Mark Twain e John Pilger
di Francesco Masala
Mark Twain aveva una pessima e giustificata opinione sui giornalisti
“L’opinione pubblica di una nazione è creata da un’orda di sempliciotti ignoranti e compiaciuti che hanno fallito come sterratori e calzolai, e che hanno intrapreso il giornalismo lungo il loro cammino verso l’ospizio per poveri”
” Così divenni un giornalista. Ho odiato farlo ma non ero riuscito a trovare un lavoro onesto”
“Il giornalista è colui che distingue il vero dal falso… e pubblica il falso”
Ancora oggi non si può non essere d’accordo con lui, e giornalisti come John Pilger sono una straordinaria eccezione.
Ecco un articolo che racconta le cose come stanno, e dopo averlo letto capisci bene le parole di Horacio Verbitsky: “Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia, il resto è propaganda”.
Gaza e la minaccia di una guerra mondiale – John Pilger
“C’è un tabù” ha detto il visionario Edward Said “sul dire la verità circa la Palestina e la grande e distruttiva forza che sta dietro ad Israele. Solo quando questa verità salterà fuori potremo essere liberi”.
Per molte persone, la verità ora è venuta a galla. O almeno, sanno. Quelli cui un tempo era intimato il silenzio ora non possono più voltare lo sguardo. Si trovano di fronte sulle loro TV, sui loro laptop, telefonini, la prova della barbarie di Israele e la grande forza distruttiva del suo mentore, gli Stati Uniti, la codardia dei governi europei e la collusione di altri, come quello canadese e quello australiano, in questo aberrante crimine.
L’attacco su Gaza è stato un attacco a tutti noi. L’assedio di Gaza un assedio a tutti noi. Il rifiuto di rendere giustizia ai Palestinesi è un sintomo che gran parte dell’umanità è sotto un giogo e un avvertimento che la minaccia di una nuova guerra mondiale cresce di giorno in giorno.
Quando Nelson Mandela ha definito la situazione palestinese “la più grande questione morale del nostro tempo”, ha parlato in nome di una vera civilizzazione, non di quella inventata dagli imperi. In America Latina, i governi di Brasile, Cile, Venezuela, Bolivia, El Salvador, Peru ed Ecuador hanno preso la parte di Gaza. Tutti quei paesi si sono resi conto del loro silenzio nero quando l’immunità agli omicidi di massa è stata sponsorizzata a Washington dallo stesso padrino che aveva risposto ai pianti dei bambini di Gaza inviando più munizioni per ucciderli.
A differenza di Netanyahu e dei suoi sicari, i bambolotti fascisti di Washington in America Latina non si preoccupavano delle apparenze morali. Uccidevano semplicemente, lasciando i cadaveri a pile nelle discariche. Per il Sionismo, l’obiettivo è lo stesso: l’espropriazione ed infine la totale distruzione di un’intera società umana: una verità che 225 sopravvissuti all’olocausto e i loro discendenti hanno paragonato all‘inizio di un genocidio.
Nulla è cambiato dall’infame “Piano D” dei Sionisti che nel 1948 ha fatto pulizia etnica di un’intera popolazione. Recentemente su sito del Times of Israel si leggevano le parole “Il genocidio è ammissibile”. Un portavoce del Knesset, il parlamento israeliano, Moshe Feiglin, richiede una deportazione di massa nei campi di concentramento. Una parlamentare, Ayelet Shaked, il cui partito è membro della coalizione di governo, invoca lo sterminio delle madri palestinesi per prevenire che diano alla luce quelli che definisce “piccoli serpenti”.
Per anni i reporter hanno guardato soldati israeliani infastidire bambini palestinesi stuzzicandoli con i megafoni. Poi li uccidevano. Per anni, i reporter hanno saputo di donne palestinesi prossime a partorire, alle quali veniva negata la possibilità di passare un posto di blocco verso un ospedale: il bambino moriva, a volte anche la madre.
Per anni i reporter hanno saputo dei dottori e degli equipaggi delle ambulanze palestinesi ai quali veniva permesso di soccorrere i feriti e rimuovere i morti, per poi venire uccisi con un colpo in testa.
Per anni i reporter hanno saputo di persone allo stremo a cui veniva impedito di ricevere trattamenti sanitari, o che venivano uccisi mentre cercavano di raggiungere cliniche dove essere sottoposti a chemioterapia. Una vecchietta con un bastone da passeggio è stata uccisa così – con un proiettile nella schiena.
Quando ho riportato il fatto a Dori Gold, un senior adviser del primo ministro israeliano, ha detto “sfortunatamente in ogni situazione di guerra ci sono casi di civili uccisi accidentalmente. Ma questo non è un caso di terrorismo. Terrorismo è mettere il fuoco incrociato dei cecchini sui civili deliberatamente”.
Ho risposto “è esattamente quanto è accaduto”.
“No” ha risposto “non è successo”.
Queste bugie e mistificazioni sono continuamente ripetute dagli apologeti israeliani. Come l’ex reporter del New York Times Chris Hedges ha messo in evidenza, il racconto di una simile atrocità termina sempre con “coinvolto nel fuoco incrociato”. Fino a quando mi sono occupato del Medio Oriente, la maggior parte, se non tutti i media occidentali, aderivano a questa versione.
In uno dei miei film, un operatore palestinese, Imad Ghanem, giace senza possibilità di scampo mentre soldati del “più morale esercito del mondo” lo gambizzano. A questa atrocità sono state dedicate due righe sul sito della BBC. Tredici giornalisti sono stati uccisi da Israele nell’ultimo bagno di sangue a Gaza. Tutti erano Palestinesi. Chi sa i loro nomi?
Ora qualcosa è cambiato. C’è una fortissima repulsione nel mondo e le voci del liberalismo sensibile sono spaventate. Il loro torcersi le mani e il loro coro di “colpa da dividersi” e “Israele ha il diritto di difendersi” non sono più una scusa, nemmeno l’appendersi all’antisemitismo. Nemmeno il loro pianto a comando del “qualcosa deve essere fatto” contro i fanatici islamici ma non contro i fanatici sionisti.
Una sensibile voce liberale, il romanziere Ian McEwan, veniva giudicato un saggio dal Guardian mentre i bambini di Gaza venivano fatti a pezzi. È lo stesso Ian McEwan che ha ignorato le richieste dei Palestinesi affinchè non accettasse il Jerusalem Prize per la letteratura. “Se andassi solo in paesi che approvo, probabilmente non uscirei mai dal letto” ha commentato.
Se potessero parlare, i morti di Gaza direbbero: stai a letto, grande romanziere, perché la tua presenza riempie il letto di razzismo, apartheid, pulizia etnica e omicidio – non importano le belle parole che hai pronunciato mentre ricevevi il tuo premio.
Capire i sofismi e il pensiero della propaganda liberale è la chiave per comprendere il perché i soprusi di Israele continuano, perché il mondo osserva, perché Israele non subisce alcuna sanzione e perché un boicottaggio di tutto ciò che è israeliano ora sarebbe l’unica misura di decenza umana.
La propaganda più incessante dice che Hamas ha come obiettivo la distruzione di Israele. Khaled Hroub, il professore dell’università di Cambridge considerato un’autorità a livello mondiale su Hamas, dice che questa frase “non è mai stata usata da Hamas, nemmeno nei proclami più radicali”. La spesso citata Carta del 1988 “anti-ebraica” era opera di “una sola persona e era stata resa pubblica senza il consenso di Hamas… l’autore era uno della ‘vecchia guardia’” il documento è trattato come fonte di imbarazzo e non viene mai citato.
Hamas ha ripetutamente offerto una tregua decennale ad Israele e ha per molto spinto verso una soluzione tra i due stati. Quando Medea Benjamin, l’attivista ebrea statunitense, era a Gaza, aveva portato una lettera dei leader di Hamas al Presidente Obama, la quale palesava come il governo di Gaza volesse la pace con Israele. Fu ignorata. Sono personalmente a conoscenza di molte lettere di quel tipo consegnate in buona fede, ignorate o buttate via.
L’imperdonabile crimine di Hamas è una distinzione mai messa in evidenza: è l’unico governo arabo il quale è stato liberamente e democraticamente eletto dalla propria gente. Ancora peggio, ha formato un governo di unità insieme all’Autorità Palestinese. Un’unica e risoluta voce palestinese – nell’Assemblea Generale, nel Consiglio per i Diritti Umani e nella Corte per i Crimini Internazionali – è la minaccia più temuta.
Dal 2002, una pioneristica unit sui media all’università di Glasgow ha condotto notevoli studi sulla propaganda e il giornalismo in Israele e Palestina. Il professor Greg Philo e i suoi colleghi sono rimasti shockati nello scoprire una totale ignoranza diffusa dalle notizie in TV. Più la gente guarda, meno capisce. Greg Philo sostiene che il problema non sia un “errore”. I giornalisti e i produttori sono toccati come chiunque altro dalle sofferenze dei Palestinesi, ma la struttura di potere dei media è così potente – come estensione degli stati e dei loro interessi – che fatti storici e contesto storico sono continuamente rimossi.
Incredibilmente, meno del 9% dei giovani intervistati dal team del professor Philo erano a conoscenza che era Israele ad occupare e che i coloni illegali erano quelli ebrei, molti credevano fossero Palestinesi. Il termine “territori occupati” non era quasi mai spiegato. Parole come “omicidio”, “atrocità”, “assassinio a sangue freddo” venivano usate solo per descrivere le morti di Israeliani.
Di recente un reporter della BBC, David Loyn, ha criticato un altro giornalista britannico, Jon Snow di Channel 4 News. Snow è stato così commosso da quanto aveva visto a Gaza da fare un appello umanitario su Youtube. Ciò che aveva preoccupato l’uomo della BBC era cheSnow aveva violato il protocollo, essendo emotivo nel suo video.
“L’emozione” ha scritto Loyn “è roba da propaganda e il giornalismo è contro la propaganda”. L’avrà scritto con una faccia seria? Infatti il discorso di Snow era calmo. Il suo crimine era di essere uscito dal recinto di una finta imparzialità. Imperdonabilmente, non si era autocensurato.
Nel 1937, con Hitler al potere, Geoffrey Dawson, editore del Times a Londra, aveva scritto nel suo diario: “passo le notti a tirar fuori qualsiasi cosa possa urtare la suscettibilità dei Tedeschi e a buttar dentro qualsiasi cosa possa dar loro sollievo”.
Il 30 di Luglio, la BBC ha offerto un esempio lampante del Principio di Dawson. Il diplomatico corrispondente del programma Newsnight, Mark Urban, ha dato cinque motivazioni del perché il Medio Oriente è in subbuglio. Nessuna di esse includeva il ruolo storico od attuale del governo britannico. Il governo di Cameron colpevole di? 8 miliardi per armi ed equipaggiamenti militari ad Israele cancellati. Invii massicci di armi all’Arabia Saudita cancellati. Il ruolo britannico nella distruzione della Libia cancellato. Il supporto britannico alla tirannia in Egitto cancellato.
Così come l’invasione britannica di Iraq e Afghanistan, non sono successe.
L’unico esperto in questo programma della BBC era un accademico di nome Toby Dodge della London School of Economics. Quello che la gente deve sapere è che Dodge era un consigliere di David Petraeus, il generale statunitense responsabile dei disastri in Iraq e Afghanistan. Ma anche questo è stato omesso.
Parlando di guerra e pace, l’illusione di imparzialità e credibilità BBC-style fa più per limitare e controllare il pubblico delle distorsioni dei tabloid. Come Greg Philo ha messo in evidenza, il video di Jon Snow si limitava solo a giudicare se l’assalto israeliano a Gaza fosse proporzionato o ragionevole. La parte mancante – che poi è quasi sempre mancante – era l’essenziale verità della più lunga occupazione militare dell’epoca moderna: un’impresa criminale supportata dai governi occidentali da Washington a Londra a Canberra.
Come per il mito che il “vulnerabile” ed “isolato” Israele sia accerchiato da nemici, Israele è ora circondato da alleati strategici. L’Autorità Palestinese, finanziata, armata e controllata dagli USA, è stata collusa a lungo con Tel Aviv. Le tirannie in Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrain e Qatar stanno spalla a spalla con Netanyahu – se la coppa del mondo si farà davvero in Qatar state sicuri che della sicurezza di occuperà il Mossad.
La resistenza è l’atto più coraggioso e nobile dell’umanità. La resistenza a Gaza è paragonabile alla rivolta degli ebrei nel 1943 nel ghetto di Varsavia – i quali avevano a loro volta scavato tunnel e messo in atto tattiche di attacco e fuga contro una schiacciante macchina militare. L’ultimo leader sopravvissuto della rivolta di Varsavia, Marek Edelman, scrisse una lettera di solidarietà alla resistenza palestinese, paragonandola agli ZOB, i suoi combattenti del ghetto. La lettera inziava così: “Comandanti dell’esercito palestinese, paramilitare e operazioni partigiane – e a tutti i soldati [della Palestina].”
Il dottor Mads Gilbert è un medico norvegese conosciuto per il suo eroico lavoro a Gaza. L’8 agosto è tornato nella sua città natale, Tronso in Norvegia, la quale, come lui ha fatto notare, era stata occupata dai nazisti per 7 anni. Ha detto “immaginate di tornare al 1945 e che noi in Norvegia non avessimo vinto la guerra di liberazione, non avessimo scacciato gli occupanti. Immaginatevi gli occupanti ancora nel nostro paese, prendendoselo pezzo a pezzo, per decenni e decenni, bandendoci nelle aree più disagiate, prendendo il pesce dai nostri mari e l’acqua da sotto di noi, poi bombardando i nostri ospedali, le nostre ambulanze, le scuole, le nostre case.
Ci saremmo arresi ed avremmo alzato bandiera bianca? No, non l’avremmo fatto! Questa è la situazione a Gaza. Non è una battaglia tra terrorismo e democrazia. Hamas non è il nemico che Israele sta combattendo. Israele sta portando avanti una guerra contro la volontà di resistere dei Palestinesi. È la dignità del popolo palestinese che non possono sopportare.
Nel 1938 i nazisti chiamavano gli ebrei Untermenschen – sub-uomini. Oggi i Palestinesi sono trattati come esseri sub-umani che possono essere fatti a pezzi senza alcun potere di reazione.
Son tornato in Norvegia, una nazione libera, e questa nazione è libera perché c’è stato un movimento di resistenza, perché le nazioni occupate hanno il diritto di resistere, anche con le armi – è stabilito nella legge internazionale. La resistenza del popolo palestinese a Gaza è ammirevole: una sofferenza per tutti noi”.
Ci sono pericoli nel dire questa verità, nel rompere quello che Edward Said ha definito “L’ultimo tabù”. Il mio documentario La Palestina è ancora la questione, è stato candidato per una Bafta, un British Academy Award e celebrato dalla Commissione per la Televisione Indipendente per la sua “integrità giornalistica” e per la “cura e accuratezza con cui è stato realizzato”. Alcuni minuti del film messi in onda su ITV Network hanno scatenato l’inferno – una pioggia di email mi descrivevano come un “pazzo indemoniato”, un “propugnatore dell’odio e del male”, “un antisemita della peggior specie”. Molto di ciò è stato orchestrato dai sionisti negli USA i quali non potevano nemmeno aver visto il film. Ho ricevuto minacce di morte al ritmo di una al giorno.
Qualcosa di simile è successo all’opinionista australiano Mike Carlton il mese scorso. Nella sua solita colonna nel Sidney Morning Herald, Carlton ha scritto un meraviglioso articolo su Israele e Palestina, identificando oppressori e vittime. È stato attento a limitare il suo attacco a “un nuovo e brutale Israele dominato dalla linea dura del partito di destra Likud di Netanyahu”. Quelli che governavano lo stato sionista in precedenza, diceva in modo implicito, appartenevano a “una fiera tradizione liberale”.
Su invito, è iniziato il diluvio. È stato definito “una ammasso di liquame nazista, un razzista odiatore di ebrei”. È stato ripetutamente minacciato e ha risposto ai suoi detrattori di “andare affanculo”.
L’Herald ha preteso le sue scuse. Quando si è rifiutato, è stato sospeso, poi ha rassegnato le sue dimissioni. Secondo l’editore dell’Herald, Sean Aylmer, l’azienda “si aspetta standard più alti dai suoi giornalisti”.
Il problema della pungente e spesso sola voce liberale di Carlton in una nazione in cui Rupert Murdoch controlla il 70% della stampa – l’Australia è la prima murdocrazia al mondo – verrà risolto ben due volte. La Commissione Australiana per i Diritti Umani indagherà alcune lamentele nei confronti di Carlton secondo il Racial Discrimination Act, che mette fuori legge qualsiasi atto pubblico o affermazione che “possibilmente offenda, insulti, umili un’altra persona o un gruppo di persone” sulla base della loro razza, colore o origine nazionale o etnica.
In contrasto con la sicura e silenziosa Australia – dove i Carlton vengono fatti estinguere – il vero giornalismo è vivo a Gaza. Parlo spesso al telefono con Mohammed Omer, uno straordinario giovane giornalista palestinese, al quale ho consegnato nel 2008 il premio Martha Gellhorn per il giornalismo. Ogni volta che ci siamo sentiti durante l’assalto a Gaza, potevo sentire il rumore dei droni, l’esplosione dei missili. Ha interrotto una telefonata per prendersi cura di bambini accalcati fuori in attesa di trasporti in mezzo alle esplosioni. Quando gli ho parlato il 30 giugno, un solo F19 israeliano aveva fatto a pezzi 19 bambini. Il 20 di agosto ha descritto come i droni Israeliani avevano effettivamente accerchiato un villaggio per poterlo distruggere.
Ogni giorno, all’alba, Mohammed cercava famiglie bombardate. Registrava le loro storie, in mezzo alle macerie delle loro abitazioni, gli scattava fotografie. Andava all’ospedale. Andava all’obitorio. Andava al cimitero. Faceva code di ore per il pane per la sua famiglia. E guardava il cielo. Manda due, tre, quattro dispacci al giorno. Questo è giornalismo. “Stanno cercando di annichilirci” mi ha detto “ma più ci bombardano, più diventiamo forti. Non vinceranno mai”. Il grande crimine commesso a Gaza è promemoria di qualcosa di più grande che ci minaccia tutti.
Dal 2001, gli USA e i loro alleati si sono scatenati. In Iraq, almeno 700.000 uomini, donne e bambini sono morti. L’ascesa dei jihadisti – in una nazione dove non ce n’erano – è il risultato. Conosciuto come Al Qaeda e ora come Stato Islamico, il jihadismo moderno è stato inventato da USA e UK, supportati da Pakistan e Arabia Saudita. L’obiettivo originale era usare e sviluppare un fondamentalismo islamico che non era quasi mai esistito nella maggior parte del mondo arabo per minare i movimenti pan-arabi e i governi secolari. Intorno agli anni 80 era un’arma per indebolire l’Unione Sovietica in Afghanistan. La CIA l’aveva chiamata Operazione Ciclone, e un ciclone si è rivelata essere, con la sua furia sguinzagliata contro i suoi stessi creatori. Gli attacchi dell’ 11 settembre e a Londra nel luglio 2005 sono il risultato di questo contraccolpo, così come i recenti e cruenti omicidi dei giornalisti statunitensi James Foley e Steven Sotloff. Per più di un anno, l’amministrazione Obama ha armato gli assassini di questi due giovani – successivamente conosciuti come ISIS in Siria – con l’obiettivo di ribaltare il secolare governo di Damasco.
Il principale “alleato” dell’occidente in questa confusione imperiale è lo stato medievale in cui le decapitazioni sono la routine – l’Arabia Saudita. Ogni volta che un membro della famiglia reale britannica viene mandato in questa nazione barbara, potete scommettere il vostro culo di petroldollari che il governo britannico vuole vendere agli sceicchi più aerei da guerra, missili, manette. La maggior parte dei dirottatori dell’11 settembre erano Sauditi, paese che finanzia i jihadisti dalla Siria all’Iraq.
Perché viviamo in questo stato di guerra continua?
La risposta immediata sta negli USA, dove un colpo di stato segreto e non divulgato è stato messo in atto. Un gruppo conosciuto come Progetto per un Nuovo Secolo Americano, ispirazione di Dick Cheney e altri, è salito al potere con l’amministrazione di George W. Bush. Una volta conosciuti a Washington come “i pazzi”, questa setta di estremisti crede in quello che il Comando Spaziale USA chiama “dominio di pieno spettro”.
Sotto sia Bush sia Obama, una mentalità imperiale da 19simo secolo ha pervaso tutti i dipartimenti dello stato. Il militarismo è in crescita, la diplomazia pura retorica. Nazione e governi sono giudicati come utili o sacrificabili: da corrompere, minacciare o “sanzionare”.
Il 31 luglio il Panel di Difesa Nazionale a Washington ha diffuso un notevole documento che richiamava gli USA a preparasi a combattere sei guerre di primo piano contemporaneamente. In cima alla lista c’erano Russia e Cina – due potenze nucleari.
In un certo senso la guerra alla Russia è già iniziata. Mentre il mondo guardava scandalizzato ad Israele che invadeva Gaza, atrocità simili perpetrate in Ucraina erano notizie marginali. Mentre scrivo, due città ucraine russofone – Donetsk e Luhansk – sono sotto assedio: le loro popolazioni, le loro scuole ed i loro ospedali attaccati da un regime di Kiev salito al potere grazie ad un colpo di stato guidato da neo-nazisti supportati e finanziati dagli USA. Il colpo di stato è l’apice di ciò che l’esperto russo di politica Sergei Glaziev descrive come un ventennale “addestramento dei nazisti ucraini contro la Russia”. Il fascismo sta tornando in Europa e nessun leader l’ha mai attaccato, probabilmente perché la rinascita del fascismo è una verità che si vergogna di se stessa.
Con il suo passato, e presente, fascista, l’Ucraina ora è un parco divertimenti della CIA, una colonia della NATO e del FMI. Il colpo di stato fascista a Kiev in febbraio era l’orgoglio del Segretario di Stato USA Victoria Nuland, il cui “budget colpo di stato” è stato portato a 5 miliardi di dollari. C’è stato un intoppo. Mosca ha prevenuto la conquista delle proprie basi navali legalmente detenute sul Mar Nero nella Crimea russofona. A seguire ci sono stati un referendum e l’annessione. Spacciati in occidente come una “aggressione” del Cremlino, con lo scopo di mistificare la realtà e coprire l’obiettivo finale di Washington: allontanare una Russia “reietta” dai suoi principali partner commerciali europei ed eventualmente fare a pezzi la Federazione Russa. Le basi missilistiche statunitensi già circondano la Russia, l’apparato militare della NATO nelle vecchie repubbliche sovietiche e in Europa dell’est è il più grande dai tempi della seconda guerra mondiale.
Durante la guerra fredda, ciò avrebbe posto il rischio di un olocausto nucleare. Il rischio è tornato dato che la disinformazione anti-russa sta raggiungendo livelli prossimi all’isteria negli USA e in Europa. Il caso da manuale è l’abbattimento di un volo di linea malese in luglio. Senza uno straccio di prova, gli USA e i loro alleati NATO e i rispettivi media hanno incolpato i “separatisti” russi in Ucraina e detto implicitamente che Mosca era in ultimo responsabile. Un editoriale dell’Economist accusava Putin di omicidio di massa. L’articolo di Der Spiegel sfruttava i volti delle vittime e un carattere rosso grassettato, “Stoppt Putin Jetzt!” (Fermate Putin Ora!), nel New York Times, Timothy Garton Ash ha sintetizzato il caso della “dottrina mortifera di Putin” come un abuso personale ad opera di “un uomo basso e tarchiato con la faccia da sorcio”.
Il ruolo del Guardian è stato importante. Famoso per le sue inchieste, il quotidiano non ha fatto alcun tentativo serio di scoprire chi aveva abbattuto l’aereo e perchè, anche se un gran quantitativo di materiale proveniente da fonti credibili mostra che Mosca era shockata come il resto del mondo e che il velivolo poteva essere stato abbattuto dal regime ucraino.
Con la Casa Bianca che non offre prove verificabili – anche se i satelliti USA avrebbero registrato l’abbattimento – il corrispondente a Mosca del Guardian Shaun Walker ha fatto breccia. “La mia chiacchierata con il Demone di Donestk” era l titolo dell’intervista di Walker con tale Igor Brezler. “Con baffi da tricheco, un temperamento fiero e una reputazione di brutalità” ha scritto “Igor Brezler è il più temuto di tutti i leader ribelli nell’Ucraina dell’est… soprannominato il Demone… se il servizio di sicurezza ucraino, l’SBU, è attendibile, il Demone ed un gruppo dei suoi uomini sono responsabili dell’abbattimento del volo Malaysian Airlines MH17… come hanno abbattuto l’MH17, i ribelli hanno fatto lo stesso son 10 velivoli Ucraini”. Il Demone del Giornalismo non ha bisogno di ulteriori prove.
Il Demone del Giornalismo trucca una giunta infarcita di fascisti che ha preso il potere a Kiev come un rispettabile “governo ad interim”. I neonazisti diventano semplici “nazionalisti”. Le “notizie” la cui fonte è la giunta di Kiev garantiscono che non siano menzionati il colpo di stato sostenuto dagli USA e la sistematica pulizia etnica dei russofoni dell’Ucraina dell’est. Che ciò stia accadendo nella terra di confine attraverso la quale i nazisti avevano attaccato la Russia [durante la seconda guerra mondiale NdT], eliminando 22 milioni di vite russe, non è di alcun interesse. Quello che importa è un’“invasione” russa dell’Ucraina, che sembra difficile da provare se non con familiari immagini satellitari che ricordano la presentazione di Colin Powell alle Nazioni Unite, che “provava” che Saddam Hussein era in possesso di armi di distruzione di massa. “Dovete sapere che le accuse di un’invasione massiva dell’Ucraina da parte della Russia sembra non supportata da intelligence attendibili” ha scritto alla Cancelliera tedesca Angela Merkel un gruppo di ex ufficiali dell’intelligence USA, i Veteran Intelligence Professionals for Sanity. “Per di più, le informazioni sembrano essere dubbiose e politicamente ‘aggiustate’ come quelle usate 12 anni fa per giustificare l’attacco guidato dagli USA contro l’Iraq”.
In gergo si dice “controllare la narrativa”. Nel suo seminario Cultura e Imperialismo, Edward Said è stato più esplicito: la macchina dei media occidentali è in grado di entrare profondamente nella coscienza della maggior parte dell’umanità con un “reticolo” influente come le flotte imperialiste del 19simo secolo. Giornalismo da cannoniera, in altre parole. O guerra portata avanti dai media.
In realtà un’informazione pubblica critica e una resistenza alla propaganda esistono e una seconda superpotenza sta emergendo – il potere dell’opinione pubblica, alimentato da internet e dai social media.
La falsa realtà creata dalle false notizie diffuse dai portinai dei media può evitare che alcuni di noi sappiano che questa nuova superpotenza si sta muovendo di nazione in nazione: dalle Americhe all’Europa, dall’Africa all’Asia. È una rivolta morale, esemplificata dagli informatori Edward Snowden, Chelsea Manning e Julian Assange. La domanda sorge spontanea: romperemo il silenzio finchè siamo ancora in tempo?
L’ultima volta che sono stato a Gaza, mentre rientravo al checkpoint israeliano, ho visto due bandiere palestinesi attraverso il filo spinato. Dei bambini avevano costruito delle aste con alcuni bastoni uniti uno all’altro e si erano arrampicati su un muro per mettere tra di loro la bandiera. I bambini fanno questo, mi è stato detto, ovunque ci siano stranieri, per mostrare al mondo che sono lì – vivi, coraggiosi, imbattuti.