Philip Dick, sua (lesa) maestà
db sul bel libro di Stefano Carducci e Alessandro Fambrini
Sotto il secco titolo «Philip K. Dick» c’è un bel sottotitolo – «Tossine metaboliche e complessi illusori prevalenti» – a svelare la complessità. Il libro è uscito in febbraio da Mimesis (130 pagine, 12 euri) nella collana “Fantascienza e società” che è giunta al dodicesimo titolo, meritando sempre attenzione più qualche ululato.
Sono bravi Carducci e Fambrini: non pontificano ma raccontano, scavano e discutono. Si fanno capire: non come quegli esegeti del nostro amato P “King” Dick che ne lodano la semplicità ma scrivendo testi stralunghi, pallosissimi e inutili.
Insomma questo è un libro eccellente, anzi indispensabile, per dickiane/i. Chi invece nulla conosce di PKD non lo prenda per ora (ma dopo aver letto 5-6 romanzi del “nostro” sì) perchè poco capirebbe: non è una biografia o un “bignami”. Ho buttato lì l’aggettivo indispensabile perchè nell’affollato e variegato arcipelago “dickista” era ora che si tornasse a un atteggiamento critico… senza per questo rinunciare al giustificato amore (*). Bisogna leggere Dick senza farne oggetto di venerazione e distinguendo la sua scrittura – a volte geniale – dalla “beatificazione” successiva. Se vi pare facile…
Dopo una breve ma utilissima introduzione («Trilogie, tetralogie, teratologie e illusioni») firmata da Fambrini, il libro è diviso in due parti. Nella prima Carducci analizza le tre fasi dickiane (1949-60; 61-69; l’ultimo periodo); nella seconda Fambrini ragiona sulla “non fantascienza” di PKD con un occhio a chi lo ha ispirato ma anche sbirciando possibili plagi. A chiudere c’è un ricco «dialogo» dove i due riescono a svelare come si combattono i pregiudizi (inclusi i loro che “confessano”) pro o contro Philip Kindred Dick.
Non mi azzardo a riassumere ma accenno un paio di questioni che a me sono parse di particolare rilievo e senza omissis. Carducci a esempio sottolinea – con appropriate citazioni – come le donne di PKD siano sempre steoreotipate (o peggio) con un’eccezione interessante. Fambrini scava nelle contraddizioni politiche del “nostro” e ribaldeggia (a ragione) il filosofo prêt-à-porter e ancor più chi vuol farne «un Maestro o un profeta». Nel dialogo finale c’è una “cattiveria” di Carducci che mi sento di sottoscrivere: «Mi viene da dire “per fortuna che ha tolto il disturbo” altrimenti, povero Dick, lo facevano diventare un altro Hubbard».
Come scrive Fambrini dobbiamo uscire da glorificazioni all’ingrosso (soprattutto dell’ultimo Dick e del PKD improbabile apologeta di se stesso) e ritrovare invece «la febbre» di questo autore. «Perchè Dick» – riassume Fambrini nel dialogo finale, citando Stanislaw Lem – «è mediocre e grande al tempo stesso».
Infine… C’è una doppia frase, inquietante e dickiana, a proposito di «La svastica sul sole» (se preferite «L’uomo nell’alto castello») che vi propongo così, senza commentarla. Scrive Stefano Carducci: «Anche se noi non viviamo sotto una dittatura fascista. Oppure sì?».
(*) E detto da uno [io] che come mail usa pkdick@fastmail.it voi capiiiiiiite che siamo sull’orlo della “blasfemia”… o forse del regicidio.
Grazie Dan, non lo conoscevo questo libro. Da dickiano sfegatato lo comprerò, soprattutto perché da te consigliato.