadenza

Bene, Washington Post, Wall Street Journal e New York Times hanno pubblicato resoconti dettagliati sul confronto, citando le prese di posizione più decise contro ulteriori finanziamenti all’Ucraina. In particolare, DeSantis e Ramaswamy hanno detto ‘no’. Lasciando perdere l’ambiguità di qualche altro candidato, ai due nomi fatti dobbiamo aggiungere senz’altro quello di Trump. Secondo la media nazionale dei sondaggi RealClearPolitics di ieri, questi tre oppositori della politica Usa del «finanziamento facile al conflitto in Ucraina», rappresentano complessivamente circa il 77% degli elettori repubblicani.

Ma il fronte si muove anche fra i Democratici e gli indipendenti. Insomma, il quadro è chiaro. E se Biden non vorrà perdere la Casa Bianca, allora dovrà capire che esiste un paradosso, fin dai tempi del sommo LaoTzu: le guerre non si vincono solo ammazzandosi.

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Ucraina, le ultime trovate antistoriche delle “democrazie liberali” – Fabrizio Poggi

L’adesione ad alcuni valori oggi distintivi nelle “democrazie liberali”, sembra non mettere al riparo da figuracce meschine, ancorché rivelatrici del reale stato dei fatti. Al recente vertice sulla sicurezza, a Varsavia, la Ministra della difesa olandese, Kajsa Ollengren, coniugata con la produttrice televisiva Irene van den Brekel, ha spiattellato pubblicamente quale sia il reale atteggiamento di quelle stesse “democrazie” verso l’Ucraina golpista. È nell’interesse dei nostri paesi, ha detto Kajsa, «sostenere l’Ucraina. Questo perché sono essi a combattere in questa guerra e non noi. Credo anche che dobbiamo essere coinvolti nel dialogo coi nostri colleghi americani e amici. Perché anch’essi hanno lo stesso interesse. Perché il sostegno all’Ucraina è un sistema molto a buon prezzo di ottenere che la Russia cessi di essere una minaccia per gli alleati della NATO. È perciò necessario continuare il sostegno».

Convenite che non ci sia in fondo tanta differenza tra queste esternazioni e l’atteggiamento che hanno i nazigolpisti di Kiev nei confronti dei propri stessi cittadini, presi a bastonate nelle strade, arruolati nell’esercito, mandati al fronte e poi fucilati dai reparti punitivi di “Azov”, come avvenuto in questi giorni non lontano dal villaggio di Dronovka. Secondo la ricostruzione fatta in base alle riprese di un drone di sorveglianza della DNR, dopo l’esecuzione i cadaveri sarebbe stati gettati nel vicino fiume Severskij Donets. Che differenza c’è tra il valore attribuito dall’olandese alla vita dei soldati ucraini e quello riservato loro dai nazisti? Un valore evidentemente così basso, che Kiev preferisce rinunciare allo scambio di circa diciottomila prigionieri ucraini, pur di ottenere qualche decina di tagliagole di “Azov” catturati dalle forze russe.

Che valore ha dunque l’eloquenza dell’ex premier britannico Boris Johnson all’indirizzo dell’Ucraina? Essa non riguarda tanto una qualche “fiducia” o benevolenza nei confronti di Kiev, quanto si inserisce, pur con accenti formalmente diversi, nella crociata sempre più sfacciata di glorificazione del nazismo e negazione della vittoria sovietica sulle armate tedesche.

D’altronde, per una Presidente slovacca, Zuzana Chaputová che, sull’onda della vittoria elettorale di Robert Fitso, si dice contraria a continuare le forniture di armi a Kiev, qualcuno doveva pur portare solidarietà alla junta che spedisce giovanissimi e pensionati a «combattere in questa guerra e non noi». Il modo in cui Johnson lo ha fatto è nauseante.

In un’intervista al quantomeno sgradevole giornalista ucraino Dmitrij Gordon, Boris ha dichiarato testualmente che «l’Occidente vinse la Seconda guerra mondiale con gli alleati. Tra parentesi: con l’aiuto ucraino. E questo è stato un merito di Churchill».

Ora, le macchinazioni e le autentiche riscritture della storia, volte a sminuire o addirittura negare il ruolo dell’Unione Sovietica nella disfatta delle armate hitleriane, vanno purtroppo avanti da qualche decennio e si sono fatte più triviali negli ultimi anni. Le più “spassose”, se non fossero rivoltanti, trovate, si devono proprio alla junta nazista di Kiev. Aveva cominciato l’ex golpista Petro Porošenko a vaneggiare della liberazione di Auschwitz da parte ucraina, giocando coscientemente sul becero malinteso che i “Fronti” dell’Esercito Rosso venissero formati su base etnica e che, dunque, il lager nazista essendo stato liberato dal 1° Fronte ucraino, questo fosse formato esclusivamente di… ucraini. Il suo successore, era andato oltre, accusando il potere sovietico di esser stato complice del «mortifero volano dell’Olocausto». Semplice “ignoranza” da parte di due emuli delle uscite di Farinacci? Non crediamo; ma pure.

Ma, Johnson, quali motivi ha per infischiarsene a tal punto della storia? Per carità: nulla di nuovo, come si è detto. Su Rubaltic.ru, Svjatoslav Knjazev ricorda che se nel 1945, il 56% dei francesi riteneva che il ruolo decisivo nella vittoria sugli hitleriani fosse stato ricoperto dall’URSS, mentre solo il 20% dava la priorità al ruolo americano, nel 1994 le percentuali si erano pressappoco invertite: 25% contro 49%. Potenza dei Boris Johnson di ogni epoca e paese, che da sempre lavorano, ora più sommessamente, ora più platealmente, ma sempre nella stessa direzione.

Così, oggi, in questo frangente, in cui le masse popolari danno sempre più segni di stanchezza nei confronti degli appelli euro-atlantici a continuare l’invio di armi a chi combatte «in questa guerra e non noi», l’aperto riconoscimento tributato agli antesignani dei moderni nazisti al potere a Kiev serve a far passare come “crescita naturale”, “evoluzione”, come qualcosa “di per sé ovvia”, la rivisitazione della storia in chiave anti-sovietica. Come dire: è “naturale”, è “nell’ordine delle cose” che si aiutino i nazigolpisti ucraini, sarebbe anzi “innaturale” non farlo. La glorificazione dei vecchi nazisti serve a questo, così come l’affermazione dello sproposito che ignora a piè pari il ruolo sovietico nella disfatta hitleriana.

I lettori conoscono a sufficienza la storia, per evitare di tornarvi dettagliatamente. Sufficiente, in sintesi, ricordare che il 75% delle forze tedesche fu impegnato sul fronte orientale e qui esse subirono l’80% delle perdite. L’Esercito Rosso liquidò 607 divisioni tedesche (comprendendo ovviamente quelle eliminate e poi riallestite), contro le 176 su tutti i fronti alleati.

A perenne memoria del contributo di sangue ucraino, è doveroso rimarcare che, proprio in Ucraina, tedeschi e loro alleati, con la collaborazione di OUN-UPA nazisti, mandarono a morte tra 8 e 10 milioni di civili, cancellando dalla faccia della terra decine di migliaia di villaggi, così come in Bielorussia, dove nazisti e loro complici uccisero un abitante su tre.

E, a proposito di compici, è dunque con una discreta dose di simpatia che guardiamo a episodi, purtroppo ancora rari, come quello avvenuto qualche giorno fa a Rovno, allorché è stata ricoperta di vernice rossa la targa «a ricordo dei patrioti ucraini rinchiusi in prigione negli anni ’40-’50 e martirizzati dai regimi bolscevico e nazista» (così i media golpisti).

Si tratta di una targa posta già nel 1997 dagli eredi dei nazisti di OUN-UPA sulla facciata di un edificio centrale del capoluogo della Volynia, una regione che però non dimentica i massacri perpetrati da quei komplizen hitleriani contro la popolazione polacca, ebrea, russa e anche ucraina. Sulla lapide è scritto: «In questo luogo, il 4 gennaio 1945, gli organi del NKVD giustiziarono gli eroici combattenti per l’onore e la libertà dell’Ucraina – soldati dell’Esercito insurrezionale ucraino» (UPA).

A carico degli otto “combattenti”, impiccati il 4 gennaio del ’45 e i cui nomi figurano sulla targa, le confessioni date da loro stessi in fase processuale. Uno, colpevole di aver ucciso di propria mano 25 persone, dichiarò che «Sterminando le persone di cui ero stato incaricato, sapevo di portare beneficio al UPA, quindi ho commesso gli omicidi a sangue freddo, senza alcun rimorso di coscienza». Così, anche gli altri, confessarono di aver sterminato intere famiglie, in base agli elenchi loro forniti dai comandi nazisti e OUN: famiglie ucraine, con vecchi e bambini anche in fasce!

Un piccolo gesto, quello della vernice rossa, che assume però carattere prode, in una Volynia terra di alimento dei nazisti ucraini di ieri e di oggi. Un gesto che sembra voler dire ai Johnson, alle Ollengren e agli italici eredi dei repubblichini complici dei nazisti che oggi sproloquiano di “resistenza ucraina”, offendono l’ANPI e farneticano slogan OUN-UPA: «C’è un’Ucraina diversa, che combatte e rischia galera e vita per dare il benservito ai nazigolpisti “eroi” dell’Occidente».

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Putin al Club Valdai: “L’Occidente è un immenso schema piramidale militare e finanziario” – Giulio Chinappi

In occasione della sessione plenaria annuale del Club Valdai, il presidente Vladimir Putin ha tenuto un discorso nel quale ha toccato tutti i principali punti della politica estera russa.

Vladimir Putin al Club Valdai: “Il rafforzamento del mondo multipolare è inevitabile”

Fondato nel 2004 nel corso della prima presidenza di Vladimir Putin, il Club Valdai, battezzato con il nome del lago presso il quale avvenne la sua prima riunione, è un think tank e un forum di discussione specializzato nella produzione di analisi geopolitiche e nella formulazione di indirizzi di politica estera.

Ogni anno, il Club Valdai tiene una sessione plenaria in occasione della quale interviene anche il capo di Stato, come accaduto nell’occasione della sessione del 5 ottobre, nel corso della quale Vladimir Putin ha tenuto un importante discorso che ha toccato tutti i principali punti della politica estera russa.

Uno dei principali argomenti trattati da Putin nel discorso di quest’anno è stata l’ineluttabilità del rafforzamento del mondo multipolare, che porterà alla nascita di un futuro ordine mondiale che si baserà su un sistema economico e finanziario ancora da creare, che dovrebbe essere più equilibrato nel servire gli interessi della stragrande maggioranza dei membri della comunità internazionale, secondo quanto spiegato dal presidente russo.

Putin ha ricordato che questo processo viene promosso non solo dalla Russia, ma anche da altre importanti economie emergenti, come quella cinese, grazie al ruolo fondamentale svolto dal presidente Xi Jinping nella creazione dell’iniziativa One Belt, One Road.

Il leader russo ha poi ricordato altre importanti iniziative che spingono per la multipolarizzazione delle relazioni internazionali, come l’Unione Economica Eurasiatica, i BRICS e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. “Certamente, si tratta di una sfida difficile che richiede tempo, ma la consapevolezza che porterà benefici a tutti farà avanzare il processo“, ha affermato Putin.

Naturalmente, il principale ostacolo che il mondo multipolare dovrà affrontare è rappresentato dall’Occidente collettivo a guida statunitense, che per secoli ha beneficiato di un sistema iniquo che gli ha permesso di mantenere i suoi privilegi rispetto al resto del mondo. Washington e i suoi vassalli non sembrano intenzionati a rinunciare a questa posizione, il che rallenta il processo di multipolarizzazione, senza tuttavia riuscire ad arrestarlo.

A tal proposito, Putin ha descritto l’influenza globale dell’Occidente come un “immenso schema piramidale militare e finanziario”, che ha costantemente bisogno di carburante per sostenersi. “La storia dell’Occidente è essenzialmente la cronaca di un’espansione senza fine. L’influenza occidentale nel mondo è un immenso schema piramidale militare e finanziario che ha costantemente bisogno di più “carburante” per sostenersi, con risorse naturali, tecnologiche e umane che appartengono ad altri“, ha detto Putin. “I nostri argomenti, ragionamenti, appelli al buon senso o proposte sono stati semplicemente ignorati“, ha aggiunto.

La volontà degli Stati Uniti e dell’Occidente collettivo di mantenere i propri privilegi rispetto al resto del mondo rappresenta la principale ragione dell’astio che costoro nutrono nei confronti della Russia e di tutti gli altri Paesi che non si genuflettono ai dettami di Washington.

Per questo motivo, la Russia resta ancora oggi sottoposta alle sanzioni economiche imposte unilateralmente dagli USA, ma questa mossa non ha fatto altro che mostrare la debolezza del blocco occidentale, visti gli scarsi effetti sortiti. “Finora abbiamo gestito la situazione bene e ho motivo di credere che continueremo così in futuro“, ha detto Putin, riferendosi all’economia nazionale russa. A differenza di quanto avviene in Europa, infatti, il reddito reale disponibile del popolo russo sta crescendo, nonostante l’aumento delle spese per la difesa e la sicurezza.

La Russia sta lasciando “il mercato europeo in declino”, aumentando “la sua presenza sui mercati in crescita in altre parti del mondo, compresa l’Asia”, secondo le parole del presidente.

Putin ha affrontato anche il tema di un possibile conflitto nucleare, ipotesi paventata da molti analisti visto l’andamento dello scontro tra Occidente e Russia, ad oggi principalmente limitato al focolaio ucraino. “Nessuno sano di mente e con la memoria lucida penserebbe di usare armi nucleari contro la Russia“, sono state le parole del presidente, secondo il quale l’attacco di ritorsione della Russia a seguito di un attacco nucleare da parte di un potenziale aggressore lascerebbe il nemico senza possibilità di sopravvivenza.

Putin ha anche ricordato che la Russia aderisce al Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari, noto con l’acronimo inglese di CTBT (Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty), che bandisce ogni tipo di esplosione nucleare, compresi i testi, mentre gli Stati Uniti non hanno mai ratificato l’accordo internazionale formulato nel 1996.

Naturalmente, Putin non ha potuto esimersi dal toccare anche le due principali crisi che hanno luogo ai confini russi, quella ucraina e quella del Nagorno-Karabakh, ribadendo le posizioni espresse più volte dal governo russo e che abbiamo avuto modo di riportare in numerosi articoli precedenti.

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SIAMO TUTTI CANADESI – Fulvio Scaglione

Riassumendo: il presidente ucraino Zelens’kyj, dopo aver partecipato all’Assemblea generale dell’Onu, si reca in visita ufficiale in Canada. Qui viene accompagnato in Parlamento dal premier Trudeau. Nell’aula gremita e partecipe, il presidente del Parlamento canadese, tal Anthony Rota, fa loro una bella sorpresa: presenta Yaroslav Gunka, 98 anni, ucraino naturalizzato canadese, come un eroe che durante la seconda guerra mondiale ha combattuto i russi. Uragano di applausi dai parlamentari, entusiastici saluti da parte di Zelens’kyj e Trudeau. Peccato che poi salti fuori che il buon Gunka era un ufficiale della Divisione Galizia delle SS, responsabile di molte stragi di ebrei ucraini e polacchi. Mezzo mondo protesta, organizzazioni ebraiche in prima fila. Rota si dimette. In sostanza, una colossale figura di m… Però attenzione: siamo tutti, ormai, un po’ canadesi.

L’entusiasmo di Zelens’kyj in mezzo ai parlamentari canadesi non può stupire. L’Ucraina non è, come dicono i russi, un Paese di nazisti ma è un Paese in cui la destra più radicale indubbiamente esercita un’influenza sproporzionata (almeno rispetto ai numeri) sul pubblico dibattito. L’attuale presidente, poi, arriva buon ultimo nel processo di riabilitazione di neo-fascisti e neo-nazisti che, se proprio vogliamo identificare una data simbolica, fu iniziato dal democratico e filo-occidentale Viktor Jushchenko nel 2010. La sua campagna per le presidenziali del 2004 era stata sostenuta da tutti i gruppi e gruppuscoli dell’estrema destra e poco prima di lasciare la presidenza lui ripagò il debito  (ne ho scritto su Limes, numero 5 del 2023, intitolato Lezioni ucraine) riabitando ufficialmente non solo la memoria di Stepan Bandera ma anche quella di Roman Shukevych, il comandante militare dell’UPA che lo stesso Bandera aveva fondato nel 1941 e che poi partecipò, al seguito dei nazisti, a pogrom di polacchi ed ebrei ucraini. Entrambi furono insigniti del titolo postumo di Eroe dell’Ucraina, la massima onorificenza del Paese. Scrivevo su Limes: “Bandera e i suoi saranno anche stati, agli occhi di molti ucraini, i fautori dell’indipendenza nazionale e della lotta contro l’occupante sovietico, ma il loro curriculum di collaboratori dei nazisti non pare esattamente quello degli “eroi”. A maggior ragione considerando che tra gli Eroi figurano scienziati come Boris Paton (il primo a essere onorato nel 1998), sportivi come il pugile Vitali Klitschko, la nuotatrice Yana Klochkova e il calciatore Andriy Shevchenko, compositori come Oleksandr Bilash o personaggi della società civile come Georgiy Gongadze, il giornalista investigativo rapito e ucciso nel 2000. Di politici e combattenti solo i già detti Bandera e Shukevych. Ad affiancarli è arrivato in seguito, e non pare un caso, un altro eroe proveniente dalla destra estrema, quella di Pravy Sektor: Dmytro Kotsubailo, detto “Da Vinci”, il più giovane comandante di battaglione nella storia delle forze armate ucraine, morto nel marzo del 2023 combattendo contro i russi a Bakhmut ma già prima scelto dal presidente Zelens’kyj per il pantheon ucraino”.

Il punto è che, come si diceva, che siamo ormai tutti un po’ canadesi. La pressione dei fatti (l’invasione russa), l’effetto delle cronache (il Davide ucraino contro il Golia russo) e le strategie della propaganda (da Putin malato terminale al gasdotto Nord Stream fatto saltare dai russi fino ai recenti, numerosi e inesistenti sfondamenti delle linee russe annunciati dai nostri giornali) ci hanno spinti nella condizione di farci piacere tutto ciò che, in un modo o nell’altro, va contro i russi e contro le strategie del Cremlino. Ma è proprio così? Tutto ciò che va contro i “cattivi” è automaticamente “buono”?

Ovviamente no, e gli esempi sono infiniti, in ogni campo. Per restare all’Ucraina: si sa che l’ambizione di Kiev è di entrare nell’Unione Europea. E la Ue, per parte sua, da quasi due anni ribadisce in ogni modo che il futuro dell’Ucraina è all’interno delle istituzioni europee. Facciamo finta che tutti dicano la verità e che davvero in Europa ci sia tutta quest’ansia di inglobare un Paese che già prima dell’invasione russa e della guerra era il Paese (Nel 2021, secondo i dati della Banca mondiale, l’Ucraina era il Paese più povero d’Europa (Pil pro capite annuo di 4.836 dollari) e comunque uno dei più corrotti d’Europa. Facciamo anche finta di non vedere che negli otto anni tra il 2014 (Rivoluzione della Dignità dell’Euro Maidan, come dicono gli ucraini) e il 2022 (invasione russa) gli europei hanno cercato soprattutto di armare l’Ucraina e pochissimo hanno fatto per “adottarla” nella loro famiglia. Ok, fatto.

Allora pensiamo a questo: ieri il primo ministro Shmyhal ha dichiarato che il suo Paese ha fatto tutte le riforme necessarie ed è ora perfettamente in regola con tutto ciò che la UE richiede ai Paesi membri in termini di rispetto delle minoranze. Ma davvero? L’Ucraina in cui esponenti di alto livello dell’attuale potere (tipo Oleksiy Danilov, segretario del Consiglio di Sicurezza, o Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente Zelens’ky) dichiarano di continuo che il loro obiettivo è sradicare tutto ciò che di russo vi è nel Paese, dove tuttora vive una consistente minoranza russo e/o russofona? L’Ucraina che smantella i monumenti non solo all’Armata Rossa (e si può capire) ma anche a grandi della cultura come Pushkin? Che mette in discussione l’ucraino Bulgakov (nato a Kiev nel 1891, e perseguitato dal regime sovietico di Stalin) perché non era abbastanza anti-russo? L’Ucraina che, di fronte alle pulsioni autonomiste della minoranza russa del Donbass, nel 2014 ha dichiarato una guerra?

A dispetto dei parlamentari canadesi e dei canadesi di ogni Paese, non è vero che tutto ciò che va contro i cattivi è automaticamente buono. Così come il fatto di battersi contro i cattivi occupanti sovietici non rese buoni i vari Bandera e Shukevyh complici degli stranisti nazisti.

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National Interest – La tragica sottovalutazione della Russia e l’erosione del sostegno a Kiev

“Il pegno dell’arroganza è duro. A quattro mesi dall’inizio della decantata controffensiva dell’Ucraina – che, a fronte di enormi perdite di uomini e mezzi, ha ottenuto conquiste territoriali minime – il sostegno a Kiev si sta ampiamente erodendo”. Così Robert English, ex analista del Pentagono e direttore degli studi sull’Europa centrale presso la University of Southern della California in una nota molto articolata scritta per il National Interest, della quale riportiamo ampi stralci.

Anche la Russia ha armi e tecnologia…

“La delusione [per l’esito della controffensiva] deriva dal crescente peso economico della guerra e dai diuturni scandali prodotti dalla corruzione ucraina. Ma tutto ciò è aggravato dalla reazione contro l’eccessiva fiducia e l’arroganza dell’establishment che guida la politica estera occidentale, soprattutto americana”.

“Per mesi, le voci scettiche sono state messe a tacere mentre i media mettevano a confronto l’abilità tecnologico-militare occidentale con l’arretratezza e il disordine russo. I cervelli della NATO avrebbero sconfitto i muscoli russi, avevano previsto con fiducia gli esperti a giugno, rendendo così ancora più bruciante la disillusione e la sfiducia di ottobre”.

“Chi non è inorridito dalle oltre 20.000 vittime che si sono registrate per conquistare 100 miglia quadrate, che evoca la carneficina della prima guerra mondiale? Dato che la Russia occupa 40.000 miglia quadrate di territorio ucraino, l’insostenibilità di una simile campagna è evidente”.

“Eppure i funzionari di Bruxelles e Washington insistono sul fatto che la controffensiva di Kiev sta avendo successo, esaltando i piccoli progressi e le illusorie conquiste. Allo stesso tempo, un coro di ufficiali militari in pensione esagera la debolezza russa e intravede la vittoria grazie all’ennesimo trasferimento di armi ‘rivoluzionarie’ . Perché gli armamenti forniti dalla NATO, tra i quali si contano centinaia di carri armati moderni, non hanno funzionato come previsto?”

“A causa dei campi minati e delle trincee, lamentano, non volendo ammettere che la Russia sta combattendo ferocemente con abilità sia tattica che tecnologica, dalla subdola guerra elettronica ai devastanti droni anticarro. Ma non ci è stato detto che la tecnologia russa era arretrata rispetto a quella occidentale? E che l’Ucraina aveva un esercito di droni mentre i soldati demoralizzati della Russia erano scarsamente armati, mal guidati e sempre sull’orlo della diserzione?”

La tragica sottovalutazione della Russia

“La brutalità della guerra suscita passioni – ammirazione per l’Ucraina, odio e derisione verso la Russia – che infiammano il dibattito pubblico e impediscono un’analisi obiettiva. Quest’ultima, per definizione, deve essere imparziale. Se i think tank diventano faziosi e i media cheerleader, allora vediamo solo ciò che vogliamo vedere”.

“Con l’Ucraina, il coro dei cheerleader rispecchia quello dei nostri disastri consumati in Iraq e Afghanistan.. Di conseguenza, abbiamo sottovalutato l’avversario, il che ha portato a tattiche sbagliate, operazioni fallite e, ora, a indebolire il sostegno dell’opinione pubblica. E dopo? Come sempre, la scelta obbligata è l’escalation: fornire a Kiev ancora più armamenti e munizioni. Ma basteranno pochi squadroni di F-16 e qualche centinaio di ATACMS per sconfiggere la Russia?”

Quindi, English si dilunga sulle tante menzogne propalare da media e think tank, faziosi che hanno portato a una sottovalutazione della Russia sotto tutti i profili. Tanti gli esempi che elenca, riportiamo quello, eclatante, sulle munizioni: “’La Russia sta finendo le munizioni’. Una ricerca su Google di questa frase produce quasi dieci milioni di risultati, perché, con diverse modulazioni, il tema ha campeggiato sui titoli occidentali per un anno. CNN , Newsweek , The Economist , Forbes e Foreign Policy si sono tutti uniti al coro, facendo eco alle valutazioni dei funzionari della difesa statunitensi e britannici”. E ora si apprende che a scarseggiare di munizioni sono gli arsenali della Nato.

Cervello ucraino contro forza russa?

Prosegue English: “Rincorrendo la narrazione del ‘cervello ucraino vincente contro la forza russa’, una serie di potenziamenti all’arsenale di Kiev è stata pubblicizzata come si trattasse di armi miracolose. Tra questi, l’artiglieria HIMARS , i carri armati Leopard , i veicoli da combattimento per la fanteria Bradley, i missili Storm Shadow e le munizioni a grappolo DPICM,  tutti pubblicizzati come fattori di ‘cambiamento del gioco’ . Ma queste grandi speranze sono state deluse, per lo più a causa delle armi che i russi utilizzano per contrastarle”. Altra omissione della narrativa, spiega il cronista, che non ammette che anche i russi abbiano cervello e tecnologia efficaci.

“L’affermazione ‘l’Ucraina deve ottenere una vittoria decisiva e grazie ai più sofisticati armamenti NATO ciò avverrà’ non sottende né una strategia militare sensata né un dibattito politico responsabile. Quanti sostengono questa tesi amano ricordare il leader britannico della Seconda Guerra Mondiale, Winston Churchill, che rafforzò la determinazione della nazione nei momenti più bui e la condusse al trionfo”.

“Raramente ricordano il comandante britannico della Prima Guerra Mondiale Douglas Haig , la cui insistenza sul fatto che la Germania sarebbe crollata se solo gli Alleati avessero lanciato un’altra offensiva, alla fine avrebbe prolungato un’estenuante guerra di logoramento costata un milione di vite. L’arroganza non è solo un nostro nemico, ma anche dell’Ucraina”.

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https://www.youtube.com/watch?v=S9TToe5CtWY

 

 

“L’Israele d’Europa”. Il progetto dell’occidente per il futuro dell’Ucraina – Pierluigi Fagan

IL MONDO È DI CHI FA PROGETTI (quindi non è nostro). Pochi mesi dopo l’inizio del conflitto russo ucraino, postai articoli con dichiarazioni molto ben argomentate di Zelensky, nei quali il nostro dichiarava che l’Ucraina sarebbe diventata “l’Israele d’Europa”.

Si riferiva all’idea che, finito il conflitto (era da poco iniziato, ma lui pensava già al “dopo”), Kiev sarebbe diventata un polo tecnologico grazie ad investimenti esteri (occidentali), lanciando così una Ucraina 2.0 nel futuro dell’info-digitale-globale. Per la verità già c’era una storia poco illuminata di fabbriche di biotecnologie soprattutto americane (con dietro storie ancora più oscure in cui si diceva coinvolto il figlio di Biden) dislocate nel paese che, prima della guerra, era noto per essere fuori dal novero dei paesi civili e democratici, come sancito dal Democracy Index del the Economist da qualche anno.

Lo stesso “inner circle” di Zelensky, di cui alcuni rappresentanti abbiamo apprezzato nei talk italici, era composto da giovani rampanti, anglofoni, poco più che trentenni, allevati nelle università anglo-americane. Giovanotti e giovanotte perfettamente in linea culturale con questa idea di una Nuova Ucraina che tramite il bagno di sangue, sarebbe transitata da “stato fallito” a punta di lancia info-tecnica dell’Occidente intero. Tanto al fronte mica ci andavano loro.

La cosa aveva senso non solo in termini di contenuto, ma anche di forma in quanto una Ucraina così importante dal punto di vista della ricerca, sviluppo e produzione strategica per l’intera Europa, sarebbe stata di fatto nell’UE e nella NATO a prescindere da quanto tempo concreto si sarebbe impiegato per ratificarlo. In un altro post, poco tempo dopo l’inizio della guerra, riferivo del noto gruppo di interesse che collettava la galassia atlantista stabilitisi a Kiev da tempo che, già ai tempi dell’elezione di Zelensky, interveniva pubblicamente dicendogli cosa doveva e non doveva fare. Zelensky è stato eletto nel 2019, ma questa gente operava massicciamente in Ucraina da anni.

Tutte cose a suo tempo del tutto note a chi segue le questioni geopolitiche non serietà ovvero non chi si sveglia la mattina e si mette a commentare fatti (o meglio articoli di giornali che danno una certa versione dei fatti) come se questi sorgessero improvvisi dal cappello magico del Mago Epifenomeno.

Per altro, occorre lettori e lettrici comprendano che chi scrive non è un giornalista ed ha poco o nulla interesse a far da cane di caccia di questi dietro le quinte. Come studioso, so perfettamente che ci sono i dietro le quinte, è nella storia, come lo sanno tutti quelli che trattano questi argomenti. Basta quindi approcciare il fenomeno del mondo facendosi le domande giuste, basta una intervista a Zelensky, basta capire cosa sta dicendo dietro ciò che sta dicendo, unirlo ad altre info e si ha il quadro senza passare la vita a scavare nella fogna degli eventi che scorre sotto le nostre strade pulite, resilienti, inclusive, innovative, sfidanti, futuro-promettenti e quanto alla galassia dei “valori” con cui si baloccano le menti ignare della realtà pensando di vivere nel migliore dei mondi possibili.

Non solo gli studiosi, anche i poeti sanno queste cose come ad esempio T.S.Eliot per il quale era noto che “Il genere umano non può sopportare troppa realtà”. Cosa arcinota anche ad ogni potere che riveste le scabrose vicende proprie di ogni potere di confezioni profumate, colorate, morbide ed attraenti ovvero ideologie, passioni, valori, identità, manifesti etici. Chi li vota e chi si sottomette al loro comando, avrebbe uno choc nello scoprire quanto è disgustosa la faccenda.

Molti studiosi abboccano anche loro alla versione parolaia delle realtà, debbono campare quindi lo fanno per lavoro o per debolezza psico-cognitiva. Altri sopportano il male del mondo, c’è, che ci vuoi fare, almeno cerchiamo di capire come funziona, magari troviamo il modo per diminuirlo un po’. I poeti, invece, poverini, ne escono con l’anima maciullata visto che di impostazione sono persone che vivono coltivando la sensibilità umana. Per questo tra i poeti c’è il più alto tasso di suicidi.

Ad ogni modo, eccoci all’approdo odierno di cotanta storia. Copio + incollo da Repubblica di stamane:

«L’Ucraina diventerà l’Israele d’Europa». Gli analisti militari più esperti usano questa immagine per spiegare il senso della cosiddetta Alleanza delle industrie della difesa, l’iniziativa lanciata dal presidente Zelensky davanti a 252 produttori di armamenti ed equipaggiamento giunti a Kiev da trenta Paesi per partecipare al primo forum internazionale del settore organizzato a conflitto in corso. «L’Ucraina nel futuro prossimo vuole essere insieme hub della tecnologia bellica occidentale più avanzata e prima utilizzatrice delle forniture realizzate nel suo stesso territorio», concordano gli analisti. Non più solo consumatrice di sistemi d’arma, quindi, ma anche produttrice ed eventualmente esportatrice. «È lo scenario più plausibile, che ricorda appunto la situazione in cui si trova Israele». C’è da apprezzare il buonsenso dell’idea, da consumatore e produttore, razionalità economica e strategica in un colpo solo.

“Zelensky ha anche un secondo scopo, però: attrarre investimenti e creare partnership con l’industria internazionale della difesa, sia pubblica che privata, finalizzando joint venture che portino alla delocalizzazione, cioè alla produzione delle armi Nato direttamente in Ucraina. “ dice Rep.

Ucraina bene comune dell’Occidente ed hot spot governato da una banda di oligarchi trafficanti d’armi che è poi esattamente quello che facevano anche prima della guerra, assieme a corpi di giovani donne e traffico di droga e continuano a fare “per finanziare la propria eroica resistenza”, certificato dal rapporto 2013 del Dipartimento di Stato americano INCSR (International Narcotics Control Strategy Report che elegge lo sfortunato paese, hub internazionale di primo livello nel black-business). Oddio “per finanziare la propria eroica resistenza” magari è un po’ esagerato visto che è abbondantemente finanziata da noi e dagli americani.

Deliziosa la chiusura dell’articolo del giornale di Molinari:

“Dietro la mossa di Zelensky, dietro l’Alleanza offerta all’industria della guerra (concordata con Washington assicura il giornale e sponsorizzata dall’industria delle armi britannica e tedesca che poveretti, ora hanno problemi con la loro industria metallurgica visto che gli hanno tagliato il gas), c’è anzitutto un’esigenza. Impellente e decisiva. Kiev ha percepito che l’aiuto degli alleati non sarà per sempre e non sarà per sempre a costo zero. Glielo ha ricordato, ancora due giorni fa, il ministro della Difesa francese Lecornu. «Gli arsenali francesi si stanno svuotando. La fornitura gratuita di armi deve diventare l’eccezione, la regola dev’essere la partnership industriale». Che, tradotto, significa che l’Ucraina, nel medio termine, dovrà mettere in conto di dover pagare per veder arrivare le armi che le stanno consentendo di resistere alla Russia.”.

Eh cribbio, mica vorremmo passare la vita a dare soldi agli ucraini per le armi no? Che se le producano loro!

Grandioso, e con quali soldi gli ucraini dovrebbe far investimenti per diventare la Nuova Israele? Ma che sciocchini che siete, coi nostri e con quelli di tutto il complesso finanziar-militar-industrial-commerciale che è la vera punta di lancia dell’Industria 4.0 con cui gli americani sperano di evitare il tramonto occidentale con qualche app ed un po’ di intelligenza artificiale attorno.

Passano gli anni, i decenni, ma l’essenza occidentale non fa un passo avanti, amiamo le tradizioni. Sì, va be’ c’è qualche maschio che si traveste da femmina, siamo per una nuova etica con cui trattare gli animali (Nussbaum), andiamo dallo psicologo perché non sopportiamo il peso della consapevolezza della sesta estinzione di massa che avanza a grandi passi, però al fondo amiamo la nostra essenza eterna: à la guerre comme à la guerre!

Così chi può, ha deciso che affronteremo l’era complessa, meno cultura, mono-informazione, più lavoro a meno costo e diritti, democrazia di nome mai ormai non più di minimo fatto, grandi ondate di indignazione contro il Male del mondo autocratico, arabo, africano, cattivo, insensibile, infame, discriminatorio.

Il mondo è di chi fa progetti, questo è il progetto per il nostro Occidente, pensato e composto da decenni, preparato, guidato, tessuto con perizia e pazienza mentre voi vi dedicate alle pesche. Se poi qualcuno ha l’ardire di farvelo notare, sarà sicuramente un complottista, va tutto bene. L’importante è che non vi venga neanche per l’anticamera del cervello il dubbio che il mondo va, più o meno, per come qualcuno l’ha progettato, le strategie non esistono, tutto accade come lo vedete, a caso, azione-reazione.

Un tizio maligno dopo venti anni di proscenio mondiale, accorpato addirittura nei G8, con cui abbiamo fatto lingua in bocca per anni ed anni, una mattina si sveglia e si ricorda che lui è l’erede di Pietro il Grande, invade l’Ucraina e noi ci alziamo come un sol uomo al grido di “Libertà, Liberta!”. Da qui alla Nuova Israele è un attimo, segue Armageddon. Valore dei classici…

*Post Facebook del 1 ottobre 2023

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La controffensiva ucraina: realtà effettuale e narrazione mediatica – Alessandro Marescotti

 L’Ucraina aveva l’obiettivo di rompere le difese russe e avanzare. Tuttavia, la realtà sul campo ha dimostrato quanto sia difficile sconfiggere i russi che si avvalgono di trincee fortificate e di tattiche di “difesa elastica”, in un ciclo incessante di avanzate e ritirate che frenano gli attacchi.

Nel recente articolo del Washington Post, emerge chiaramente una realtà amara: la controffensiva dell’Ucraina non è riuscita a soddisfare le aspettative che aveva suscitato inizialmente.

La promessa della vittoria. Di fronte a una vittoria che non arriva, i vertici politici ucraini (e anche quelli della Nato) stanno correndo ai ripari modellando una nuova narrazione che sostituisca quella precedente, tutta proiettata sulla promessa dei una “vittoria” militare e di uno sfondamento travolgente delle difese russe. Il Washington Post si sofferma proprio sul concetto di “narrazione” della controffensiva militare ucraina e rivela l’importanza della “narrazione” nell’influenzare le opinioni pubbliche paesi Nato.

Le osservazioni del Washington Post. Questa l’acuta analisi del Washington Post“Mentre le forze ucraine proseguono con la loro controffensiva attentamente monitorata, un’altra battaglia è in corso: la lotta per controllare la storia e influenzare il modo in cui il mondo vede la guerra. Dopo molte preoccupazioni sulla lentezza dei progressi e sulle cupe valutazioni delle prospettive dell’Ucraina durante l’estate, nelle ultime settimane i funzionari ucraini e occidentali si sono concentrati sul rimodellamento della narrazione per gestire le aspettative e sostenere il sostegno durante l’inverno. Quattro mesi di combattimenti brutali e perdite ingenti non hanno prodotto i risultati sperati da Kiev e dai suoi sostenitori occidentali. Nonostante alcuni progressi ucraini nello sfondare le fitte difese russe, incombono i timori di un conflitto congelato e del crollo del sostegno internazionale”.

La controffensiva in affanno. Ora è tutto più chiaro, finalmente. Dopo quattro mesi di intensi combattimenti e pesanti perdite, Kiev e i suoi alleati occidentali si ritrovano infatti a fronteggiare una situazione che si è rivelata molto più complessa di quanto si sperasse e si annunciasse mediaticamente. La vastità dei campi minati e l’assenza di una copertura aerea da parte per le truppe ucraine sono solo due dei grandi problemi di questa controffensiva in affanno. Una manovra sanguinosissima (erano state messe nel conto massicce perdite di uomini) che gli addestratori Nato hanno pianificato con altezzosa superficialità scaricando sui soldati ucraini la colpa degli insuccessi, accusandoli di aver perso slancio e di essere dei fifoni.

La propaganza amica. PeaceLink aveva da tempo fornito dati oggettivi che contrastavano con la propaganda. Perché di questo si tratta. Una volta accusata la Russia di disinformazione avevamo creduto di ritenerci immuni dallo stesso vizio. E purtroppo abbiamo dovuto constatare che i media nostrani non hanno sempre fornito esempi di buona e virtuosa informazione. Anzi. Abbiamo dovuto destreggarci in una selva di informazioni generate a tavolino dalla propaganda militare “amica”. E visto che la propaganda nostrana cozzava sempre più con la realtà effettuale, ecco che oggi l’apparato propagandistico della Nato e dell’Ucraina sta correndo ai ripari di fronte a opinioni pubbliche sempre più perplesse sull’andamento della controffensiva annunciata da Zelensky.

La delusione occidentale. La prima questione che emerge è la delusione rispetto alle aspettative iniziali. L’Ucraina aveva intrapreso questa controffensiva con l’obiettivo di rompere le difese russe e ottenere una serie di vittorie decisive. Tuttavia, la realtà sul campo ha dimostrato quanto sia difficile sconfiggere un nemico ben preparato che si avvale di tattiche di “difesa elastica”. Di cosa si tratta?

La difesa elastica. Questa strategia russa si basa su ritirate tattiche su linee più arretrate, attirando così le truppe ucraine in spazi dove possono essere facilmente colpite durante l’avanzata. Il risultato è stato un ciclo incessante di avanzate e ritirate, con gli attaccanti costantemente bersagliati e con perdite ingenti soprattutto nell’esercito ucraino.

La narrazione mediatica. La seconda questione che emerge è la lotta per la narrazione della guerra in Ucraina. Inizialmente, c’era una certa narrativa che dipingeva l’Ucraina come un eroico esercito in avanzata costante contro il nemico russo. Tuttavia, la realtà dei fatti ha dimostrato che questa narrazione non corrisponde alla situazione sul campo.

La guerra d’attrito. Le operazioni militari si sono trasformate in una logorante guerra di attrito, in cui entrambe le parti hanno subito perdite significative. Chi attacca di solito ne subisce più. La “guerra di movimento” è stata spesso sostituita da una “guerra di posizione”, con le trincee che si sono consolidate, anche per dare fiato a soldati sfiancati e decimati dai droni, dalle mine e dell’artiglieria.

Le difficoltà oggettive.  In questo contesto, la propaganda occidentale ha iniziato a perdere la sua efficacia. Mentre inizialmente poteva suscitare entusiasmo e sostegno, le continue perdite hanno reso difficile sostenere la narrazione di un progresso inarrestabile. La realtà cruda è diventata evidente, e ora c’è una crescente consapevolezza delle perdite e delle difficoltà che l’Ucraina affronta sul fronte militare.

La realtà effettuale. In conclusione, la controffensiva dell’Ucraina è stata molto diversa dalle aspettative iniziali, e la narrazione della guerra è stata messa in discussione dalla realtà dei fatti sul campo. La guerra in Ucraina continua a essere una situazione complessa e in evoluzione, che richiede un’analisi attenta, più distante dalla propaganda e più vicina ai dati militari che oggi non sono segreti ma vengono condivisi da una vasta community di analisti. Ritorna in campo il concetto di “realtà effettuale”, caro a Niccolò Machiavelli, da cui può prescindere per qualche tempo ma non per troppo tempo.

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Elena Basile: la crisi dell’ONU e le vie impervie del multipolarismo

La sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è sempre stata un appuntamento cruciale per le diplomazie europee e per il resto del mondo. In Italia, la Direzione Generale Affari Politici lavorava a tempo pieno per permettere al Governo di strappare fette di attenzione e confermare lo status faticosamente conquistato dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale. Il palcoscenico del mondo aveva bisogno di attori importanti. I bilaterali tra le maggiori potenze decidevano i destini del mondo. Il dialogo con il sud globale avveniva in questo contesto che riusciva ancora a ribadire l’importanza del multilateralismo al fine di prevenire le guerre e assicurare che il diritto internazionale si imponesse in molti casi sull’uso della forza. Garantire i diritti degli Stati più deboli contro i più forti era l’utopia più bella a cui in parte le normative ONU facevano appello.

La settantottesima sessione dell’Assemblea Generale ONU del settembre 2023 è emblematica di come si viva oggi un interregno tra un mondo i cui contorni non sono ancora netti all’orizzonte e un microcosmo in lento disfacimento da anni, il cui declino dopo la guerra in Ucraina sembrerebbe accelerato.

Dei cinque membri permanenti del CdS sono presenti al più alto livello solo gli USA con un Presidente il cui fragile stato di salute mentale è ormai di dominio pubblico. Non solo la Cina e la Russia ma anche Francia e  Regno Unito sembrano avere compreso che fori alternativi, dai BRICS al G20, sono più efficaci e produttivi di decisioni per gli interessi contrapposti dei leviatani che si agitano in un mondo multipolare nel quale le antiche norme stanno perdendo di credibilità.

I Paesi emergenti sembrano non stare più al gioco dell’Occidente e incarnano un polo di attrazione per il cosiddetto sud globale.

Anni e anni di Segretari Generali delle Nazioni Unite sottomessi ai voleri del Paese egemone; anni e anni di strumentalizzazione a proprio vantaggio dell’organizzazione da parte degli USA e dei suoi alleati; anni e anni di neocolonialismo impudente che dietro le formule astratte ha salvaguardato il potere dei pochi forti in grado di sfruttare le risorse dell’Africa (si pensi al Sahel) con la connivenza delle elites e contro i popoli africani; anni e anni di formule ridicole e trionfo della burocrazia che poco hanno fatto per il contrasto alla povertà e ai cambiamenti climatici; anni e anni di sistematica violazione delle norme ONU da parte degli USA, che senza cercare una mediazione in CdS, hanno mostrato il più allarmante disprezzo per gli altri membri, persino per gli alleati Francia e Germania in occasione della guerra in Iraq, e hanno portato avanti azioni criminali in Serbia, Afghanistan, Iraq, Siria, Libia; anni e anni di menzogne e doppi standard hanno lasciato solo cenere e macerie.

Oggi lo spettacolo deprimente di un’ Organizzazione Internazionale che rantola è sotto gli occhi di tutti. Nell’aula mezza vuota Zelenski appare un attore triste e questa volta poco arrogante. Difficile provare pietà per una elites che avrebbe potuto salvaguardare il benessere dei propri cittadini se non avesse assecondato gli interessi di potenze straniere. Essere amici degli Americani può essere fatale ancora di più che esserne nemici: si tratta di un detto di Kissinger. Povero popolo ucraino! Poveri ragazzini di diciotto anni costretti dalla legge marziale all’eroica resistenza-osannata senza pudore da molti media. Certo i ragazzi russi non hanno un destino differente ma muoiono, come il colonnello McGregor afferma, in percentuali ridotte rispetto agli ucraini.

Meglio chiarire subito l’equivoco. Non vogliamo un mondo nel quale al dominio americano si sostituisca quello della Cina o della Russia. Vorremmo un Occidente sano. USA e gli alleati europei dovrebbero procedere  alle riforme della governance mondiale, istituzionale, politica e monetaria al fine di tener conto dei nuovi sviluppi e di un sud del mondo che chiede rappresentanza. Bisogna deporre l’ascia, dialogare e riformare.

Slogan come: l’eccezionalismo USA, la potenza indispensabile, l’Europa giardino vanno messi definitivamente da parte. Ci sono delle proposte razionali che provengono da Johannesburg. Bisogna raccoglierle. Le guerre di esportazione della democrazia, i progetti di regime change dei neoconservatori vanno rinnegati pubblicamente. Non basta chiedere scusa per la Libia come il Premio Nobel Obama ha fatto per poi dare inizio con Biden a una nuova guerra di esportazione della democrazia, questa volta nel cuore dell’Europa. Deve finire la mentalità da guerra fredda. Ascoltiamo la saggezza cinese e torniamo nella sostanza ai principi della Carta ONU, ai principi di Helsinki. Ci vuole una nuova élite in Europa che possa perseguire obiettivi diversi. Il neoliberismo ha mostrato il suo vero volto. Con la cobelligeranza e l’inerzia sulle riforme (istituzionale, governance monetaria, politica comune dell’immigrazione) l’Europa ha distrutto gli stessi valori per cui era nata a cominciare da pace e prosperità. Crediamo però sia ancora possibile cambiare lo stato delle cose e perseguire il bene comune.

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Le parole che la sinistra europea non sa più dire – Alessandro Marescotti

Le nette parole di Papa Francesco dovrebbero spingere la sinistra europea a chiedersi se sta davvero agendo in modo coerente con i suoi principi morali. L’Europa dovrebbe essere un faro di pace e giustizia nel mondo, e la sinistra europea ha un ruolo cruciale in questo contesto.

Nel panorama politico europeo, una voce che sembra essersi persa negli ultimi anni è quella della sinistra europea. Mentre un tempo questa corrente politica aveva un forte impegno verso la pace e la giustizia sociale, oggi sembra essersi smarrita.

Un recente intervento del Papa Francesco ha messo in evidenza una mancanza di dibattito e di azione che la sinistra europea avrebbe dovuto intraprendere da tempo.

Il Papa ha pronunciato parole di grande significato durante una conferenza stampa a bordo del volo papale, mentre si discuteva della guerra in Ucraina. Ha detto: “Questa guerra è un po’ interessata non solo dal problema russo e ucraino ma per vendere le armi, il commercio delle armi”, e ha aggiunto che “gli investimenti che danno più redditi sono le fabbriche di armi, cioè le fabbriche di morte”.

Queste parole del Pontefice sono un richiamo potente all’indignazione morale contro il commercio delle armi, una questione che sembra essere caduta nell’oblio nei discorsi della sinistra europea.

In passato, la sinistra europea era spesso una voce chiave nell’impegno per la pace. Tuttavia, negli ultimi anni, sembra essersi allontanata da questa lotta cruciale. Mentre Papa Francesco solleva la questione del commercio delle armi e dell’uso indiscriminato di queste armi in conflitti come quello in Ucraina, la sinistra europea sembra aver perso il suo impegno e la sua voce su questo tema.

Le parole del Papa sono un richiamo alla responsabilità morale di tutti i leader dei governi europei. Ha affermato a proposito della guerra in Ucraina: “Non dobbiamo giocare col martirio di questo popolo”.

Le nette parole di Papa Francesco dovrebbero spingere la sinistra europea a chiedersi se sta davvero agendo in modo coerente con i suoi principi morali. L’Europa potrebbe essere un faro di pace e giustizia nel mondo, e la sinistra europea ha un ruolo cruciale in questo contesto.

La sinistra europea dovrebbe ascoltare queste parole e riflettere sulle sue priorità e sul suo ruolo nella promozione di un mondo migliore. L’indignazione morale sul commercio delle armi è una questione centrale e la sinistra europea dovrebbe tornare a sollevarla con forza nella sua agenda politica.

E invece? Si fa continuamente scavalcare da Papa Francesco. Un Papa che, nei fatti, riprende in mano con la mitezza francescana quelli che erano gli ideali e le parole d’ordine dei grandi e compianti leader della sinistra europea del secolo scorso: Willy Brandt, Olof Palme, Sandro Pertini, Enrico Berlinguer.

Questo Papa attinge a piena mani dalla grande tradizione pacifista di don Lorenzo Milani, Giorgio La Pira, padre Ernesto Balducci, don Tonino Bello, don Primo Mazzolari. Una tradizione che a suo tempo incalzò non solo la Chiesa ma anche la sinistra a prendere posizione in modo meno ambiguo e più deciso sul tema dell’obiezione di coscienza alla guerra.

In un momento critico in cui il conflitto in Ucraina continua a infliggere sofferenze a un popolo innocente, che sta sacrificando decine di migliaia di persone in una controffensiva sanguinosissima, è fondamentale che i leader europei e mondiali che condividono un impegno per la pace si uniscano per cercare soluzioni diplomatiche e porre fine a questa tragedia. L’invito a un incontro di alto livello, guidato dal presidente brasiliano Lula, potrebbe rappresentare un passo importante verso la promozione della pace in Ucraina. Il mondo guarda ora a questi leader per dimostrare che la diplomazia e la cooperazione internazionale possono prevalere sul conflitto armato e sulla sofferenza umana. La speranza è che, attraverso il dialogo e l’impegno congiunto, si possa aprire una strada verso la pace. Sinistra europea, se ci sei batti un colpo e sostieni gli sforzi di pace del Papa, del presidente brasiliano Lula e dei leader africani.

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Provate in combattimento: e il massacro ucraino diventa fiera delle armi – Piero Orteca

Piazzisti del terrore.
La guerra in Ucraina diventata una gigantesca fiera delle armi. Quello che tutti del grasso settore armamento sapevano, ma che facevano finta di non sapere, raccontato da un ex ufficiale dell’esercito britannico, consulente per l’industria della difesa, al Wall Street Journal.
L’esaltato ‘Panzerhaubitze’, o il veicolo da combattimento che viene propagandato come «a prova di russi». E i missili da gioielleria.

 

Fiera delle armi ‘collaudate in combattimento’

Il prestigioso quotidiano Usa titola spiegando che la guerra in Ucraina è ormai diventata una gigantesca fiera delle armi. Le industrie ricevono ordini per prodotti che devono essere testati sui campi di battaglia. E le aziende che sfornano armi utilizzate in Ucraina «hanno ottenuto ordini e risuscitato linee di produzione». Non solo, ma proprio l’impiego di attrezzature del valore di miliardi di dollari, in un grande conflitto terrestre, «ha offerto ai mercanti d’armi l’opportunità di analizzare le loro prestazioni e di imparare come usarle al meglio (testuale, n.d.r.)». Parola di Nicholas Drummond, che gestisce la società di consulenza per l’industria della difesa ‘Aura Consulting Lt.’.

‘Panzerhaubitze’ garantito

Esempi. Il ‘Panzerhaubitze’, il cannone tedesco delle meraviglie, che pare che stia facendo sfracelli dalle parti del Donbass. Certo, la libertà è importante, ma pure il business non è da disprezzare. Così, le aziende del Cancelliere Scholz, sfruttando la vetrina di Kiev, stanno vendendo un sacco e una sporta di obici Made in Germany. Ovviamente, più dura la guerra e maggiori saranno le possibilità di provare qualsiasi cosa, dai missili di ultima generazione a tutti i ‘parafernalia’ utilizzati negli scontri sul filo dell’elettronica. Ma, tornando ai cannoni, «come non ‘celebrare’ -afferma con tragica ironia il WSJ-, le prestazioni del più affidabile M777?». Si tratta di un obice da 155 mm. ideato dai britannici, che però dev’essere trainato e, nel fango autunnale, finisce per impantanarsi. Pro e contro, insomma. Ma la guerra, fanno capire al Wall Street Journal, esiste anche per questo: è un collaudo continuo, per verificare tutto ciò che i fabbricanti di morte devono ottimizzare. Per ammazzare meglio.

Guarda l’Ucraina e scegli cosa comprare

«La gente guarda all’Ucraina e vede cosa funziona», sostiene Tom Arseneault, amministratore delegato delle operazioni statunitensi di BAE Systems. Un gigante della difesa britannico che è già in trattative con Kiev per farle produrre, su licenza, il suo famoso cannone L119. Stesso discorso per il veicolo da combattimento CV90, che viene propagandato come «a prova di russi», e per l’obice M777, che abbiamo già esposto in vetrina. Società occidentali come Loocked-Martin, RTX o Rheinmetall, solo per citare la cima dell’iceberg, che rappresentano il potentissimo complesso militare-industriale, lavorano già a spron battuto per cercare di soddisfare la valanga di ordini che ricevono da tutto il mondo. Le armi e le munizioni spedite in Ucraina hanno praticamente svuotato i depositi occidentali. Che adesso devono essere velocemente riempiti.

Effetto ‘collo di bottiglia’

Ma l’aumento improvviso della domanda di strumenti di morte, per un semplice gioco di mercato, ha fatto esplodere i prezzi. Effetto ‘collo di bottiglia’: più dura la guerra in Ucraina, più i costi saliranno e più tempo ci vorrà per ricostituire le scorte. Furbi, no? E la questione prezzi si porta dietro la tecnologia di ultima generazione. Un esempio probante è quello dei missili. Senza un’aviazione degna di questo nome, le forze di Kiev fanno affidamento soprattutto sulle batterie antiaeree americane, che costano un occhio, a cominciare dai Patriot. Ma le richieste più pressanti, i generali di Zelensky le hanno avanzate per i missili e i razzi superficie-superficie a stelle e strisce: Himars e M270S. Sono precisi, ma arrivano troppo lontano (dipende dalla versione, ma toccano anche i 370 km.). Biden aveva paura che li sparassero contro il territorio russo. Però, ora che la controffensiva ucraina sembra impantanata, ha dato il via libera.

Missili da gioielleria

Sul campo di battaglia gli Himars si sono dimostrati superiori agli Scalp francesi, ai Taurus tedeschi e agli Storm Shadow inglesi. Tutti buoni missili da crociera, che però hanno prezzi da gioielleria. Sono sofisticati e costano assai. Ma, soprattutto, sono difficili da gestire. Insomma, ci vogliono i ‘tutor’ occidentali accanto. E per questo motivo, il Cancelliere Scholz (per ora) si è tirato indietro. Teme un coinvolgimento diretto dei tedeschi nel conflitto. D’altro canto, l’invasione dell’Ucraina è stata una vera manna dal cielo per tutto un settore produttivo che faticava a riconvertirsi. Dopo la fine della Guerra fredda, gli stanziamenti per la difesa, universalmente, avevano avuto una pausa. Poi, come è avvenuto per esempio negli Stati Uniti, si sono indirizzati, principalmente, nella lotta al terrorismo internazionale.

Jihad, pensiero unico occidentale, multipolarismo

Messo da parte il pericolo dell’estremismo islamico, in questa nuova fase lo scontro si è spostato tra il ‘pensiero unico occidentale’ e il ‘multipolarismo eterogeneo’, che riunisce autocrati, non allineati e terzomondisti assortiti. Nessun giudizio di merito, ma fotografia di una situazione sotto gli occhi di tutti.

I valori e gli ideali occidentali vanno bene e sono sacri. In Occidente. Non dobbiamo, però, arrogarci la presunzione di pensare che debbano andare sempre e comunque bene anche per il resto del pianeta. Perché, difendere i propri principi, spesso ti porta ad attaccare quelli degli altri, credendo che debbano essere cambiati. Per farli diventare come i tuoi.

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Intanto in Ucraina la guerra che nessuno sa come fermare – Ennio Remondino

Ora tutte le attenzioni al ritrovato Medio Oriente da parte di una geopolitica strabica di piccoli governanti. L’invasione di Israele da parte di Hamas dopo che la questione palestinese era irrisolta da 70 anni stupisce gli ignavi o i bugiardi. E con le attenzioni delle tre grandi potenze monopolizzate, altri conflitti territoriali liberi da antichi padrinati, esplodono. Esempi più vicini la vittoria dell’Azerbaigian contro l’Armenia per il Nagorno-Karabakh o i colpi di Stato in Africa con la cacciata della Francia e dell’Europa.
Adesso rovesciamo l’errore e accantoniamo l’Ucraina sperando che quella guerra ormai eccessiva si risolva da sola. Marcendo. La politica degli ignavi.

Una guerra congelata

Mosca e Kiev annunciano offensive ma conservano le forze per la difesa. Gli errati calcoli di Putin e di Zelens’kyj. Gli Stati Uniti stanchi e ora con troppo fronti di crisi aperti che non possono fermare il sostegno bellico. Il risultato è un pantano politico. Questa la sintesi possibile di analisi recenti di George Friedman, politologo di valore che Limes ripropone, scoprendone l’attualità che resta. Con il mondo concentrato sulla crisi mediorientale che potrebbe assumere catastrofiche dimensioni planetarie, diventa occasione per guardare con maggiore equilibrio quella che Lucio Caracciolo definisce la ‘Guerra Grande’.

La guerra russo americana

La guerra russo-americana molto diversa da quella russo-ucraina. Il Cremlino temeva che lo schieramento statunitense al confine con l’Ucraina potesse lanciare un attacco su Mosca, distante circa 480 chilometri. Washington, invece, pensava che la caduta di Kiev avrebbe spinto l’esercito russo sul fianco orientale della Nato e riacceso la guerra fredda. Da questo punto di vista il conflitto ha ben poco a che fare con l’Ucraina, se non per il fatto che il paese è stato devastato e sta scivolando in una pericolosa e dolorosa divisione.

Gli attacchi difensivi

La reazione americana non puntava soltanto ad arrestare l’attacco russo, ma a sostenere le forze ucraine, con sistemi d’arma statunitensi per avvicinarsi al più sensibile confine della Federazione. Ed ecco che i russi hanno continuato a lanciare operazioni offensive per solidificare la propria posizione. Anche gli ucraini hanno sferrato attacchi parziali, trattenendo parte dei soldati per rispondere a un’eventuale incursione nemica. «Ne è risultata una sorta di guerra congelata, in cui l’imperativo di mantenere la posizione guadagnata impedisce di raggiungere obiettivi più ambiziosi», afferma Friedman.

Un pantano politico

«Un pantano politico poiché ogni cambiamento è valutato in vista delle conseguenze che potrebbe avere sull’apertura dei colloqui di pace». Nel calcolo di Zelenskj, il sostegno americano avrebbe permesso all’Ucraina di contrattaccare. «Ma gli Stati Uniti sono impegnati in un conflitto diverso: tenere la Russia lontana dalla Nato. Gli strumenti che sono disposti a consegnare sono sufficienti a tenere i russi a distanza, non a metterli con le spalle al muro».

I russi sono riusciti a evitare che gli Stati Uniti si avvicinassero al loro territorio, gli ucraini hanno salvaguardato la sovranità su buona parte del paese, e gli americani hanno reso una penetrazione russa oltre l’Ucraina altamente improbabile.

Vincere qualcosa tutti per poterne uscire

«Washington ha raggiunto il suo obiettivo. Mosca e Kiev no, e non lo raggiungeranno. Ma non sono state nemmeno sconfitte»«Oggi l’Ucraina è un paese diviso, ma abbastanza integro da potersi intestare la vittoria. Lo stesso vale per la Russia, che ha esteso il suo vecchio confine quanto basta per poter rivendicare una vittoria in miniatura. Possono entrambe appellarsi a ragioni umanitarie per porre fine al conflitto».

Ora però i morti piangono

Centinaia di migliaia di vittime da ambo le parti. «Hanno dato la vita per nient’altro che la finzione di una vittoria, ma nessuna persona razionale considererà questo risultato un oltraggio alla loro memoria. Dopo quasi due anni di difesa e combattimento, è abbastanza chiaro come finirà la guerra».

Quanto tempo servirà ai leader per ammettere l’ovvio? Tutti hanno perso. A tempo debito perderanno anche i leader. Solo queste paure personali possono ritardare l’inevitabile pace.

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Stoltenberg: “Le armi per l’Ucraina sono la via per la pace” – Alessandro Marescotti

La vera via per la pace richiede un impegno incondizionato per la diplomazia, il dialogo e la ricerca di soluzioni pacifiche. Siamo chiamati a costruire un mondo in cui la legge del più forte, sancita dalla guerra, venga superata dalla volontà dei popoli attraverso la nonviolenza.

 

Nel contesto delle crescenti tensioni internazionali e della guerra in corso in Ucraina, le parole pronunciate dal segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, a proposito dell’Ucraina e delle “armi per la pace”, richiedono una riflessione critica. La sua affermazione, secondo cui “le armi per l’Ucraina sono la via per la pace”, solleva serie preoccupazioni sulla strada che la Nato ha intraprendeso per risolvere i conflitti globali.

Un concetto datato e pericoloso

Prima di tutto, è importante sottolineare che la pace non può essere costruita su un fondamento di armamenti crescenti. L’idea che una nazione possa ottenere la pace attraverso la potenza militare è un concetto datato e pericoloso. Questo approccio ha dimostrato di portare solo all’escalation dei conflitti, con conseguenze disastrose per la vita umana e la stabilità globale.

“Le armi sono la via della pace”

Invece di promuovere la corsa agli armamenti, dovremmo investire nella diplomazia e nel dialogo come mezzi più efficaci per risolvere le dispute internazionali. L’Ucraina ha bisogno di supporto per trovare soluzioni pacifiche ai suoi problemi, non di ulteriori armi che alimentino la sua stessa sofferenza in un confronto militare devastante e sproporzionato che le sta causando perdite spaventose. Gli sforzi dovrebbero essere concentrati sulla mediazione, sul dialogo e sulla ricerca di soluzioni diplomatiche che possano portare a una pace duratura nella regione.

Inoltre, la priorità dovrebbe essere quella di proteggere le vite umane, non di armare una parte del conflitto per conseguire una vittoria tanto sanguinosa quanto improbabile. L’invio di armi in zone di conflitto spesso intensifica la sofferenza delle persone innocenti e complica ulteriormente la risoluzione dei problemi. Dovremmo invece concentrarci sulla fornitura di aiuti umanitari, sulla promozione dei diritti umani e sul sostegno alle vittime dei conflitti.

“Stoltenberg ha sempre gettato benzina sul fuoco”

Secoli e secoli di cultura della pace vengono bruciati in un attimo dalla dichiarazione di Stoltenberg che in sostanza rispolvera il detto latino “si vis pacem para bellum”.

La vera via per la pace richiede un impegno incondizionato per la diplomazia, il dialogo e la ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti globali. Siamo chiamati a costruire un mondo in cui la legge del più forte, sancita dalla guerra, venga superata dalla volontà dei popoli espressa non dalle armi ma con strumenti nonviolenti e democratici: il voto, i referendum, il libero dibattito.

E se Zelensky perdesse anziché vincere?

Un mondo in cui le controversie e i conflitti vengano risolti attraverso strumenti diversi dalle armi non è solo un’utopia pacifista, non è una strategia anti-NATO che lavora contro i proclami di vittoria di Zelensky. La domanda che dobbiamo farci è molto realistica: e se Zelensky questa guerra la perdesse anziché vincerla?

La barca di Stoltenberg scricchiola.

Il sostegno internazionale si sta restringendo.

Inoltre la recente inchiesta del New York Times, che mette in discussione l’efficacia della controffensiva ucraina sostenuta da Jens Stoltenberg e dalla NATO, solleva interrogativi fondamentali. Gli sviluppi sul campo di battaglia nel 2023, con i russi che sembrano aver ottenuto vantaggi territoriali superiori rispetto agli ucraini, richiedono un serio riesame dell’approccio adottato.

In primo luogo, dobbiamo riflettere sul fatto che l’invio di armi e il sostegno militare esterno possono spesso alimentare una spirale di violenza, anziché promuovere la pace. È evidente che la fornitura di armi all’Ucraina non ha portato ai risultati sperati e potrebbe aver contribuito all’escalation del conflitto militare anziché alla sua risoluzione. Questa realtà ci spinge a interrogarci sul ruolo della comunità internazionale nel sostenere soluzioni pacifiche.

In secondo luogo, la situazione in Ucraina dimostra che la potenza militare da sola non è sufficiente a garantire il successo sul campo di battaglia. Gli sforzi congiunti delle forze ucraine e del supporto della NATO non sono stati in grado di invertire il corso del conflitto. Questo sottolinea la necessità di una strategia più ampia che comprenda la diplomazia, la cooperazione regionale e la ricerca di soluzioni politiche.

Inoltre, la sofferenza umana continua ad aumentare in Ucraina, con decine di migliaia di soldati che muoiono o vengono mutilati e con milioni di civili che vivono nell’incertezza e nell’instabilità. Questo dovrebbe spingere la comunità internazionale a raddoppiare gli sforzi per fornire aiuti umanitari e sostenere la popolazione colpita dal conflitto. Il benessere delle persone deve essere al centro delle nostre preoccupazioni.

Alla luce di tutto ciò, è imperativo riconsiderare l’approccio di Stoltenberg e della NATO alla situazione in Ucraina. La pace richiede un impegno globale per la diplomazia anche perché non è detto che la vittoria militare arrida a chi ha più ragione: potrebbe accadere l’inverso. E questo mette totalmente in crisi l’approccio attuale sia della NATO sia di Zelensky.

La terza legge della stupidità

Le leggi fondamentali di Carlo Cipolla sulla stupidità umana, presentate nel suo libro “Allegro ma non troppo”, forniscono un contesto interessante per comprendere il comportamento di coloro che sostengono una guerra o un conflitto senza valutarne adeguatamente le conseguenze. In particolare, la terza legge fondamentale è rilevante in questo contesto.

Terza legge fondamentale di Cipolla: “Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita”.

Questa legge suggerisce che coloro che promuovono azioni belliche dovrebbero valutare attentamente se tali azioni portano effettivamente a benefici tangibili per il loro paese o per se stessi. Se il sostegno a una guerra o a un conflitto non comporta vantaggi reali o può addirittura portare a perdite significative, secondo la logica di questa legge, tale sostegno alla guerra potrebbe essere classificato come un comportamento sostanzialmente “stupido”.

La crisi dell’attuale strategia UE e NATO

La strategia di invio di armi “fino alla vittoria” dell’Ucraina sta entrando in una fase critica, mettendo in dubbio l’efficacia dell’approccio promosso da Jens Stoltenberg e sostenuto dalla NATO. Recentemente, una serie di sviluppi geopolitici ha gettato un’ombra sulla direzione del conflitto in Ucraina e ha sollevato interrogativi sul futuro di questa guerra.

In particolare, la Polonia – un tempo alleata di ferro dell’Ucraina – ha raffreddato i suoi rapporti con Kiev a causa delle esportazioni di grano ucraino a basso prezzo, che hanno creato malumore tra i contadini polacchi. Questi ultimi, con un notevole peso politico, hanno esercitato pressione sul governo polacco, mettendo in discussione la solidarietà con l’Ucraina. Questo dimostra come le decisioni geopolitiche possano avere impatti inaspettati e complessi sulla politica interna dei paesi coinvolti.

Inoltre, l’Ungheria ha a lungo contestato la strategia dell’Unione Europea di sostegno militare a oltranza nei confronti dell’Ucraina, evidenziando le divisioni all’interno dell’UE stessa riguardo alla situazione ucraina.

Ma c’è di più: la Slovacchia ha votato per un cambio di politica estera. Il nuovo premier ha dichiarato di non volere più sostenere militarmente l’Ucraina, guadagnandosi l’accusa di essere “filorusso”…

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Mattarella, le armi all’Ucraina e i giornali padronali – Fabrizio Poggi

Il 7 settembre, i maggiori giornali padronali riportano i passaggi principali del discorso tenuto il giorno precedente dal Presidente della repubblica Sergio Mattarella in Portogallo, in occasione del «vertice annuale del Gruppo Arraiolos, i sedici capi di Stato “uniti per l’Europa” che in un panel a porte chiuse parlano del conflitto» (Corriere della Sera) in corso in Ucraina.

In questo momento caratterizzato da un clima di mobilitazione a ogni costo, per cercare di arginare la crescente stanchezza delle masse per i ripetuti saccheggi perpetrati ai danni delle necessità sociali, a vantaggio delle crescenti spese di guerra, i passaggi presidenziali portati a modello di “unità europea” sono quelli in cui il Capo dello stato ha detto che è doveroso continuare a «sostenere l’Ucraina o sarà guerra mondiale» (La Stampa). Mattarella, si dice, «evoca gli errori nella Seconda guerra mondiale e insiste sugli aiuti militari», ricordando – come se a ogni lavoratore, pensionato, giovane, non venisse ricordato, spesso anche con ruvidi “tonfa”, ogni giorno – a chi non se ne fosse accorto «come l’Ue abbia reagito compatta e fedele ai suoi valori: è stata assicurata assistenza militare all’Ucraina, assieme a notevoli risorse finanziarie» (Corriere). Quando dunque parlerete di “valori”, ricordatevi per carità di cosa si tratta. E dunque, per evitare gli orrori di ottant’anni fa, la massima carica istituzionale, la figura garante di una Costituzione che rifiuta la guerra, chiede di non cessare l’invio di armi in un conflitto armato, che rende l’Italia parte in guerra. «Se Kiev cadesse assisteremmo a una deriva di aggressioni ad altri Paesi ai confini con la Russia», ha detto Mattarella, e ciò, con un occhio al periodo 1938-’39, condurrebbe a uno scontro totale e devastante.

In questi pochi passaggi riportati, ci sono almeno tre momenti che meritano attenzione. Innanzitutto, quello già accennato della lacrimevole omelia sul «motivo di tristezza» per le «tante vite stroncate» e per la «quantità di risorse bruciate in armamenti, ma al momento non c’è altra via» (Corriere): la via ci sarebbe e ci sarebbe stata già molto tempo prima di arrivare al febbraio 2022. Ma era proprio lì che si voleva arrivare, ignorando o rigettando ogni proposta di accordo e, oggi, le “risorse bruciate” le pagano i lavoratori e le masse popolari, mentre il capitale lucra affari d’oro: ora per quelle “risorse bruciate in armamenti”; dopo, ne lucrerà ancora di più, «nella prospettiva d’una ricostruzione» (Corriere) per la quale i più forti gruppi di investimento mondiali (BlackRock o JPMorgan) hanno già messo le mani in banca, ben acquartierati nei palazzi della Kiev nazigolpista.

Gli altri due momenti, pur afferenti al “maccartismo storico” sempre più attuale nell’Europa liberale, hanno più che altro – ma non solo – valenza storica. Da un lato, c’è il tentativo truffaldino di accostare l’espansione hitleriana a danno di alcuni vicini della Germania, favorita dal beneplacito delle “democrazie occidentali” e sfociata nel complotto di Monaco del settembre 1938 (cui prese parte anche l’Italia mussoliniana), alla vulgata propugnata dai golpisti di Kiev e dai loro più stretti alleati su presunte mire di Mosca che, dopo l’Ucraina, punterà a tutti i propri vicini, Paesi baltici e Polonia in testa. Come dire, se ora non facciamo vincere Kiev, poi sarà la volta degli altri. Qui si cela anche il tentativo poco velato di ritornare sul ritrito motivo dell’URSS “colpevole al pari della Germania nazista” per lo scoppio della Seconda guerra mondiale: ormai è diventato un “dogma della fede” attribuire le “malefatte di Mosca” alla sua “eredità sovietica”, insomma una sorta di indole innata dei “machi” di quelle parti. Così agguerriti, ci assicura Repubblica su postulato di Mikhail Podoljak, da riuscire a creare «Caos in Israele perché la Russia distrugge la sicurezza globale».

Dall’altro lato, si nota in quei passaggi presidenziali il sorvolo a piè pari (come a dire: chissenefrega, si cita il 1938 e lì l’accostamento con la guerra è immediato, non importa andar oltre) della storia europea anteriore; quella precedente anche all’andata al potere di Hitler, quella del Patto di Locarno del 1925, del Patto di intesa firmato a Roma nel 1933 tra Londra, Berlino, Parigi e Roma; della politica cosiddetta di “appeasement” che aveva l’obiettivo di dirigere verso est le ambizioni tedesche, ignorando criminalmente le proposte sovietiche di sicurezza collettiva in Europa.

Oltre novant’anni fa erano le “democrazie” che indirizzavano a est gli umori tedeschi di rivincita; oggi, sono ancora quelle stesse “democrazie” (più, ovviamente, la “più grande” di esse) che hanno spinto l’Ucraina «a combattere in questa guerra e non noi» come ha candidamente ammesso a Varsavia la Ministra della difesa olandese Kajsa Ollengren.

Fu grazie a una «pioggia dorata di dollari americani» – si dice nell’opuscolo edito nel 1948 dal SovInformBjuro “Falsificatori della storia”, in riferimento alle intese bancarie, commerciali e industriali anglo-tedesche-americane iniziate sin dagli anni ’20 e continuate poi per tutta la durata della guerra – che fu fecondata «l’industria pesante della Germania hitleriana e, in particolare, l’industria bellica. Quei miliardi di dollari americani … ricostituirono il potenziale bellico tedesco e misero in mano al regime hitleriano le armi necessarie per le sue aggressioni». Evocare Monaco e tacere di almeno quindici anni di intrighi precedenti, risponde alla vulgata eurocentrica di ignorare l’inizio della guerra mondiale (ammesso anche da storici anglosassoni) già dal 1931, con l’aggressione giapponese alla Manciuria; ma risponde anche alla necessità, molto politicamente europeista, di accostare Germania hitleriana e URSS socialista nello scatenamento del conflitto.

A corollario delle esternazioni presidenziali, vale la pena ricordare come il discorso di Mattarella sia stato tenuto a «poche ore dalla strage di Kharkivi», (Corriere), che i media padronali attribuiscono ipso facto alla Russia, così come avevano fatto per la strage di Konstantinovka, lo scorso settembre, o per la diga di Kakhovka a giugno. In questo frangente storico, non sono ammessi dubbi sulla parola di Kiev: in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Kiev e il Verbo era Kiev. Ogni dubbio è segno di debolezza, mentre invece la UE deve reagire «compatta e fedele ai suoi valori» (Mattarella).

E invece, su quel sito putiniano che è Ukraina.ru, già il 6 ottobre qualche dubbio lo si insinuava: a proposito del summit del 5 settembre a Granada, quei rammolliti  dicevano, tra l’altro, che: «affinché gli europei fossero più accomodanti, in occasione del summit era necessario organizzare una grande provocazione bellica. E questa c’è stata, colpendo il villaggio di Groza, nella regione di Khar’kov, che ha causato la morte di circa 50 persone, riunite per il pranzo di commemorazione di un militare dell’esercito ucraino. “Una simile tragedia è molto vantaggiosa, per l’appunto per via Bankovaja [sede dell’Ufficio di presidenza], in base alla logica del “cui prodest”. Particolarmente nel momento in cui Zelenskij è in Spagna al forum internazionale” – scrive il canale telegram ucraino “Legitimnyj”, i cui autori, già il 1 ottobre, avevano avvertito che l’Ufficio di Zelenskij avrebbe potuto a breve mettere in piedi una grossa tragedia, perché l’Occidente continuasse i finanziamenti. Con lo stesso obiettivo, durante la visita di Antony Blinken a Kiev, l’esercito ucraino aveva bersagliato il mercato di Konstantinovka».

Nessuno dimentica il “sistema Izetbegovic” e le stragi dei mercati del 1992, 1994, 1995 a Sarajevo.

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Stanchezza dell’Occidente mentre l’Ue non sa costruire una tregua – Ennio Remondino

Zelensky fa i conti con l’Occidente stanco della guerra. L’ostruzionismo repubblicano negli Usa, i Paesi sovranisti europei che si sfilano. I ministri degli esteri Ue incapaci di soluzioni che invadono di parole l’Ucraina. Di fatto, ora Zelensky è più solo, «punito perché ‘arrogante’», titola qualcuno.

La guerra che ha cambiato il mondo

Finito il tempo americano dell’«aiuteremo l’Ucraina fino a quando sarà necessario», comincia a crescere anche nelle cancellerie fino a ieri belliciste la tentazione al disimpegno, al distinguo: «con Kyiv ma…», e nascono alleanze di fatto che al momento è ancora meglio occultare, far finta che non esistano. Il neo premier slovacco non toglie solo armi ma sostegno, e allarga la critica interna europea di Orban e ora, quella più minacciosa della Polonia. I polacchi che fino a ieri sembravano quasi disposti a entrare in guerra direttamente contro la Russia e che ora, per ritorsione sul grano e altre dolorose memorie storiche, di armi non ne danno più. E gli americani? Senza il portafoglio e gli arsenali di Washington l’Ucraina è condannata, con Biden ‘anatra zoppa’ con un anno di anticipo.

Ministri europei in trasferta d’immagine

Lunedì i ministri degli Esteri dell’Unione Europea si sono incontrati per la prima volta in una riunione ufficiale fuori dai confini dell’Unione stessa. Molta apparenza per poca sostanza. Riunione  simbolo e semi segreta, a creare aura di semi eroismo in zona di guerra. C’erano 23 ministri degli Esteri e 4 rappresentanti di altrettanti paesi. Non c’erano i ministri di Polonia e Ungheria, e non a caso. Il resto è stata liturgia in latino. Gli aiuti da dare ma che non arrivano, la pace da favorire, ma solo quella di Volodymyr Zelensky, che non prevede cessioni di territorio alla Russia. Le riforme necessarie ma impossibili per permettere l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea. Riunione che si svela pezza nel momento in cui il buco dell’appoggio europeo per l’Ucraina non si può più nascondere.

Zelensky molesto

«Zelensky, fino a ieri eroe del nostro tempo, comincia ad accorgersi di stare diventando molesto», scrive senza ipocrisie Quirico su La Stampa. «E gli ucraini sono costretti a constatare di essere nel mezzo di una lotta fra tre giganti che non si curano affatto di loro e li usano come proiettili per spararsi addosso, Russia America e Cina. Amara realtà finora nascosta sotto chilometri di retorica e di propaganda». Poi, a Paese semidistrutto e guerra impossibile da vincere, gli ucraini si scoprono pedine, usate senza rimorsi per questioni di supremazia planetaria. In questa lotta, Zelensky, amato fino a quando ha incarnato il ruolo della vittima, ha recentemente ‘cambiato copione’, insiste  Quirico. «Uno Zelensky cesareo, marciante, implacabile, affondatore, stritolatore di russi, uno Zeus castigamatti con i suoi sciami di fulmini-droni. Non chiede più pietà e soccorsi per il suo popolo strangolato, ma esige solo un tributo di soldi e di armi per completare un ‘veni vidi vici’ sarmatico. Impugnando il giuramento ricatto: con Putin mai nessuna trattativa e nessuna pace. Insomma, la guerra perpetua».

Controffensive vittoriose, avanzate travolgenti

Ma dopo un anno e mezzo di guerra feroce, il fronte è immobile, con avanzate millimetriche costate perdite ingiustificabili, e l’inverno è alle porte. Mentre l’Ucraina, oltre all’eroismo di molti, deve inevitabilmente fare i conti con decine di migliaia di renitenti alla leva rifugiati nei Paesi vicini, e di ‘loschi individui’ che nella amministrazione e nei vertici politici hanno trasformato la diserzione in un loro affare. Con l’Europa impantanata assieme a loro. L’Europa che non ha saputo costruire, in quasi due anni, neppure una piccola tregua, totalmente sulla scia della Nato americana. Ma torniamo con gli euro ministro a Kiev. «L’errore di Zelensky può costargli caro. Si rincorrono voci che gli americani intendano cambiare cavallo a Kyiv, puntare su un altro oligarca obbediente che non sia vincolato da promesse di vittoria totale che non può mantenere e che costa troppo alimentate per chissà quanto tempo». Voci, precisa La Stampa, solitamente bene informata, ma ‘voci’ a cui prestare attenzione.

New York Times agente del Cremlino

Non è forse un caso che da tempo i media statunitensi non risparmino critiche al governo ucraino al punto che a Kiev anche il New York Times è stato definito «agente del Cremlino» dopo aver reso noto che la strage di 16 persone uccise in un mercato affollato di Kostiantynivka, nella regione del Donetsk, è stata provocata da un missile antiaereo ucraino caduto sul centro abitato. Le autorità ucraine ritengono che le pubblicazioni occidentali stiano screditando sia la controffensiva sia il governo ucraino. Qualcosa sta evidentemente cambiando nella narrazione mediatica, almeno nel mondo anglo-sassone. Solo un anno fa Amnesty International venne pesantemente censurata per aver accusato le truppe ucraine di farsi scudo dei civili in Donbass, mentre oggi i media statunitensi più autorevoli (meno quelli europei o italiani) non lesinano analisi critiche nei confronti di Kiev.

Bruxelles del comando Nato

Il cambio di rotta nei confronti del regime di Kiev resta per ora sotto traccia in Europa Occidentale che finora ha brillato per la completa assenza di iniziative politiche o diplomatiche autonome per cercare di risolvere il conflitto. Se n’è accorto anche Romano Prodi (sottolinea Gaiani su Analisi Difesa).

«Nella guerra in Ucraina non c’è stata una mediazione europea, non c’è un momento di autonomia europea. L’idea che l’Europa non abbia una forza mediatrice, che si lascia quel poco di mediazione alla Turchia, è una umiliazione impressionante ha detto Prodi. Che sia anche lui ‘putiniano’?».

da qui

 

 

Scott Ritter: Nessuna “fine della storia” in Ucraina

di Scott Ritter* – ConsortiumNews

La visione trionfalista della democrazia liberale post-Guerra Fredda di Francis Fukuyama – pubblicata nel 1989 – aveva un grosso punto cieco. Ha omesso la storia.

“Quello a cui stiamo assistendo non è solo la fine della Guerra Fredda, o il superamento di un particolare periodo della storia del dopoguerra, ma la fine della storia in quanto tale: cioè, il punto finale dell’evoluzione ideologica dell’umanità e l’universalizzazione dell’Occidente, la democrazia liberale come forma finale di governo umano”.

Queste parole, sono state scritte dal politologo americano Francis Fukuyama, che nel 1989 pubblicò “The End of History”, un articolo che sconvolse il mondo accademico.

“La democrazia liberale”, scrive Fukuyama , “sostituisce il desiderio irrazionale di essere riconosciuto come maggiore degli altri con il desiderio razionale di essere riconosciuto come uguale”.

“Un mondo composto da democrazie liberali, quindi, dovrebbe avere molti meno incentivi per la guerra, dal momento che tutte le nazioni riconoscerebbero reciprocamente la legittimità delle altre. E in effetti, negli ultimi duecento anni esistono prove empiriche sostanziali del fatto che le democrazie liberali non si comportano in modo imperialistico le une verso le altre, anche se sono perfettamente in grado di entrare in guerra con stati che non sono democrazie e non ne condividono i valori fondamentali. “

Ma c’era un problema. Fukuyama ha continuato notando quanto segue:

“Il nazionalismo è attualmente in aumento in regioni come l’Europa orientale e l’Unione Sovietica, dove ai popoli è stata a lungo negata la propria identità nazionale, eppure all’interno delle nazionalità più antiche e sicure del mondo, il nazionalismo sta subendo un processo di cambiamento. La richiesta di riconoscimento nazionale nell’Europa occidentale è stata addomesticata e resa compatibile con il riconoscimento universale, proprio come la religione tre o quattro secoli prima”.

Modello globale 

Questo crescente nazionalismo fu la pillola avvelenata della tesi di Fukuyama riguardo al primato della democrazia liberale. La premessa fondamentale dell’allora fiorente costrutto filosofico neoconservatore di un “nuovo secolo americano” era che la democrazia liberale, così come praticata dagli Stati Uniti e, in misura minore, dall’Europa occidentale, sarebbe diventata il modello su cui il mondo sarebbe stato ricostruito, sotto la guida americana, nell’era successiva alla Guerra Fredda.

Questi esempi della contorta confluenza tra capitalismo e neoliberismo avrebbero fatto bene a riflettere sulle parole del loro acerrimo nemico, Karl Marx, che notoriamente osservò:

“Gli uomini fanno la loro storia, ma non la fanno come vogliono; non lo fanno in circostanze scelte da sé, ma in circostanze già esistenti, date e trasmesse dal passato. La tradizione di tutte le generazioni morte pesa come un incubo sul cervello dei vivi”.

La storia, a quanto pare, non può mai finire, ma piuttosto si reincarna, ancora e ancora, a partire da un fondamento storico influenzato dalle azioni del passato, infettate come sono dagli errori che derivano dalla condizione umana.

Uno degli errori commessi da Fukuyama e dai sostenitori della democrazia liberale, che abbracciarono il suo ideale di “fine della storia” nel giungere alla loro conclusione, è che la chiave del progresso storico non sta nel futuro, che deve ancora essere scritto, ma nel passato, che funge da fondamento su cui tutto è costruito.

Le basi storiche sono profonde, più dei ricordi della maggior parte degli accademici. Ci sono lezioni del passato che risiedono nell’anima di coloro che sono più colpiti dagli eventi, sia quelle registrate per iscritto che quelle tramandate oralmente di generazione in generazione.

Accademici come Fukuyama studiano il tempo presente, traendo conclusioni basate su una comprensione superficiale delle complessità dei tempi passati.

Secondo Fukuyama, la storia si è conclusa con la fine della Guerra Fredda, percepita come una vittoria decisiva dell’ordine liberale democratico sul suo avversario ideologico, il comunismo mondiale.

Ma cosa accadrebbe se il crollo dell’Unione Sovietica – l’evento visto dalla maggior parte degli storici come il segnale della fine della Guerra Fredda – non fosse stato innescato dalla vittoria della democrazia liberale sul comunismo, ma piuttosto dal peso della storia definito dalle conseguenze dei precedenti momenti di “fine della storia”? E se i peccati dei padri venissero trasferiti sulla progenie di precedenti fallimenti storici?

Guerra e nazionalismo rinato 

Tra i molti punti di conflitto che si verificano oggi nel mondo, ce n’è uno che spicca come manifestazione del fascino costante che gli aderenti alla democrazia liberale nutrono per la vittoria sul comunismo, che pensavano fosse stata ottenuta più di tre decenni fa, vale a dire il conflitto in corso tra Russia e Ucraina.

I politologi della scuola della “fine della storia” di Fukuyama vedono questo conflitto come derivante dalla resistenza dei resti dell’egemonia regionale sovietica (vale a dire, la Russia moderna, guidata dal suo presidente, Vladimir Putin) sull’inevitabilità della presa della democrazia liberale.

Ma un esame più attento del conflitto russo-ucraino indica che gli attuali conflitti nascono non semplicemente dal divorzio incompleto dell’Ucraina dall’orbita sovietica/russa avvenuto alla fine della Guerra Fredda, ma anche dai detriti del collasso del precedente conflitto russo-ucraino, relativo ai sistemi di governo, in particolare gli imperi zarista russo e austro-ungarico.

In effetti, l’attuale conflitto in Ucraina non ha nulla a che fare con alcuna manifestazione moderna del bipolarismo della Guerra Fredda, ma ha tutto a che fare con la resurrezione delle identità nazionali che esistevano, per quanto imperfettamente, secoli prima ancora che iniziasse la Guerra Fredda.

Per comprendere le radici del conflitto ucraino-russo, è necessario studiare le azioni tedesche dopo il Trattato di Brest-Litovsk del 1918, l’ascesa e la caduta di Symon Petliura e la guerra polacco-sovietica – tutti eventi precedenti al patto Molotov-Ribbentrop e la dissezione della Galizia avvenuta nel 1939 e nel 1945.

Queste azioni furono tutte innescate dal crollo del potere zarista e austro-ungarico, e poi unite da sforzi violenti per consentire alle realtà locali di modellare l’assetto finale di una regione bloccata dall’ascesa del potere sovietico.

L’allontanamento avvertito oggi da molti ucraini da tutto ciò che è russo può essere ricondotto al fallito tentativo di formare una nascente nazione ucraina nel caotico seguito della Prima guerra mondiale e al crollo sia della Russia zarista che dell’impero austro-ungarico – tutto prima della il consolidamento del potere sia polacco che bolscevico.

La breve ascesa e caduta di uno stato ucraino, 1918-1921

La Repubblica popolare ucraina, guidata dal nazionalista Symon Petliura, proclamò la sua indipendenza dalla Russia nel gennaio 1918. Lo fece appoggiando l’esercito tedesco, che occupò la repubblica dopo che le potenze centrali, guidate dalla Germania, firmarono il trattato di Brest-Litovsk con l’Ucraina nel febbraio 1918. (La Russia e le potenze centrali firmarono un trattato separato di Brest-Litovsk nel marzo 1918).

Gli occupanti militari tedeschi sciolsero quindi la Repubblica popolare ucraina socialista nell’aprile 1918, sostituendola con lo Stato ucraino, noto anche come Secondo Etmanato. (Il Primo Etmanato era uno stato cosacco ucraino che esisteva nella regione di Zaporizhian dal 1648 al 1764).

Ma lo Stato ucraino sopravvisse solo fino al dicembre 1918, quando le forze fedeli alla deposta Repubblica popolare ucraina, guidate da Petliura, rovesciarono il Secondo Etmanato e ripresero il controllo sull’Ucraina.

Durante questo periodo le dimensioni fisiche della Repubblica popolare ucraina erano in costante cambiamento. Nel breve primo mandato della Repubblica popolare ucraina, due territori rivendicati come ucraini – centrati attorno a Odessa e Kharkov – dichiararono la loro indipendenza dalla Repubblica popolare ucraina, e invece scelsero di unirsi alla Russia [poiché quattro regioni oggi hanno optato in modo simile per unirsi alla Russia].

Nel novembre 1918 una parte dei territori galiziani dell’Impero austro-ungarico a maggioranza ucraina dichiarò la propria indipendenza, si organizzò come Repubblica dell’Ucraina occidentale e nel gennaio 1919 si fuse con la Repubblica popolare ucraina.

Ma al momento della sua creazione, la Repubblica dell’Ucraina occidentale si trovò in guerra con la Polonia recentemente indipendente e, in seguito alla fusione tra la Repubblica dell’Ucraina occidentale e la Repubblica popolare ucraina, la guerra si trasformò in un conflitto generale tra Polonia e Ucraina.

Uno dei principali campi di battaglia di questo conflitto fu il territorio galiziano occidentale della Volinia. Fu qui che le truppe ucraine iniziarono il massacro di migliaia di ebrei, di cui Petliura fu incolpato.

Fine della Repubblica Ucraina

La guerra polacco-ucraina terminò nel dicembre 1919 con la sconfitta della Repubblica popolare ucraina. Uno dei motivi principali di questa sconfitta fu l’ascesa del potere sovietico quando la guerra civile russa raggiunse le sue violente conclusioni nei territori confinanti con la Repubblica popolare ucraina, consentendo alla vittoriosa Armata Rossa di rivolgere la sua attenzione al consolidamento dell’autorità bolscevica sul territorio dell’Ucraina.

Ciò portò a un trattato di pace tra la Repubblica popolare ucraina e la Polonia che vide i territori dell’ex Repubblica ucraina occidentale ceduti alla Polonia in cambio dell’assistenza polacca contro i bolscevichi.

L’alleanza tra la Polonia e la Repubblica popolare ucraina, conclusa nell’aprile 1919, portò all’offensiva polacca contro l’Unione Sovietica che si concluse con la presa di Kiev da parte delle truppe polacche nel maggio 1919. Un contrattacco sovietico a giugno portò l’Armata Rossa alle porte di Varsavia, per poi essere respinta in agosto dalle forze polacche, che iniziarono ad avanzare verso est finché i sovietici non chiesero la pace, nell’ottobre 1920.

Mentre vari sforzi per porre fine al conflitto polacco-sovietico erano stati mediati sulla base di una delimitazione del territorio conosciuta come la linea Curzon, dal nome del Lord britannico che per primo la propose nel 1919, la demarcazione definitiva del confine fu negoziata attraverso il Trattato di Riga, firmato nel marzo 1921, che pose formalmente fine alla guerra polacco-sovietica.

La cosiddetta “Linea Riga” prevedeva che la Polonia assumesse il controllo di grandi quantità di territorio ben ad est della Linea Curzon, provocando un risentimento di lunga data da parte delle autorità sovietiche.

Il Trattato di Riga ha imposto i confini a una regione senza riguardo alla composizione etnica delle persone che vi vivevano, portando a un mescolamento di popolazioni intrinsecamente ostili l’una verso l’altra.

La fine della Repubblica dell’Ucraina occidentale, nel 1919, portò la leadership politica di quell’entità alla diaspora in Europa, dove fecero pressione sui governi europei affinché riconoscessero lo status indipendente della nazione dell’Ucraina occidentale.

Ascesa di Bandera

Questa diaspora lavorò a stretto contatto con i nazionalisti ucraini disamorati che si ritrovarono sotto il governo polacco all’indomani della guerra polacco-sovietica. Tra questi nazionalisti ucraini c’era Stepan Bandera, un seguace di Symon Petliura (assassinato in esilio a Parigi nel 1926 dall’anarchico ebreo Sholom Schwartzbard che disse che stava vendicando la morte di 50.000 ebrei. Schwartzbard fu assolto).

Bandera divenne leader del movimento nazionalista ucraino negli anni ’30, alleandosi infine con la Germania nazista in seguito alla spartizione della Polonia tra Germania e Unione Sovietica nel 1939, che correva all’incirca lungo la linea di demarcazione Curzon.

Bandera fu la forza trainante delle forze nazionaliste ucraine che operarono a fianco delle forze di occupazione tedesche dopo l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica nel giugno 1941. Queste forze parteciparono al massacro degli ebrei a Lvov e Kiev (Babyn Yar) e al massacro dei polacchi in Volinia nel 1943-44.

Quando l’Unione Sovietica e gli alleati occidentali sconfissero la Germania, la linea Curzon fu utilizzata per delimitare il confine tra Polonia e Ucraina sovietica, ponendo i territori ucraini occidentali sotto il controllo sovietico.

Bandera e centinaia di migliaia di nazionalisti ucraini occidentali fuggirono in Germania nel 1944, davanti all’avanzata dell’Armata Rossa. Bandera continuò a mantenere i contatti con decine di migliaia di combattenti nazionalisti ucraini rimasti indietro, coordinando le loro azioni come parte di una campagna di resistenza gestita da Reinhard Gehlen, un ufficiale dell’intelligence tedesca che gestiva Foreign Armies East, lo sforzo di intelligence tedesco contro l’Unione Sovietica.

Dopo la resa della Germania nazista, nel maggio 1945, Gehlen e la sua organizzazione Foreign Armies East furono subordinati all’intelligence dell’esercito americano, dove fu riorganizzato in quella che divenne la BND, o organizzazione di intelligence della Germania occidentale.

La Guerra Fredda iniziò nel 1947, in seguito all’annuncio da parte del presidente degli Stati Uniti Harry Truman della cosiddetta Dottrina Truman, che aspirava a fermare l’espansione dell’espansione geopolitica sovietica.

Nello stesso anno, la CIA appena creata assunse la gestione dell’organizzazione Gehlen. Dal 1945 al 1954, l’organizzazione Gehlen, per volere dell’intelligence statunitense e britannica, collaborò con Bandera e la sua Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN) per dirigere gli sforzi dei combattenti banderisti rimasti sul territorio sovietico.

Hanno combattuto in un conflitto che ha causato la morte di decine di migliaia di soldati dell’Armata Rossa sovietica e del personale di sicurezza, insieme a centinaia di migliaia di civili ucraini e dell’OUN. La CIA continuò a finanziare l’OUN in diaspora fino al 1990.

Collegamento con i giorni nostri

Nel 1991, il primo anno dell’indipendenza dell’Ucraina, fu formato il partito neofascista Social National Party, poi partito Svoboda , che fa risalire la sua provenienza direttamente a Bandera. Aveva una strada intitolata a Bandera a Liviv e ha cercato di intitolare l’aeroporto della città in suo onore.

Nel 2010, il presidente ucraino filo-occidentale Viktor Yushchenko dichiarò Bandera un eroe dell’Ucraina, uno status annullato dal presidente ucraino Viktor Yanukovich, che è stato successivamente rovesciato.

In Ucraina sono stati eretti più di 50 monumenti, busti e musei commemorativi di Bandera, due terzi dei quali sono stati costruiti a partire dal 2005, anno dell’elezione del filoamericano Yuschenko.

Al momento del rovesciamento dell’eletto Yanukovich nel 2014, i media aziendali occidentali riferirono del ruolo essenziale svolto dai discendenti di Petliura e Bandera nel colpo di stato.

Come riportato dal New York Times , il gruppo neonazista Right Sector ha avuto un ruolo chiave nella violenta cacciata di Yanukovich. Il ruolo dei gruppi neofascisti nella rivolta e la sua influenza sulla società ucraina furono ben riportati dai principali media dell’epoca.

La BBC , il  NYT,  il  Daily Telegraph  e  la CNN hanno tutti riferito del ruolo di Right Sector, C14 e di altri estremisti nel rovesciamento di Yanukovich.

Pertanto, il nazionalismo ucraino di oggi traccia un collegamento diretto con la storia dei nazionalisti estremisti a partire dal periodo successivo alla Prima guerra mondiale.

Dove inizia la storia?

Quasi ogni discussione sulle radici storiche dell’odierno conflitto russo-ucraino inizia con la spartizione della Polonia nel 1939 e la successiva demarcazione avvenuta alla fine della Seconda Guerra Mondiale, consolidata dall’avvento della Guerra Fredda.

Tuttavia, chiunque cerchi una soluzione al conflitto russo-ucraino che sia radicata nelle politiche post-Guerra Fredda si scontrerà con le realtà della storia che precedono la Guerra Fredda e che continuano a manifestarsi ai giorni nostri reincarnandosi ancora in questioni irrisolte.

Hanno tutti un precedente che risale al periodo tumultuoso tra il 1918 e il 1921.

La realtà è che il crollo degli imperi zarista e austro-ungarico ha avuto un’influenza molto maggiore sulla storia dell’Ucraina moderna rispetto al crollo dell’Unione Sovietica.

La storia, a quanto pare, non finirà mai. È una follia pensarlo, poiché coloro che abbracciano tale concetto semplicemente prolungano e promuovono gli incubi del passato, che perseguiteranno per sempre coloro che vivono nel presente.

da qui

 

 

Pace. Le occasioni (volutamente) perdute – Toni Muzzioli

“Il Fatto” ha di recente dato un altro importante contributo alla decostruzione della narrazione tossica con cui la megamacchina (dis)informativa Usa-NATO-Ue sta trattando la guerra russo-ucraina da ormai un anno e mezzo. [1] Non che abbia scoperto qualche fatto o notizia, intendiamoci, ha fatto un’altra cosa, in questo momento altrettanto importante: ha richiamato l’attenzione su una dichiarazione pubblica (e tuttavia accuratamente nascosta dalla totalità dei media) di Jens Stoltenberg, quello ‘spilungone norvegese con l’aria da essiccatore di aringhe’ (secondo un’immagine mirabolante del presidente della Regione Campania De Luca – e con il massimo rispetto per i suddetti essiccatori) che purtroppo però di mestiere fa il segretario generale della NATO e dunque ha in mano anche il destino di tutti noi.

Ebbene, Stoltenberg, durante una audizione alla Commissione Affari esteri del Parlamento europeo, la stessa in cui con involontaria comicità proclamava che la controffensiva ucraina sta avanzando gloriosamente al ritmo di… «100 metri al giorno», si è lasciato scappare che il 15 dicembre 2021 Mosca inviò alla nato una bozza di trattativa [2]. Naturalmente, ha subito precisato che la Russia proponeva cose «irricevibili», una sorta di disarmo di tutti i membri della Nato ex Urss (dunque i Baltici) e cose del genere; ma è evidente che si trattava di una riapertura in extremis della disponibilità alla trattativa da parte di Mosca, interessata in verità, allora come sempre, al capitolo ucraino: evitare l’ingresso del paese nella Nato e aprire un confronto serio sugli armamenti occidentali da dislocarvi (no a missili di gittata sufficiente a minacciare Mosca), nonché la cessazione del trattamento ostile e discriminatorio delle regioni russofone (oggetto dei due cicli di trattative Minsk 1 e 2). Nel documento presentato dai russi, da loro peraltro considerato esplicitamente una bozza (ciò che viene riconosciuto dallo stesso Stoltenberg), si chiedeva:

«Gli stati Uniti s’impegnano a escludere qualsiasi ulteriore espansione verso Est della Nato e a rifiutare l’ammissione all’Alleanza degli stati che facevano parte dell’Unione Sovietica; gli Usa non stabiliranno basi militari sul territorio degli stati già membri dell’Urss che non sono della Nato [cioè Ucraina e Georgia – NdR] né useranno le loro infrastrutture per qualsiasi attività militare né svilupperanno con essi una cooperazione militare bilaterale».

Immediata (16 dicembre) la risposta della Nato che per bocca di Stoltenberg rilasciò a seguente dichiarazione, con il fido Zelensky accanto: «La Russia cambi il suo comportamento provocatorio. Noi non scenderemo mai a compromessi sul rispetto della sovranità territoriale dell’Ucraina». Una risposta, meglio: una porta in faccia, inequivocabile.

***

Dunque, scopriamo ora che nel 2021 si perse una ultima, straordinaria occasione per sistemare l’intera questione della sicurezza reciproca tra Russia e paesi Nato, e per scongiurare quel conflitto che nell’aria cominciava da mesi a percepirsi.

La notizia è tanto più interessante se si pensa che nel giugno 2021 la situazione diplomatica si era già fortemente deteriorata, a seguito anche delle dichiarazioni uscite dal Summit dei paesi nato tenutosi a Bruxelles il 14 giugno 2021. Nel comunicato finale, al punto 69, si poteva infatti leggere quanto segue:

«We reiterate the decision made at the 2008 Bucharest Summit that Ukraine will become a member of the Alliance with the Membership Action Plan (MAP) as an integral part of the process; we reaffirm all elements of that decision, as well as subsequent decisions, including that each partner will be judged on its own merits.  We stand firm in our support for Ukraine’s right to decide its own future and foreign policy course free from outside interference.  The Annual National Programmes under the NATO-Ukraine Commission (NUC) remain the mechanism by which Ukraine takes forward the reforms pertaining to its aspiration for NATO membership.  Ukraine should make full use of all instruments available under the NUC to reach its objective of implementing NATO principles and standards»[3]

Una dichiarazione che, come se nulla fosse, ribadiva che per gli Usa (e per i suoi vassalli di conseguenza) non era cambiato nulla dal 2008, quando avevano cercato di far entrare Ucraina e Georgia nella Nato, venendo però fermati da Germania, Francia e Italia, al tempo ancora abitate da un po’ di intelligenza politica (e qui un pensiero grato a Romano Prodi può pure starci…).

Nell’agosto 2021, gli Usa passano ai fatti e firmano con l’Ucraina uno Schema di difesa bilaterale (U.S. Ukraine Strategic Defense Framework), così, tanto per rendere già operante nei fatti il futuro ingresso nella Nato [4].

Non basta. A novembre viene firmata dai ministri degli esteri dei due paesi un altro documento che sancisce la strategic partnership tra i due paesi [5].

Insieme a questi atti di tipo diplomatico c’era poi, da anni, una crescente attività militare a base di costanti forniture militari e continue esercitazioni congiunte (bilaterali) di esercito ucraino e eserciti Nato (nel 2021 se ne contano quaranta!).

Ebbene, anche dopo queste inequivocabili dichiarazioni d’intenti (e anche atti concreti) da parte Usa-Nato – apprendiamo oggi da Stoltenberg – Mosca fa un tentativo di riapertura delle trattative, ancora a fine 2021. Rispedito al mittente.

***

È forse proprio in questo momento, nelle ultime settimane del 2021, che la leadership russa si convince definitivamente della necessità di dare voce alle armi, o – se vogliamo dirla così – che Putin cessa di resistere alla spinta dei “falchi” che certo da tempo lo pressavano per intervenire (quella del Putin estremista e avventurista è una delle fandonie più clamorose tra le tante che ci vengono ammannite!). Lette a posteriori, suonano definitive, in tal senso, le parole dell’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, in un articolo apparso sul sito di “Foreign Policy” (la data è importante) il 30 dicembre 2021:

«Tutto ha un limite. Se i nostri partner [scil.: Usa e paesi Nato] continueranno a costruire realtà strategico-militari che mettono a repentaglio l’esistenza del nostro paese, saremo costretti a creare vulnerabilità analoghe per loro. Siamo arrivati a un punto in cui non ci sono margini per un passo indietro». [6]

Ma anche dopo lo scoppio della guerra – lo abbiamo visto – lo spiraglio per una sistemazione diplomatica tra marzo e aprile 2022 si era aperto, e le parti erano giunte a un preliminare d’accordo molto convincente, infine impedito dall’intervento occidentale sulla parte ucraina. Sotto forma di visita-lampo a Kiev di Boris Johnson, che non era un personaggio di uno sketch dei Monty Python ma – se vi ricordate – addirittura il primo ministro della Gran Bretagna. Pare che sia stato lui, certo per conto di Biden, a recare a Zelensky il contrordine, che conteneva con ogni probabilità un messaggio di questo genere: «Ma che, siete matti? La trattativa? Ma secondo voi vi stiamo dando tutto ’sto ben di Dio per la vostra bella faccia? Avete voluto il sostegno militare? E adesso fate la guerra finché ve lo diciamo noi!». Eccetera.

È solo da quel momento che di trattative non si è più parlato, e la voce è passata solo ed esclusivamente alle armi. Resta la intensa ma piuttosto solitaria attività del cardinale Zuppi per conto del Vaticano, sostenuta certo dalle preghiere e dalle speranze di tante persone in tutto il mondo, ma – come diceva Stalin – da nessuna… divisione corazzata.

A un anno e mezzo dal suo inizio, comunque, si fa sempre più chiaro che quella in corso era la più evitabile tra le guerre evitabili. Il problema è che non la si voleva evitare.

NOTE

[1] Salvatore Cannavò, “La Russia nel ’21 voleva trattare, la Nato no”, “Il Fatto”, 8 settembre 2023, p. 10-11.

[2] L’audizione è avvenuta il 7 settembre scorso: https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/ucraina-stoltenberg-controffensiva-guadagna-100-metri-giorno/AFEi3Cm Che il riferimento alla bozza di accordo inviata dai russi sia stata un po’ una gaffe lo ha notato l’economista Jeffrey Sachs, voce autorevole dello schieramento pacifista statunitense (Jeffrey D. Sachs, La Nato dà ragione al bellicista Putin, “il Fatto”, 22 settembre 2023, p. 17).

[3] «Ribadiamo la decisione presa al summit Nato di Bucarest 2008 che l’ucraina diventerà membro dell’alleanza con il Membership Action Plan come parte integrante del processo; riaffermiamo tutti gli elementi di quella decisione, come di quelle successive, incluso il fatto che ogni membro deve essere giudicato dai suoi meriti. Manteniamo fermo il nostro sostegno al diritto dell’Ucraina di decidere il suo futuro e l’orientamento della sua politica estera, al di fuori di ogni interferenza straniera. Gli Annual National Programmes sotto la guida della NUC – Nato-Ukraine Commission restano il meccanismo con il quale l’Ucraina si muove verso le riforme necessarie per l’appartenenza alla Nato. L’Ucraina dovrà fare uso di tutti gli strumenti disponibili dalla Nato-Ukraine Commission per conseguire il suo scopo di applicare i principi e gli standard richiesti dalla Nato» (Brussels Summit Communiqué, 14 Jun. 2021, https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_185000.htm ).

[4] Cfr. U.S. Ukraine Strategic Defense Framework, August 31, 2021, https://media.defense.gov/2021/Aug/31/2002844632/-1/-1/0/US-UKRAINE-STRATEGIC-DEFENSE-FRAMEWORK.PDF . Si tratta di un accordo sottoscritto tra i due ministri della difesa.

[5] Il testo viene reso pubblico da un comunicato stampa del Dipartimento di Stato: U.S. – Ukraine Charter on Strategic Partnership, November 10 2021, https://www.state.gov/u-s-ukraine-charter-on-strategic-partnership/ . Su tutto questo si veda anche Benjamin Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, prefazione di Luciano Canfora, Roma, Fazi Editore, 2023, p. 23-29.

[6] Cfr. Anatoly Antonov, An Existential Threat to Europe’s Security Architecture?, “Foreign Policy”, december 30, 2021, https://foreignpolicy.com/2021/12/30/russia-ukraine-nato-threat-security/ . Cito da: Benjamin Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, cit., p. 28-29.

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“È stata la Nato”: e lo dice la Nato – Benjamin Abelow

Esistono due narrazioni contrastanti sulle origini della guerra d’Ucraina. Secondo una narrazione, Vladimir Putin è un aggressore di stampo hitleriano. Vuole ristabilire l’impero sovietico inghiottendo l’Ucraina e minacciando i Paesi baltici, la Polonia e le nazioni più a ovest. Questa narrazione è stata creata da Washington e Bruxelles.

È stata ripetuta dai leader europei e riecheggiata all’infinito dai media. Se accettate questa narrazione, sarete lodati come umanitari, cittadini virtuosi dell’Europa, dell’Occidente e del mondo. L’altra narrazione afferma che Putin ha invaso l’Ucraina perché ha percepito una minaccia da parte dell’Occidente, in particolare dalla progressiva militarizzazione dell’Ucraina. Questa narrazione è stata sottaciuta dai governi occidentali e derisa dai media. Se si dice che “è stata la Nato”, si viene definiti “tirapiedi del Cremlino” o “burattini di Putin”. A meno che non siate il capo della Nato.

All’inizio del mese scorso, parlando alla Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo, il Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg ha commentato la recente adesione della Finlandia all’Alleanza. Ha colto l’occasione per prendere in giro Vladimir Putin. Nel farlo, ha commesso quella che l’economista della Columbia University Jeffrey Sachs ha definito una “gaffe di Washington”. Ciò significa che “ha accidentalmente detto la verità”. Secondo Stoltenberg, “Il Presidente Putin ha dichiarato nell’autunno del 2021, e in realtà ha inviato una bozza di trattato che voleva che la Nato firmasse, di non promettere più alcun allargamento della Nato … Naturalmente, non l’abbiamo firmato. … Voleva che firmassimo quella promessa, di non allargare mai la Nato. … Abbiamo rifiutato. Così è entrato in guerra per impedire che la Nato, ancora più Nato, si avvicinasse ai suoi confini. Ha ottenuto l’esatto contrario”.

I commenti di Stoltenberg sono stati scioccanti per la loro onestà, ma nessuno avrebbe dovuto sorprendersi nel sentire che Putin “è entrato in guerra per impedire che la Nato, ancora più Nato, si avvicinasse ai suoi confini”.

A partire dagli anni ’90, diplomatici e studiosi di spicco avevano previsto un disastro se la Nato si fosse espansa verso la Russia. Tre ex ambasciatori statunitensi a Mosca – George Kennan (che sviluppò la strategia di “contenimento” dell’Urss), William Burns (attuale direttore della Cia) e Jack Matlock Jr (che contribuì a negoziare la fine della Guerra Fredda) – misero tutti in guardia contro l’espansione della Nato.

Anche importanti “falchi” si sono opposti all’espansione della Nato. Tra questi, Paul Nitze, autore di un documento segreto, noto come NSC 68, che ha guidato la politica militare degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda, e Richard Pipes, un professore di Harvard, convinto anticomunista. Nel 1997, in una lettera aperta, 40 tra i più esperti diplomatici, militari e studiosi degli Stati Uniti affermarono che l’espansione della Nato sarebbe stata il peggior disastro di politica estera dell’intero periodo post-Guerra Fredda.

Nel 2008, pochi mesi prima che la Nato offrisse una “porta aperta” all’Ucraina e alla Georgia, l’ambasciatore Burns scrisse quanto segue in una e-mail riservata al Segretario di Stato e ad altri alti funzionari: “L’ingresso dell’Ucraina nella Nato è la più luminosa di tutte le linee rosse per l’élite russa (non solo per Putin)”. Più tardi, nel 2008, il National Intelligence Council degli Stati Uniti ha concluso che, offrendo l’adesione all’Ucraina, la Nato aveva creato un rischio reale che la Russia potesse annettere la Crimea e invadere la stessa Ucraina. Nel 2014, l’eminente politologo dell’Università di Chicago John Mearsheimer ha pubblicamente previsto che se la politica degli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina non fosse cambiata, la Russia avrebbe “distrutto” l’Ucraina piuttosto che lasciarla diventare un baluardo militare occidentale al confine con la Russia. Quindi, nessuno avrebbe dovuto sorprendersi di ciò che Stoltenberg si è lasciato sfuggire. L’attuale guerra non solo sta distruggendo l’Ucraina, ma sta creando un rischio reale e crescente di guerra nucleare. Questa affermazione non è propaganda russa. Si basa su un nuovo rapporto della Rand Corporation, un think-tank finanziato dalle forze armate statunitensi – quanto di più lontano dalla propaganda russa si possa immaginare. In un testo in grassetto, il rapporto Rand afferma: “Un’ulteriore escalation deliberata, compresa quella nucleare russa, è altamente plausibile”. Tale uso nucleare “potrebbe essere sorprendentemente esteso”. Se Mosca dovesse usare le armi nucleari, “questo potrebbe essere addirittura senza limiti”, possibilmente con l’utilizzo di testate strategiche.

Di fronte a prove schiaccianti sul pericolo dell’espansione della Nato, come mai le preoccupazioni occidentali su di essa sono state definite propaganda russa? In realtà non è successo. Piuttosto, noi occidentali siamo stati vittime di quella che studiosi come Noam Chomsky hanno definito la “fabbrica del consenso”. Nelle democrazie, le élites non possono attuare i loro obiettivi con un colpo di mano autoritario. Al contrario, usano il loro enorme potere per manipolare l’opinione pubblica, creando un consenso artificiale a sostegno delle politiche scelte. Troppo spesso queste politiche sono incredibilmente pericolose, crudeli e incompetenti. Secondo uno studio della Brown University, le guerre degli Stati Uniti dall’attacco alle Torri gemelle del 2001 hanno causato la morte di oltre tre milioni di persone.

C’è solo una soluzione al disastro in corso in Ucraina. Non è una buona soluzione, ma è la migliore disponibile: fare immediatamente pressione per un cessate il fuoco, seguito da una soluzione negoziata. E dobbiamo guardare in faccia la realtà. L’Ucraina non sarà integra. Saranno persi dei territori e i morti di entrambe le parti non saranno risuscitati. I 50.000 ucraini che hanno subito amputazioni non recupereranno i loro arti. Gli innumerevoli giovani russi bruciati vivi nei carri armati non torneranno dalle loro mogli, figli e genitori. Ma almeno questa terribile guerra finirà prima che le cose peggiorino per tutti o finiscano completamente fuori controllo.

Putin non doveva entrare in guerra. Ma è stato messo con le spalle al muro dalle élites di Washington e Bruxelles. Nel caso di una situazione invertita, ad esempio se la Russia o la Cina avessero cercato di circondare gli Stati Uniti con basi militari e avessero provato a lanciare missili proprio al confine americano, come ha fatto la Nato in Estonia nel 2020 e 2021, anche Washington sarebbe entrata in guerra. Quindi, no, Putin non è un pazzo paranoico. Per quanto si possa contrastare, detestare e rimpiangere l’orribile guerra che ha scatenato, bisogna anche riconoscere che Putin ha fatto esattamente quello che avrebbero fatto gli Stati Uniti nella sua situazione. Anche la maggior parte degli altri Paesi avrebbe fatto lo stesso, ammesso che avessero una potenza militare sufficiente. Nonostante i commenti di Stoltenberg, le élites della politica estera di Washington e dell’Ue sembrano psicologicamente incapaci di riconoscere la verità. Invece di ammettere i propri errori e di assumersi la responsabilità del disastro che hanno creato, questi leader giocano al rialzo, insistendo ancora di più sulla stessa narrazione. Questo è ciò che ha fatto di recente il Presidente Biden alle Nazioni Unite. Spetta quindi ai popoli europei, agli Stati Uniti e alla Maggioranza Globale – e a quei leader dotati di intelligenza, integrità e indipendenza mentale – prendere il timone e chiedere la fine di questa guerra ora.

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Guerra: perché le parole di Mattarella sono gravi – Raniero La Valle

Le parole di Mattarella a Porto segnano un passaggio spaventoso nella lettura occidentale della guerra in Ucraina. Tale lettura, partendo dall’ipotesi che il conflitto non si concluda con un processo, cioè con un negoziato che conduca a una pace giusta, sostiene che “se l’Ucraina cadesse assisteremmo a una deriva di aggressioni ad altri Paesi ai confini della Russia e questo – come avvenne nel secolo scorso tra il ‘38 e il ‘39 – condurrebbe a un conflitto generale e devastante”.

Questa proiezione nel futuro, se fosse solo di Mattarella, sarebbe sì una previsione catastrofica ma non realistica; tuttavia Mattarella non è un uomo qualunque occidentale, bensì il rappresentante costituzionale di un grande Paese come l’Italia. E se questa visione fosse anche di altri più potenti capi dell’Occidente, o addirittura della destra neoconservatrice americana a cui si è associato Joe Biden, le scelte politiche che ne conseguirebbero sarebbero di una inaudita e micidiale gravità.

Il paragone con gli inizi della seconda guerra mondiale riporta al movente dell’aggressione tedesca, che era ufficialmente, come ne testimoniava il “Mein Kampf”, l’estrema versione della cultura occidentale che dalla “scoperta” dell’America in poi aveva teorizzato la superiorità etnica dei popoli bianchi europei sugli Indios e i popoli di colore, idea espressamente perdurata fino ad Hegel e a Croce, e perfino giunta al dizionario francese Larousse.

Nel nazismo questa concezione giunse, come si sa con orrore, , fino al giudizio sugli Ebrei e altri popoli e ceti inferiori. La guerra che ne scaturì non poteva che essere totale; sia pure tardivamente anche l’America reagì, fino al punto da suggellare la disfatta della Germania e del Giappone con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Ne conseguì l’idea che l’atomica dovesse essere detenuta solo dall’America, come sentinella e arbitra del dopoguerra, tanto che i coniugi Rosenberg, accusati di averne trasmesso i segreti alla Russia, furono condannati a morte e giustiziati.

I paragoni storici non sono innocui. Assimilare l’attuale capitalismo nazionale e multipolare della Russia al nazismo della Germania hitleriana, prospetta all’Occidente un’alternativa assoluta, dalle conseguenze inimmaginabili. Essa consisterebbe nell’avverarsi di una interpretazione letterale della Bibbia, nel suo ultimo libro, l’Apocalisse, che secondo la stessa Commissione biblica vaticana corrisponde a un “suicidio del pensiero”: un suicidio che può diventare anche un suicidio del mondo.

Un’ipotesi del genere non è però meno verosimile di quella che attribuisce alla Russia un progetto di invasione dell’Europa. Sta scritta infatti nei due documenti dell’ottobre scorso della Casa Bianca e del Pentagono sulla “sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. Essi dicono che, liquidata la Russia, di cui ormai è data per scontata “l’incapacità militare”, la sfida finale, “culminante”, la “pacing challenge” sarà con la Cina; e questo sì che sarebbe un conflitto generale e devastante.

Non resta che sperare che né l’una né l’altra ipotesi si avveri. Il rischio è però che la sconfitta dell’Ucraina, se non si va al negoziato, in quanto sconfitta delle armi dell’Occidente e dei dollari americani, sia interpretata, e non senza fondamento, come una sconfitta dello stesso Occidente, cosa che nel ‘38-‘39 non fu giustamente accettata. Ma nel ‘38-‘39 l’arma nucleare ancora non c’era, la guerra non era perciò ancora andata “fuori della ragione”, come doveva dire più tardi Giovanni XXIII.

Perciò, se la speranza non deve essere un’alienazione, bisogna ricorrere alla politica, e le frazioni più ragionevoli dell’Occidente dovrebbero portare Zelensky e i suoi generali, ucraini e atlantici, al tavolo delle trattative, per stipulare finalmente un compromesso territoriale, politico e di sicurezza con la Russia, abbandonando, gli uni e gli altri, le micidiali evocazioni del nazismo.

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OLTRE LA DEBACLE NEOCONSERVATRICE VERSO LA PACE IN UCRAINA – Jeffrey D. Sachs

Stiamo entrando nella fase finale della debacle trentennale dei neoconservatori americani in Ucraina. Il piano neoconservatore di circondare la Russia nella regione del Mar Nero da parte della NATO è fallito. Le decisioni attuali degli Stati Uniti e della Russia avranno un’enorme importanza per la pace, la sicurezza e il benessere del mondo intero.

Quattro eventi hanno infranto le speranze dei neoconservatori per l’allargamento della NATO verso est, verso l’Ucraina, la Georgia e oltre. Il primo è semplice. L’Ucraina è stata devastata sul campo di battaglia, con perdite tragiche e spaventose. La Russia sta vincendo la guerra di logoramento, un risultato prevedibile fin dall’inizio ma che i neoconservatori e i media mainstream negano fino ad oggi.

Il secondo è il crollo del sostegno in Europa alla strategia neoconservatrice statunitense. La Polonia non parla più con l’Ucraina. L’Ungheria si oppone da tempo ai neoconservatori. La Slovacchia ha eletto un governo anti-neoconservatore. I leader dell’UE (Macron, Meloni, Sanchez, Scholz, Sunak e altri) hanno un tasso di disapprovazione molto più alto di quello di approvazione.

Il terzo è il taglio del sostegno finanziario statunitense all’Ucraina. La base del Partito Repubblicano, diversi candidati presidenziali repubblicani e un numero crescente di membri repubblicani del Congresso si oppongono a maggiori spese per l’Ucraina. Nel disegno di legge tampone per mantenere in piedi il governo, i repubblicani hanno tolto nuovo sostegno finanziario all’Ucraina. La Casa Bianca ha chiesto una nuova legislazione sugli aiuti, ma la battaglia sarà dura.

Il quarto, e il più urgente dal punto di vista dell’Ucraina, è la probabilità di un’offensiva russa. Le vittime dell’Ucraina sono centinaia di migliaia e l’Ucraina ha bruciato la sua artiglieria, le difese aeree, i carri armati e altre armi pesanti. È probabile che la Russia segua con una massiccia offensiva.

I neoconservatori hanno creato disastri totali in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia e ora in Ucraina. Il sistema politico statunitense non ha ancora chiamato in causa i neoconservatori, dal momento che la politica estera viene portata avanti finora con scarso controllo pubblico o del Congresso. I media mainstream si sono schierati con gli slogan dei neoconservatori.

L’Ucraina è a rischio di collasso economico, demografico e militare. Cosa dovrebbe fare il governo degli Stati Uniti per affrontare questo potenziale disastro?

Urgentemente, dovrebbe cambiare rotta. La Gran Bretagna consiglia agli Stati Uniti di intensificare le misure, poiché la Gran Bretagna è bloccata nelle fantasticherie imperiali del 19° secolo. I neoconservatori americani sono ancorati alla spavalderia imperiale. Le teste più fredde devono urgentemente prevalere.

Il presidente Joe Biden dovrebbe informare immediatamente il presidente Vladimir Putin che gli Stati Uniti porranno fine all’allargamento della NATO verso est se gli Stati Uniti e la Russia raggiungeranno un nuovo accordo sulle disposizioni di sicurezza. Mettendo fine all’espansione della NATO, gli Stati Uniti possono ancora salvare l’Ucraina dalle debacle politiche degli ultimi 30 anni.

Biden dovrebbe accettare di negoziare un accordo di sicurezza simile, anche se non nei dettagli, a quello proposto dal presidente Putin il 17 dicembre 2021 . Biden ha stupidamente rifiutato di negoziare con Putin nel dicembre 2021. È ora di negoziare adesso.

Ci sono quattro chiavi per un accordo. In primo luogo, come parte di un accordo globale, Biden dovrebbe concordare sul fatto che la NATO non si allargherà verso est, ma non invertirà il precedente allargamento della NATO. La NATO ovviamente non tollererebbe l’invasione russa negli Stati NATO esistenti. Sia la Russia che gli Stati Uniti si impegnerebbero a evitare provocazioni vicino ai confini russi, incluso il posizionamento provocatorio di missili, esercitazioni militari e simili.

In secondo luogo, il nuovo accordo di sicurezza tra Stati Uniti e Russia dovrebbe coprire le armi nucleari. Il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal Trattato sui missili antibalistici nel 2002, seguito dal posizionamento dei missili Aegis in Polonia e Romania, ha gravemente infiammato le tensioni, che sono state ulteriormente esacerbate dal ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo sulla forza nucleare intermedia (INF) nel 2019 e La sospensione da parte della Russia del Trattato New Start nel 2023. I leader russi hanno ripetutamente indicato i missili statunitensi vicini alla Russia, non vincolati dal Trattato ABM abbandonato, come una terribile minaccia alla sicurezza nazionale della Russia.

In terzo luogo, Russia e Ucraina si accorderebbero su nuovi confini, in cui la Crimea, a maggioranza etnica russa, e i distretti a forte etnia russa dell’Ucraina orientale rimarrebbero parte della Russia. I cambiamenti dei confini sarebbero accompagnati da garanzie di sicurezza per l’Ucraina sostenute all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e da altri stati come Germania, Turchia e India.

In quarto luogo, come parte di un accordo, Stati Uniti, Russia e UE ristabilirebbero le relazioni commerciali, finanziarie, di scambio culturale e turistico. È sicuramente giunto il momento di ascoltare Rachmaninoff e Čajkovskij nelle sale da concerto americane ed europee.

I cambiamenti alle frontiere rappresentano l’ultima risorsa e dovrebbero essere posti sotto gli auspici del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Non devono mai costituire un invito a ulteriori richieste territoriali, come ad esempio da parte della Russia nei confronti dei russi di etnia russa in altri paesi. Eppure i confini cambiano, e gli Stati Uniti hanno recentemente sostenuto due cambiamenti di confine. La NATO ha bombardato la Serbia per 47 giorni fino a quando non ha ceduto la regione a maggioranza albanese del Kosovo. Nel 2008 gli Stati Uniti hanno riconosciuto il Kosovo come nazione sovrana. Allo stesso modo gli Stati Uniti hanno sostenuto l’insurrezione del Sud Sudan per staccarsi dal Sudan.

Se la Russia, l’Ucraina o gli Stati Uniti successivamente violassero il nuovo accordo, si metterebbero a sfidare il resto del mondo. Come osservò JFK, “si può essere certi che anche le nazioni più ostili accetteranno e rispetteranno gli obblighi derivanti dal trattato, e solo quegli obblighi derivanti dal trattato, che sono nel loro stesso interesse”.

I neoconservatori statunitensi hanno gran parte della colpa per aver indebolito i confini dell’Ucraina del 1991. La Russia non ha rivendicato la Crimea fino a dopo il rovesciamento del presidente ucraino Viktor Yanukovich, sostenuto dagli Stati Uniti, nel 2014. La Russia non ha nemmeno annesso il Donbas dopo il 2014, chiedendo invece all’Ucraina di onorare l’accordo di Minsk II sostenuto dalle Nazioni Unite, basato sull’autonomia del Donbas. I neoconservatori hanno preferito armare l’Ucraina per riconquistare il Donbass con la forza piuttosto che concedere l’autonomia del Donbass.

La chiave a lungo termine per la pace in Europa è la sicurezza collettiva, come richiesto dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Secondo gli accordi dell’OSCE , gli Stati membri dell’OSCE “non rafforzeranno la propria sicurezza a scapito della sicurezza di altri Stati”. L’unilateralismo neoconservatore ha minato la sicurezza collettiva dell’Europa spingendo l’allargamento della NATO senza tener conto di terzi, in particolare della Russia. L’Europa – compresa l’UE, la Russia e l’Ucraina – ha bisogno di più OSCE e di meno unilateralismo neoconservatore come chiave per una pace duratura in Europa.

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Andrea Zhok – Il dato demografico dell’Ucraina di oggi e le vostre campagne h24 di menzogne guerrafondaie

Nel 1991, alla dichiarazione d’indipendenza, lo stato ucraino contava su 51 milioni di cittadini. Nel 2014, con il colpo di stato di Maidan la popolazione era di 44 milioni di abitanti. Oggi, ottobre 2023, l’Ucraina conta 23,7 milioni di abitanti. Quelli che mancano all’appello sono per la maggior parte rifugiati o emigrati volontariamente all’estero, cui si aggiungono – secondo le stime più aggiornate – intorno ai 300.000 morti in guerra (il che vuol dire almeno un milione di feriti gravi e mutilati).

Le infrastrutture, la produzione agricola e gli apparati industriali ucraini sono devastati.

L’intero sistema statale sopravvive soltanto grazie alla costante iniezione a perdere di capitali occidentali.

Di fronte a questo quadro ricordo le surreali discussioni dei primi giorni e settimane di guerra.

Ricordo uno scambio di battute avuto su La7 in un Talk Show con un ambasciatore e con il conduttore del medesimo.

L’ambasciatore (o ex ambasciatore, non ricordo), alle raccomandazioni di cercare il più rapidamente possibile la strada di una tregua e della trattativa rispondeva testualmente che era “troppo presto”, che bisognava lasciar fare agli eserciti.

Il conduttore, alla sollecitazione a prendere sul serio la piattaforma di proposte russe (ripristino accordi di Minsk, neutralità ucraina senza ingresso nella Nato, statuto amministrativo speciale delle regioni russofone all’interno dello stato ucraino) rispondeva stizzito che uno stato sovrano aveva il diritto di decidere se entrare o meno nella Nato.

Ora, senza neanche provare ad entrare nelle contraddizioni, nelle bugie, nei doppiopesismi, una sola cosa mi chiedo. Mi chiedo se tutta questa gente che dall’inizio ha soffiato in tutti i modi sul fuoco del conflitto, adducendo come giustificazione la necessità umanitaria di “aiutare gli ucraini” ha riflettuto per un minuto sulle proprie responsabilità.

Poche settimane prima del 24 febbraio 2022, e di nuovo alcune settimane dopo l’inizio del conflitto ci furono tornate di trattative per ottenere una risoluzione politica del contenzioso; in entrambi i casi il rifiuto venne da parte americana (non ucraina, americana a nome dell’ucraina).

Quello che non posso non chiedermi è se questa gente ha mai messo a confronto mentalmente cosa sarebbe stata l’Ucraina se quegli accordi fossero stati firmati con quello che è oggi.

Da un lato avremmo avuto un paese neutrale, capace di commerciare in tutte le direzioni a est e ovest, con le province a maggioranza russa dotate di uno statuto simile a quello del nostro Trentino.

Dall’altro lato abbiamo un cumulo di macerie svuotato della popolazione più giovane e attiva.

E in mezzo le vostre campagne h24 di menzogne guerrafondaie.

Ecco, ora per piacere, diteci di nuovo che lo avete fatto per l’inderogabile dovere umanitario di aiutare la popolazione ucraina; diteci che l’Europa si è svenata e ha compromesso il proprio futuro industriale, per il bene superiore dell’autonomia ucraina.

Spiegateci una volta di più come voi eravate dalla parte del bene e dell’umanità, e tutti gli altri erano abietti putiniani.

*Post Facebook del 3 ottobre 2023

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Lettera aperta all’equipaggio del panfilo russo Sailing Yacht A, sequestrato nel Porto franco internazionale di Trieste, città Neutrale

 

Egregi marinai,

 

crediamo sia triste far parte dell’equipaggio nel panfilo a vela più grande del mondo, in una giornata come questa, quando vi trovate avvolti da tantissime “sailing boats” impegnate nella regata più grande del Mediterraneo mentre siete costretti a rimanere fermi, a bordo, per il sequestro imposto dal governo italiano, a causa delle sanzioni. Riteniamo questo fatto grave, innanzitutto per motivi culturali; si pensi agli innumerevoli boicottaggi effettuati verso l’arte e lo sport russi nell’ultimo anno e mezzo.

 

Ma anche per una questione politico diplomatica. Il Porto franco internazionale di Trieste prevede il diritto di accesso per tutti gli Stati, come stabilisce l’Allegato VIII nel Trattato di Pace di Parigi: “le navi mercantili e da carico di tutti i Paesi vi potranno accedere senza restrizioni”.

 

A prescindere dalle valutazioni sul conflitto in corso in Ucraina, che coinvolge la Russia ma anche l’Italia, quale Paese fornitore di armi in contravvenzione con la legge 185/90 e la Costituzione, il sequestro della nave Sailing Yacht A vìola anche altri obblighi relativi al Trattato di Pace del 1947.

 

La città e l’intero Golfo che comprende anche la costa Slovena e Croata, sono tutelati da uno status di Disarmo e Neutralità di cui è responsabile il Consiglio di Sicurezza, a tutela delle peculiari prerogative del Porto Franco Internazionale (riconosciute dall’Unione europea) e a risarcimento morale delle sofferenze patite in queste terre durante tutto il Novecento.

 

La realtà di Trieste, del Porto Franco e dello status di Disarmo e Neutralità, la sua posizione al centro d’Europa – sul Mediterraneo – nel punto d’incontro fra i mondi slavo tedesco e latino ne fanno il luogo ideale per mediare la Pace, di cui tutti abbiamo bisogno.

 

Con l’augurio di potervi venire a trovare a bordo del Sailing Yacht A per condividere queste parole di persona e consegnarvi lettera e volantino della Barcolana “alternativa”, che stiamo distribuendo oggi vi salutiamo cordialmente e vi preghiamo di estendere il nostro messaggio anche alla proprietà del vascello.

 

Per Tavola Pace Friuli Venezia Giulia, Alessandro Capuzzo

 

 

 

Un nuovo soggetto politico alle elezioni europee, per la Pace. Intervista a Raniero La Valle

Intervista di Andrea Vitello

Il 26 settembre a Empoli, ho assistito alla presentazione dell’ultimo libro di Raniero La Valle, intitolato “LEVIATANI, DOV’E’ LA VITTORIA?” edito da EMI. In seguito ho preso i contatti dell’autore per intervistarlo dopo l’assemblea di sabato 30 settembre a Roma, da lui promossa insieme a Michele Santoro, per lanciare un nuovo soggetto politico in vista delle elezioni europee. Qui l’intervista.

Alcuni mesi fa partì una raccolta firme per proporre un referendum, legittimo, contro l’invio delle armi in Ucraina, che purtroppo non verrà fatto a causa della mancanza di firme. In questi giorni invece è stata presentata la volontà di fare una lista per le elezioni europee, che abbia la Pace in Ucraina come obiettivo principale. Da dove nasce questa idea? Si tratta di un processo nato fin dalla raccolta firme per il referendum?

Si tratta di una cosa autonoma rispetto al referendum, i tempi coincidono ma sono due cose slegate e diverse. In merito alla prima domanda, ci tengo a specificare che non si tratta di una lista, bensì di un’iniziativa politica per creare un soggetto politico che assuma la pace come elemento cardine di qualsiasi politica per qualsiasi partito. La pace è un bene comune non soltanto auspicabile, ma realizzabile sia rispetto a specifiche guerre in corso come quella in Ucraina, sia rispetto a un ordine mondiale diverso, dove la pace diventi un’istituzione internazionale e un ordinamento/sistema politico mondiale all’interno del quale gli Stati abbandonino il concetto mitologico della sovranità per realizzare accordi tra loro. Gli sStati devono smettere di vivere in una condizione internazionale determinata e denominata come competizione strategica tra le maggiori potenze del mondo. Cosa che in questo momento stanno facendo gli Stati Uniti di Joe Biden, ma che hanno fatto anche altri presidenti. Infatti spesso nei documenti sulla sicurezza nazionale americana questa viene identificata con il dominio del mondo, quindi da realizzare anche attraverso la competizione militare con le altre potenze.

Questo vostro nuovo soggetto politico si aprirà sia ai partiti che ai movimenti come Ultima Generazione, ma sarà disponibile ad aprirsi verso tutti i partiti  favorevoli alla pace e contrari all’invio delle armi?

Lo scopo di questo nuovo soggetto politico è di contagiare tutto il sistema politico, e non solo quello italiano, ma anche quello europeo; per questo ci presentiamo alle elezioni europee. Noi nel Parlamento Europeo vogliamo criticare l’attuale linea politica dell’Europa, per portarla a ricongiungersi ai suoi ideali fondativi, che non erano quelli di partecipare o fomentare le guerre ma di unire i popoli per un altro ordine mondiale. Quindi vogliamo avere un rapporto e vogliamo dialogare con tutte le forze politiche, sia associative che di partiti, perché tutti assumano, almeno gradualmente, questo obbiettivo politico di una pace da costruire sia nel diritto che nella politica, che nell’ordine internazionale.

Questo nuovo soggetto politico potrà presentarsi in futuro alle elezioni amministrative, regionali e alle politiche nazionali?

Si tratta di una domanda prematura, perché l’obiettivo principale è la pace e per il momento la scadenza è quella delle elezioni europee. Dopo queste elezioni, si dovrà discutere la misura dell’impegno politico e vedremo cosa succederà.

All’assemblea, oltre lei e Michele Santoro che eravate i promotori, erano presenti molti personaggi noti, come Massimo Cacciari, Ginevra Bompiani e Luigi De Magistris. Questi si candideranno? E lei e Santoro, vi candiderete per trainare il nuovo soggetto politico, o farete solo i garanti come Beppe Grillo con il Movimento 5 Stelle?

Si tratta di una domanda prematura. Nel mio caso specifico, vista la mia età, la domanda è quasi astratta, mentre per quanto riguarda Michele Santoro naturalmente non posso parlare a suo nome. La questione non è di candidare delle persone al Parlamento Europeo, ma di attivare una forte iniziativa politica al fine di essere presenti nella campagna elettorale per cercare di contrastare le spinte guerrafondaie presenti in molte forze politiche sia italiane che europee.

Lei a Empoli, presentando il suo ultimo libro, ha parlato del bisogno di più paci citando tra gli altri i conflitti in Africa e nello Yemen ben poco raccontati dai mass media. Per ottenere queste paci tuttavia bisognerebbe disimparare l’arte della guerra come scrive nel sottotitolo del suo libro. Cosa dovrebbe fare quindi la società italiana ed europea per disimparare l’arte della guerra e diventare un argine contro tutti i conflitti che scoppiano nel mondo?

L’idea che il problema non sia solo la pace nel mondo, ma le paci nel mondo, è un idea molto feconda, perché fino ad oggi la pace è stata molte volte soltanto un ideale astratto o puramente invocato, ma non veramente servito. Il problema oggi è di cercare di uscire da tutte le crisi violente nel mondo, che non sono solo legate alla guerra e ai militari: basti pensare all’immigrazione o all’oppressione della personalità e dell’identità delle persone. Infatti nel nostro soggetto politico, il terzo grande bene comune, da difendere e realizzare, è la dignità umana e quella di tutte le creature.

Per quanto concerne invece il disimparare la guerra, il primo punto è quello di smontare l’idea della guerra come un fatto connaturale alla stessa identità umana, perché si tratta di una teoria che domina la cultura mondiale da millenni. La guerra non appartiene alla natura e all’antropologia dell’umano, ma è un artificio che si impara; infatti anche ai soldati ucraini tramite le esercitazioni è stato insegnato come fare la guerra e come utilizzare specifiche armi. Quindi se la guerra è un artificio che si impara si può anche disimparare e, visto che l’abbiamo imparata troppo bene, inventando anche le bombe nucleari, è importante che la disimpariamo imparando invece l’arte della pace.

Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, si è sentito sempre più spesso parlare nei vari dibattiti della necessità di creare un grande esercito dell’Unione Europea, anche se questo sarebbe in contrapposizione a un ideale di pace. Lei cosa pensa di tale questione?

L’esercito europeo non solo non è una priorità, ma è un’aberrazione, perché vuol dire concepire una comunità politica come imperfetta se non ha un’armata e se non fa la guerra. Si tratta di un vecchio concetto del Leviatano degli Stati e della sovranità, che non è una vera sovranità se non arriva a disporre del diritto alla guerra. Gli Stati moderni si sono formati in questo modo, ma è un’aberrazione pensare che l’Europa politica unita debba assumere il modello degli Stati che si combattono l’uno contro l’altro. L’idea stessa dell’Unione Europea si basa su principi ispiratori completamente diversi e quindi non deve assumere il modello dello Stato armato come modello della propria unità e della propria funzione politica. L’opposizione alla costruzione di un esercito europeo sarebbe una delle priorità del nostro soggetto politico. L’obiettivo è costruire un’Europa in grado di promuovere un altro ordine del mondo basato sulla pace.

da qui

 

 

 

Una risata vi seppellirà’.

 

( di domenico stimolo)

 

La guerra e’ l’ atto più’ infame e tragico che riguarda gli Esseri Umani.

 

Bande plurali, che comandano le divise, inneggianti alla morte, mutilazioni e distruzioni, hanno sempre brindato all’ assassinio plurale e allo smembramento del corpo altrui ( ….una vera delizia per gli appassionati), il cosiddetto ” nemico “per come normalmente viene appellato colui che ha le stesse sembianze umane.

Poi, pero’, nel lungo stillicidio millenario, avviene che la ” fantasia” mortifera vince e stravince.

Il rimedio e’ il famoso e osannato detto andato in voga mentre si “spegneva” l’ ottocento (…il secolo), vero farmaco-miracolo per le ” teste pensanti”:

UNA RISATA VI SEPPELLIRÀ’.

 

Certo, viviamo in una fase fortemente tecnologica e informatica, pero’ scappa una solenne risata quando si leggono notizie ufficiali che conteggiano le morti somministrate agli Altrui….proprio al millesimo.

Dunque si legge oggi ( 4 ottobre) che lo “stato maggiore ucraino “ ha ufficialmente comunicato che ad ora, dall’inizio della guerra, sono rimasti uccisi 279.890 soldati russi .

Non viene prevista nessuna tolleranza, in eccesso o in difetto, come avviene in tutte le vicende che riguardano le attività’ umane .

Precisione…alla tedesca, si direbbe a primo acchito, dati i corsi e i trascorsi storici, però, sarebbe un’offesa all’umana intelligenza. Lasciamo perdere, e pur con l’insegnamento di ieri, guardiamo all’oggi.

 

NO! Questi Lor Signori spaccano il capello in quattro, gli uccisi nemici sono proprio 279.890.

Perbacco, ma come fanno a tenere un conto con siffatta precisione!

Non uno in più, non uno in meno. Urca.

 

Stupefacente! Ma a quale “diavoleria” metafisica si affidano nel far di conto?

 

Poiché’ non siamo piu’ nel vecchio West americano, quando ad ogni nemico ucciso si faceva una tacca sul calcio del fucile, bisogna necessariamente supporre che questi Lor Signori , in maniera ovviamente segreta (….si fa.. ..ma non si dice) hanno inventato qualche supercazzola super tecnologica, super misteriosa che permette di ” invadere” il corpo di tutti i nemici, vicini e lontani, ….forse qualche ” cimice” super specialistica, che in tempo reale invia comunicazione agli “addetti ai lavori” che il corpo in oggetto non ha piu’ temperatura corporea, poiché’ e’ stato freddato, e quindi si può catalogare tra i trapassati?

 

Incredibile, ma alla fantascienza ( da tavolino) non si può’ mettere bavaglio.

Stupisce ancora di più’ che gli organi di informazione nostrani, senza porre dubbi, domande o quant’ altro di raziocinante determinato  dal cervello umano, propagano ” freddamente” queste notizie.

 

Tanto  il “popolo” beve, inghiotte tutto roboticamente, ormai, tranne piccole minoranze e’ stato addestrato per essere così. Inghiotte tutto….con goduria psicologica.

 

Si, pero’……” Una risata vi seppellirà’!

 

p.s. notizia letta il 4 ottobre

 

*Lo dice Putin

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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