Narrator in Fabula – 17

dove Vincent Spasaro incontra Edoardo Rosati (*)

EdoardoRosati

Troverete la firma di Edoardo Rosati, laureato in medicina e giornalista medico-scientifico, in calce ad articoli di «Corriere Salute» o sulle pagine dedicate alla scienza medica di «Oggi».

Ha scritto numerosi libri di saggistica medica per Sonzogno, Rizzoli, Fabbri e Sperling&Kupfer. L’ultimo, «Il cervello immortale», uscito per Sperling & Kupfer, è scritto in collaborazione con il famoso neurochirurgo Sergio Canavero e affronta il tema quasi fantascientifico del trapianto di testa.

Edoardo è anche autore di narrativa medical horror-thriller per Oscar Mondadori e Giallo Mondadori, e scrive storie sanguinolente sia da solo che con il suo fratello di penna Danilo Arona (già passato da queste parti, intendendo «Narrator in fabula»).

Avete bisogno di altri motivi perché io corra a intervistarlo?

Mi piacerebbe conoscere l’infanzia e l’adolescenza di Edoardo. I tuoi luoghi, i tuoi miti giovanili.

«Nato a Pescara nel 1959, mi sono ritrovato presto… “apolide”. Trasferimento della famiglia a Bologna nel 1969 (con un’adolescenza passata praticamente all’ombra dei cineclub storici della città) e poi destinazione finale: Milano, per la professione giornalistica (nel 1987). A Bologna, comunque, già sbarco – quindi all’età di 10 anni – con la passione ben inquadrata per i generi che io e te frequentiamo. Devi sapere che, grazie a mio padre cinefilo, vidi in tv (avevo 7 anni) «Il risveglio del dinosauro», con le magie a passo uno di quel genio che si chiama Ray Harryhausen. Fu amore a prima vista. Per tutto quel mondo fantastico che il film incarnava. Amore che riversai anche sui fumetti, soprattutto quelli, ça va sans dire, a base di supereroi: Superman anzi Nembo Kid, com’era stato battezzato all’epoca l’Uomo d’Acciaio e soprattutto Batman. Proprio lui, l’Uomo Pipistrello, resta ancora oggi un pezzo importante del mio immaginario, soprattutto perché vissi “in prima linea” la batmania esplosa negli anni Sessanta in seguito ai telefilm con Adam West e Burt Ward. Nel 1969, il primissimo film che nella nuova location bolognese chiesi ai miei genitori di andare a vedere fu «2001 – Odissea nello spazio». Uscii dalla sala sconvolto. “Evoluto”, passami il termine, quasi come l’astronauta protagonista David Bowman! La passione per il Fantastico (dalla letteratura al cinema, dai fumetti alla televisione) si decuplicò all’istante con la visione del capolavoro di Stanley Kubrick».

Quando hai iniziato a leggere e ti sei interessato alla letteratura di genere? E quando hai iniziato a scrivere?

«Come ti dicevo, dopo aver contratto irrimediabilmente il “virus”, la “malattia” si è manifestata da subito in tutti gli ambiti… Macinavo film (da «Atom, il mostro della galassia» a «Gli orrori del castello di Norimberga», da «L’abominevole dottor Phibes» a «2022 – I sopravvissuti»). Di pari passo leggevo e “digerivo” testi (Edgar Allan Poe, innanzitutto). In tv non perdevo una puntata di «UFO» di Gerry Anderson. Non mi facevo mancare certe chicche in edicola, come il mitico mensile «Horror» dell’editore Gino Sansoni. Un volume, in particolare, mi è rimasto nel cuore e ha rappresentato per me una specie di “libro di testo”: «Frankenstein & Company», a cura di Ornella Volta e pubblicato da Sugar, un bellissimo compendio dei più celebri mostri letterari trasferiti dalla pagina sul grande schermo. Poi è ovvio che, in questo cronico bagno di stimoli cine-letterari, tra mad doctor ed esperimenti proibiti, la testa e la penna del ragazzino comincino a scalpitare… A 13-14 anni ho cominciato a sfornare i primi raccontini (di genere, ovviamente) e addirittura un serial (che comunque s’è arenato dopo un paio di puntate). Il titolo? «Le mani maledette», sulla falsariga di «The Hands of Orlac». Le timide avvisaglie di quell’altro grande campo d’interesse che è la medicina si stavano facendo sentire».

Edoardo giornalista. Vuoi parlarci della tua carriera e raccontarci qualche aneddoto?

«Insomma, i due filoni – la passione per la scrittura e il successivo amore per la medicina (che in quanto a fantascenari certamente non scherza, come ci ha insegnato Robin Cook) – si sono incontrati e fusi lungo il mio cammino… A Bologna mi laureo in Medicina, ma con il preciso obiettivo di raccontare al grande pubblico news e ricerche del mondo dei camici bianchi. Così nell’aprile 1987 comincio a lavorare come collaboratore per il Corriere Medico, inviando interviste e resoconti dai convegni medici che si svolgevano a Bologna. E a settembre, il mio… “miracolo a Milano”: decidono di assumermi nella redazione di quel giornale. Un anno dopo son passato a far parte del Corriere della Sera, nel nucleo redazionale che ha dato vita all’inserto Corriere Salute. Un aneddoto? Ripenso alla primissima trasferta lavorativa per il Corriere Medico, ad Ancona… C’era una navetta-pullman che accompagnava sia noi giornalisti, sia i medici che partecipavano a questo meeting di oncologia. E gli organizzatori, giusto per rendere immediatamente riconoscibile il nostro bus, avevano scritto su un cartello affisso sul parabrezza, accanto all’autista: «Tumori delle gonadi» (il tema del congresso scientifico). Ti assicuro che quando attraversavamo la città a bordo del mezzo, la gente si toccava… Manco i Cavalieri dell’Apocalisse».

Hai scritto vari saggi sulla medicina e sulle scienze trattando la materia come fosse un romanzo. Com’è nato questo tuo interesse divulgativo e come riesci a rendere un saggio qualcosa di più vicino al romanzo?

«La medicina, come ti raccontavo, è stato l’altro grande amore giovanile. Ma la volontà, da subito, è stata quella di metterla in pratica non tra i muri di un ambulatorio ma sulla carta stampata (di un articolo giornalistico o di un saggio divulgativo). Insomma era la comunicazione medico-scientifica a interessarmi. E su questo terreno mi ha sempre intrigato l’aspetto emotivo del racconto. La scienza medica è un formidabile scrigno di storie. Del resto, quando vai dal medico e ti siedi davanti a lui, non fai altro che… raccontare. Ricordare (è l’«anamnesi» dei dottori, no?). Ogni atto medicale (da una banale ricetta alla decisione di un complesso intervento chirurgico) si fonda su quell’iniziale racconto, personalissimo. Lo stesso cammino della medicina poi è fatto di storie: uomini che osano, scoperte fortuite, traguardi incredibili, guarigioni miracolose… Si tratta di non perdere mai di vista questo mare magnum di emozioni. Cogliere sempre il cuore di tutto ciò, declinarne gli aspetti solari o i lati oscuri è fondamentale per acchiappare chi ti sta leggendo. «Medicina e letteratura non sono così lontane come si crede»: lo afferma Siddhartha Mukherjee, l’oncologo Premio Pulitzer autore del capolavoro L’imperatore del male – Una biografia del cancro».

Sei un autore di medical thriller, un genere molto difficile. Come ti ci applichi?

«L’hai detto, un genere molto difficile: in Italia. È di matrice anglosassone e da noi non esiste una tradizione in merito, radicata e diffusa (ma abbiamo ottimi esempi grazie a Luigi Rainero Fassati – che è anche un chirurgo specializzato nei trapianti –, al neurologo Guglielmo Brayda e alla coppia Andrea Novelli/Gianpaolo Zarini). Io ho prodotto tre romanzi e alcuni racconti. Tutti fondamentalmente accomunati dal fatto che la detection medica si lega a doppio filo con elementi “fanta” e a tratti horror. Eh, i primi amori non si scordano mai! Però con un preciso modus operandi: rendere anche gli inserimenti “fantastici”, diciamo così, assolutamente credibili. Partendo dal presupposto che il soprannaturale di oggi potrebbe diventare la scienza di domani».

Lavori spesso in coppia con il tuo gemello nero, Danilo Arona. Come ti trovi a scrivere con lui? Siete dei Preston&Child dell’orrore o dei King-Straub?

«Buona la prima! Sì, ci piace proporci, lo diciamo sempre, come la risposta italica a Douglas Preston e Lincoln Child. Loro, però, sono un duo davvero prolifico. Noi abbiamo sfornato per il momento due romanzi assieme («La croce sulle labbra» e «Km 98», entrambi per l’editore Anordest), che sono stati ben accolti e ci hanno regalato un bel po’ di soddisfazioni. Per cui, insisteremo! Io e Dan siamo praticamente fratelli. Perché, ancor prima di creare plot a quattro mani, abbiamo incrociato le nostre strade in parecchie occasioni. La più clamorosa: lui mi ha fulminato, quand’ero diciannovenne, con la storica Guida al Fantacinema (del 1978) e quasi 20 anni dopo, quando ho fondato il marchio editoriale PuntoZero, a metà degli anni Novanta, sono stato io a pubblicare la sua Nuova guida al Fantacinema. Ci divertiamo adesso a mescolare le rispettive esperienze culturali e letterarie: lui con il suo côté di cronaca nera, nerissima e “metafisica”, io col mio bagaglio di nozioni scientifiche e (fanta)medicali. Da bravi fratellini ci dividiamo personaggi, capitoli, location e sequenze. Poi lui “aronizza” la mia parte, e io “rosatizzo” la sua. Per creare alla fine un’unica voce narrante. È una gran palestra. Che esige disciplina».

Ti occupi anche di fumetto.

«Come ti dicevo, il fumetto mi ha contagiato sin da piccolo. E non l’ho mai mollato. Fra un articolo sul colesterolo e l’altro sulle nanotecnologie, ci scappa sempre un pezzo (sul mio attuale giornale, il settimanale Oggi) dedicato alle “nuvole parlanti”: da Dylan Dog alla Marvel, dai Peanuts a Vanna Vinci. Il “contagio” ha dato origine anche, ti accennavo più sopra, a un marchio editoriale, l’Editrice PuntoZero, che ho creato nel 1995. A partire dal 1996, assieme ad Andrea Plazzi, la PuntoZero ha pubblicato saggistica cinematografica e graphic novel, come i capolavori del maestro Will Eisner. In tempi recenti, ho curato il volume Splatter – Tutto il meglio di, edito da Rizzoli Lizard, con la riproposta delle geniali storie di quella mitica rivista dell’amico Paolo Di Orazio. Ultimamente io e fratello Dan siamo riusciti a realizzare, grazie al fondamentale sostegno di Stefano Fantelli delle Edizioni Inkiostro, un albo a fumetti che trae spunto proprio dal “fantasma dell’autostrada” protagonista del nostro Km 98: si intitola Melissa Syndrome ed è disegnato da Paolo Bertolotti».

Progetti futuri?

«Sempre all’insegna della coppia: un’antologia e un altro romanzo… Non aggiungo altro, per scaramanzia! L’ambito sarà rigorosamente medical. Ma senza rinunciare al tocco di supernatural, alla cornice dark, oscura, nera… È in questo senso che abbiamo creato un’etichetta ad hoc per questa nostra narrativa: medical noir».

(*) Prima per 14 settimane Vincent Spasaro ha intervistato per codesto blog-bottega autori-autrici, editor, traduttori, editori del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che si trova in “qualche altra realtà”… alla ricerca dei misteri, se possibile anche del loro mondo interiore. I nomi? Danilo Arona, Clelia Farris, Fabio Lastrucci, Claudio Vergnani, Massimo Soumaré, Sandro Pergameno, Maurizio Cometto, Lorenza Ghinelli, Massimo Citi, Gordiano Lupi, Silvia Castoldi, Lorenzo Mazzoni, Giuseppe Lippi e Cristiana Astori. Poi, non sazio, dopo una breve pausa e la mia promessa che gli avrei regalato una ricarica – a base diTupì (sono cioccolatini del commercio equo con caffè e guaranà, in pratica una super-droga legale) – Vincent si è ributtato a intervistare. Dopo Angelo Marenzana, Gian Filippo Pizzo ed Edoardo Rosati, dovrebbe toccare (in disordine alfabetico e comunque non in quest’ordine) ad Alberto Panicucci, Massimo Maugeri, Sergio Altieri, Sabina Guidotti, Stefano Di Marino, Luca Barbieri, Francesco Troccoli, Silvio Sosio, Michele Tetro… più probabilmente giovanissim* e “mostri sacri”. E io son qui – seduto sulla riva del blog – che attendo la seconda serie di 14 puntate… almeno. (db)

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *