Bobbio-Togliatti: politica e libertà

Riflessioni di Franco Astengo a partire da  «Norberto Bobbio – Palmiro Togliatti: Sulla Libertà» (a cura di Michele Ciliberto – edizioni della Normale di Pisa).

Michele Ciliberto in questo volume ha recuperato il carteggio Bobbio /Togliatti sviluppatosi nel 1954 all’indomani della morte di Stalin.
Un carteggio incentrato sul tema decisivo della libertà.
Nell’introduzione nota Ciliberto come oggi una discussione di quel tipo sarebbe inconcepibile anche se il tema di quel confronto rimane cruciale.
Proviamo allora ad entrare nel merito di una possibile riflessione che traguardi l’attualità.
A che punto è la notte?
Nella paralisi dell’azione politica, nella mancanza d’immaginazione e di prospettive o, detto in altri termini, nel consolidamento di un atteggiamento “astorico”, si finisce con l’esprimere sia la perdita del valore fondativo del rapporto con il passato sia la rinuncia a pensare al futuro come storia da costruire da parte di tutti e di ognuno.
Una vera e propria “sindrome del declino”, cui fa da controcanto il moto automatico dell’innovazione tecnologica e della circolazione del denaro.
Nel corso degli ultimi decenni si è tentato di restituirci una diversa e più fondata formulazione della riflessione ( tutt’altro che superficiale) sulla “fine della storia”.
“Fine della storia” come effetto indotto dalla fine del comunismo : dimenticando che si trattava della fine di un comunismo legato ad una specifica forma di inveramento statuale.
In quel momento il tema della libertà fu accantonato come se fosse già implicitamente acquisito all’interno del sistema capitalistico.
Si possono facilmente trovare riscontri empirici a tali considerazioni.
Basti pensare a com’è stata affrontata la crisi del 2008 in atto sul piano economico – finanziario: ogni sforzo e aspettativa è stato indirizzato alla restaurazione degli stessi meccanismi che avevano prodotto la crisi; in alto e in basso la speranza era quella di tornare al più presto alla cosiddetta “normalità”, alla condizione ritenuta “naturale” di funzionamento della vita e dell’economia, sancendo l’intoccabilità di uno “stato di natura” che peraltro stava producendo ogni sorta di oggettivi disastri e risospingendo in una situazione di vera e propria “minorità sociale” milioni e milioni di persone, in tutto il mondo.
Qualsiasi ipotesi di cambiamento e di apertura sul futuro è stata respinta, come se questo tragico esistente coincidesse con il migliore dei mondi possibili: l’unico, comunque, che ci sia dato e che non può essere modificato.
L’ideale non avrebbe mai più mutato il “reale”: forma e sostanza della politica avrebbero coinciso con forma e sostanza del potere.
Nondimeno si vive in preda a paure crescenti, la cui amministrazione e somministrazione assorbe gli sforzi della politica e dei media.
Il fatto che siano in gran parte paure immaginarie conferma e radicalizza la sindrome della paralisi, il venir meno della possibilità di esperienze fondative e innovative.
Il moltiplicarsi degli indicatori di regresso, sia registrando i dati strutturali nella distribuzione della povertà e della ricchezza su scala mondiale e all’interno dei singoli paesi, sia valutando il grado crescente d’insoddisfazione in ogni ambiente sociale, sia considerando la mancanza di prospettive e di certezze per le generazioni più giovani, tutto ciò sta portando a una revisione del giudizio al riguardo delle grandi temperie del ‘900.
La verità è che la vicenda novecentesca, imperniata sull’esperimento russo – sovietico, è stata dominata da una colossale e ancora incompresa eterogenesi dei fini, rispetto alla quale l’analisi e il giudizio storico – teorico debbono essere approfonditi in più direzioni: quel che è certo è che il fallimento di quella storia ha minato la possibilità che gli ideali a cui proclamava di ispirarsi possano essere considerati validi per tradursi in una loro realtà effettuale.
Rimane però e comunque ineludibile la tensione verso l’eguaglianza e il superamento del perverso meccanismo di sfruttamento.
Si tratta, allora, di riattivare una memoria culturale a cui attingere per affrontare vecchie e nuove sfide, cercando di riconoscere prima e di superare poi la frattura che si è storicamente determinata.
Rimane tutta intera la questione della democrazia: il crollo del comunismo sovietico ha formalmente moltiplicato il numero degli Stati retti secondo le regole della democrazia.
Ciò è avvenuto in un’epoca in cui lo stato della democrazia nei paesi occidentali, e un po’ in tutto il mondo, è risultato deludente se non pessimo: al punto che molti si stanno ingegnando per trovare soluzioni che ne possano conservare una qualche versione minimale, una sorta di simulacro, tenuta in vita per comodità delle forze stesse che hanno contribuito a svuotarle e ridicolizzarla.
Quello che sta avvenendo, al di là di diagnosi più o meno pessimistiche, sembra confermare che non solo il comunismo, ma anche il capitalismo, senza più oppositori ufficiali non costituisce un ambiente adatto per la vita della democrazia.
Non esiste più un rapporto diretto tra democrazia formale e libertà sostanziale.
Una linea di alternativa e di uscita dall’accettazione totale dell’esistente, non può che essere portata avanti, in queste condizioni, anziché dalla mera elaborazione di un programma economico, da una reinterpretazione del concetto e della funzione dell’ideologia.
La funzione dell’ideologia, come nell’accezione gramsciana deve essere sottratta al pericolo di un’interpretazione meccanicista e volgare, nella quale la sovrastruttura è ridotta a mera conseguenza dell’effetto della struttura.
L’ideologia va così restituita al suo significato positivo di componente, essa stessa strutturale e indispensabile, dell’agire storico.
Perché senza la funzione strutturale dei convincimenti non si possono comprendere le relazioni e i conflitti tra i ceti e le classi, che se muovono da una causa materiale ed economica, hanno sempre una traduzione e un’elaborazione ideale / ideologica (come è accaduta, del resto, con la grande ondata liberista partita dal mondo anglosassone alla fine degli anni’70).
E’ il caso di recuperare una citazione: dai “Quaderni dal carcere” (volume III dell’edizione del 1975, Editori Riuniti, curata da Valentino Gerratana): “La tesi secondo cui gli uomini acquistano coscienza dei conflitti fondamentali sul terreno delle ideologie non è di carattere psicologico o moralistico, ma ha un carattere organico gnoseologico” (ovverosia derivante da una vera e propria “teoria della conoscenza”).
E’ necessario fare in modo che donne e uomini riacquistino coscienza della loro posizione sociale e dei loro compiti proprio sul terreno della sovrastruttura : l’ambito cioè delle forme di coscienza, delle visioni del mondo, del come l’esistenza può essere pensata, significata, interpretata ed elaborata.
Redazione
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