Midràsh

di Mark Adin

Yehùda era ladro. Soprattutto era ladro d’amore. Nascondeva la sua natura. Era soggiogato dallo splendore di Yeshùa, dal suo camminare, dal suo magnetizzare le genti, dai suoi lunghi capelli.

I capelli di Yeshùa erano stati massaggiati anche da Maryam, che li aveva unti con un balsamo e accarezzati a lungo, e questo lo aveva fatto impazzire di gelosia. Quelle donne, quelle donne che gli giravano intorno gli parevano tutte uguali, si chiamavano tutte Maryam.

Yehùda, nonostante avesse fama di ladro, era cassiere dei denari comuni, che tutti schifavano perché preferivano il rapimento delle parole di Yeshùa. Non ne rubava e non ne avrebbe rubato, lui rubava soltanto l’amore.

Gli occhi di Yehùda erano solo per Yeshùa. Un turbamento lo scuoteva ogni volta che ne riceveva uno sguardo. Perché Yeshùa sapeva, gli leggeva nel cuore, e gli sorrideva, finendo per sconvolgere Yehùda ancora di più. La sua luce lo confondeva. Seguiva le sue labbra, piene e carnose, che parlavano ai cuori, penetrando nell’animo. Tutti adoravano Yeshùa, Yehùda lo amava.

Yehuda era diverso dagli altri, seguiva il suo istinto, non capiva: “sentiva”. Portava con sé l’urna ricolma di soldi, pesante, come un facchino, con fatica. Forse era solo per questo che gli altri lo tenevano con sé, come bestia da soma.

Una sera aveva preso posto alla mensa, come tutti, e Yeshùa gli si sedette vicino, affondò un pezzo di pane nel piatto che, come suo solito, Yehùda sembrava abbracciare, quasi a proteggerlo, come fanno i cani che mangiano guardinghi e vigilanti. Ma Yeshùa penetrò nel cerchio delle sue braccia e affondò il pane, dolcemente, a fondo, nel suo miserabile piatto. Yehùda fremette, lo percorse una vampa di caldo, ma Yeshùa gli si rivolse con voce chiara, perché tutti sentissero: “Stasera mi tradirai”.

Yehùda non capì, paralizzato dall’imbarazzo provò un dolore infinito. Abbassò il capo e si alzò.

Prese per la strada di Yerushalayim, e si fermò alla taverna. Bevve del vino, molto vino, e si appartò con un soldato di Kaiafa. Dopo essersi miseramente accoppiato, pianse e si disperò. Il soldato gliene chiese   il motivo e Yehùda si confidò. Gli disse del suo amore non ricambiato e nascosto per il suo Yeshùa dai lunghi capelli corvini. Il soldato ascoltò e vide in questa confessione l’occasione per fare qualche soldo, lo accompagnò a forza dal suo comandante, che lo interrogò duramente.

Vistosi perduto, Yehùda parlò, accettando suo malgrado la taglia di trenta denari che Kaiafa pagava per la cattura del ricercato, il terrorista Yeshùa dai capelli che sanno di nardo, sobillatore di genti, e lo costrinse a condurlo da lui.

Yehùda capì solo allora di avere venduto il suo amore, cercò di sviare la guarnigione, ma alla fine li condusse alla macchia, nel luogo chiamato Getsemani, dove Yeshùa sembrava aspettarli.

Yehùda chiese solo una cosa al comandante dei soldati: di poter salutare Yeshùa dai lunghi capelli.

Il comandante pretese in cambio i danari, e Yehùda fu sollevato nel restituirglieli tutti. Il loro peso era ormai insopportabile.

Gli si avvicinò, Yeshùa capì e lo accolse tra le braccia, con tenerezza, e lo strinse a sé. Premette le labbra su quelle di Yehùda e gli diede un bacio sapido e fresco, che sapeva di nardo.

Fu l’unico bacio che Yehùda, in vita sua, non dovette rubare.

Il capo manipolo diede un ordine e lo portarono via, lasciando Yehùda, il ladro, nella disperazione di non più rivederlo.

Il dolore gli fu insostenibile e non volle più vivere. Compì il suo destino.

Post Scriptum:

Non cercate la tristezza in questa narrazione, ma la gioia di veder realizzato un amore.

Redazione
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