Proposta per uno sciopero “digitale”

La “bottega” apre una discussione su una proposta (per il 21 marzo) di Chief Joseph

Sabato, 21 Marzo 2020

LO SGUARDO CONSAPEVOLE

Sciopero digitale

24 ore di astensione dall’utilizzo di internet.

La proposta non intende essere una schematica demonizzazione delle nuove forme di comunicazione, ma ha come obiettivo quello di creare e alimentare l’autoconsapevolezza, un sentimento che non può essere manipolato, indirizzato gestito e organizzato dalla rete o dalla televisione.

L’uomo sta progressivamente perdendo contesto e prospettiva perché chi controlla i processi di trasformazione del mondo naturale in quello artificiale ridefinisce la realtà umana: solo all’interno di questo contesto è possibile sperimentare la comunicazione ed essere uomo come un robot telecomandato.

È quindi fondamentale tentare di uscire da questa logica, che è molto simile ai letti di contenzione o agli elettroshock, e tentare di riappropriarsi di una quotidianità che non è fatta solo di tastiere e di schermi, ma anche da odori, sapori e contatto fisico.

Occorre ricordare o cominciare a comprendere che la nostra quotidianità non può essere una dittatura (del labirinto di internet e degli influencer, delle vacue voci dei giullari di corte e delle sbornie dei social), ma una libera scelta di ciascun essere umano attraverso i suoi rapporti e le sue relazioni capaci di mettere in gioco tutto il potenziale dell’uomo.

L’obiettivo che ci si prefigge di raggiungere con una giornata di astensione da internet è quello di dare visibilità alle voci dissonanti dal coro della rete e, di conseguenza, tentare di cominciare a ricostruire un sistema di collegamenti e di relazioni che potranno sfociare in future iniziative.

L’appello è stato lanciato da “Chief Joseph” (Mantova)

PRIME ADESIONI

1 – DANIELE BARBIERI (Imola)

2 – SAVERIO PIPITONE (Conselice)

3 – FABRIZIO MELODIA (Mira)

4 – NINO LISI (Roma)

5 – GIAN MARCO MARTIGNONI (Varese)

6 – MIMMO BASILE (Roma)

7 – GIOVANNI BENIERO (Mantova)

8 – SUSANNA SINIGAGLIA (Milano)

9 – ENRICA VIDALI (Norbello)

10 – ROMANO MICHELINI (Mantova)

11 – MARGHERITA BERTOLOTTI (Goito)

12 – GUERRINO PANTANI (Curtatone)

13 – MARIA GRAZIA BECCARI (Mantova)

14 – GAETANO LOMBARDI (Curtatone)

15 – MARIO GEROLA (Casaloldo)

16 – MARIA LUISA VERTUA (Muscoline)

17 – LUIGI BONOMETTI (Muscoline)

18 – GUALTIERO VIA (Budrio)

Chi volesse aderire, criticare, controproporre, segnalare iniziative o inviare riflessioni scriva a “La Bottega del Barbieri” (pkdick@fastmail.it)

LE IMMAGINI sono di Energu e di Benigno Moi.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

8 commenti

  • Giuliano Spagnul

    Perché io non aderisco.
    Circa una quindicina d’anni fa ero in macchina con un’amica e sua figlia adolescente insieme a una sua coetanea. Tutte prese a messaggiare (o altro) coi loro cellulari. Ho detto, alzando un po’ la voce, alla mia amica quanto sarebbe stato bello se tutto il sistema telefonico, la rete, internet, ecc. d’improvviso avessero smesso di funzionare. Le due ragazzine hanno di colpo alzato il capo, come da un brusco risveglio, e nei loro occhi un lampo di terrore, come se la percezione del nulla si fosse rivelata loro per la prima volta, inaspettatamente. Se oggi fossi giovane non capirei rispetto a cosa dovrei mai scioperare: ciò che da forma e senso alla mia vita? Cioè il sentirmi in rapporto, in contatto, CONNESSO con gli altri e, quindi, con me stesso? Contro quei dispositivi che schiavizzandomi mi procurano il necessario per vivere? Per me adulto, vecchio, cosa dovrebbe motivare il mio sciopero? Prendere coscienza di questa schiavitù? Ma lo so già, ne ho già piena coscienza. Dovrei forse illudermi che sono io a padroneggiare i dispositivi tecnologici e non viceversa? Non posseggo uno smartphone, ancora, ma so che presto cederò, non potrò farne a meno se non voglio rinunciare a una serie di cose, alcune indispensabili. L’unico “sciopero” che potrei capire sarebbe quello finalizzato ai fini di provare il terrore. Come quello delle due adolescenti, oppure come quello di Iran, la moglie del cacciatore di androidi Deckard, che avendo sperimentato, durante un guasto della televisione, il silenzio che la circondava (il silenzio di un mondo di rovine radioattive) decide di impostare due ore di disperazione al giorno sul personale modulatore di emozioni. Uno sciopero dall’ottimismo e dalle rassicuranti emozioni artificiali indotte. Ma ci vorrebbe molto, molto, coraggio!

  • Assolutamente no, non voglio togliere la forza e il senso della vita delle due ragazze in macchina. Desidero soltanto cercare di dimostrare che non tutti sono schiavi della rete e che costoro possono diventare un punto di riferimento per coloro che si dibattono nella ragnatela di internet. In Emilia Romagna, ad esempio prima che apparissero le Sardine, nessuno avrebbe immaginato che Salvini potesse perdere le elezioni. Credo che ciascuno di noi debba cercare di interrogarsi quotidianamente sul fatto che qualsiasi tecnologia innovativa che faccia diventare l’essere umano un semplice contenitore di plastica da modellare e dipingere a seconda del colore e della densità delle sostanze versate è destinata a diventare padrona dell’uomo perché gli toglie i suoi punti di riferimento naturali e antropologici e diventa Hal, il computer di 2001 Odissea nello spazio. Stanley Kubrick raccontava queste cose già nel 1968. Purtroppo, la profezia si è avverata e, come in Fahrenheit 451, occorre creare piccole isole di resistenza.
    In questa direzione propongo alcune riflessione tratte dal libro: “Homo Technologicus” di G.O. Longo e “Non luoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità” di M. Augè

    “Come lo scrittore che per dire tutto tarpa l’immaginazione del lettore, soffocandola sotto un diluvio di particolari, cosi anche una multimedialità troppo esauriente rischia di uccidere la comunicazione. Lasciare qualche cosa all’immaginazione significa non definire tutte le componenti del messaggio con lo stesso grado di precisione. Del resto a esperienza comune e quotidiana che, in ogni situazione, i nostri sensi e la nostra mente istituiscono automaticamente una gerarchia d’ importanza fornendoci quella che si potrebbe chiamare una rappresentazione sfumata. Nei media, come oggi ii conosciamo, le comunicazioni sfumate sono ancora allo stadio rudimentale e quindi c’è il rischio di appiattire tutti i dati sullo stesso livello d’importanza o di futilità. Grande protesi, insomma, questa Rete forse non ancora per i sensi, ma certo per la mente, per le varie componenti dell’attività mentale, fino a quella, intima e segreta, che chiamiamo creatività. Vi è, nella creatività, una forte componente esplorativa, uno stimolo a sondare il nuovo, a cercare l’inedito, l’inaudito, che potrebbe trovare, nella struttura arborescente e reticolare dei nuovi media, un fertile terreno di crescita. Il vero problema riguarda ciò che, con un termine eloquente nella sua brutalità, si chiama consumo. I nuovi media consentono il consumo di immagini, scritti, suoni: anzi incitano al loro saccheggiamento. I turisti della Rete (come quelli che a orde minacciano l’incolumità di Roma e di Venezia) vogliono subito la notizia, il documento, l’immagine, che vanno visitati in fretta, in fretta divorati e in fretta abbandonati per cercare altro. Esauriti rapidamente i giacimenti artistici e letterari della nostra tradizione; divulgati fino a sazietà quadri, statue e castelli grazie all’ esercito invasivo dei CD-ROM; sfruttati i filoni orientali, centro e sud americani, eschimesi e pigmei; ripetute all’infinito le scene di uccelli sullo sfondo di sanguinosi tramonti africani; consumato il mondo che ci siamo trovati in eredita, bisogna cercarne ogni giorno un altro da dare in pasto ad abbonati famelici (o inappetenti?) e viziati dall’ abbondanza, vogliosi di nuove esperienze a ogni clip”. (Longo, 2000, pp. 141-142).

    “La parola luogo indica quella costruzione concreta e simbolica dello spazio che assolve alla funzione identitaria, a quella relazionale e a quella storica. Esso offre a chi lo abita un principio di identità e a chi lo osserva l’intelligibilità. […] Questo significa che il luogo non è solo uno spazio, ma è qualcosa di umanizzato e abitato. Un contesto che non è solo interpretato, ma che fornisce a chi si trova al suo interno le chiavi per decodificarlo. Questo pub avvenire solamente per il fatto che il luogo inserisce la persona all’interno di una storia, di una memoria, di un progetto di futuro e perché esso offre le informazioni e le norme che permettono alle persone che lo abitano di assumere determinati comportamenti e di vivere le loro relazioni in modo caratterizzante. La scuola, ad esempio, quando ancora era un luogo, permetteva ai ragazzi di assumere stili, comportamenti e atteggiamenti diversi da quelli che avevano per strada: c’era una sorta di sacralità del luogo che li condizionava e li spingeva nella direzione di quegli stili, comportamenti e atteggiamenti. Oggi molti studiosi affermano che il luogo non esiste più perché i media elettronici, e la televisione in particolare, hanno rotto il legame che univa determinati comportamenti, atteggiamenti e stili di vita a particolari spazi fisici e simbolici. Questo legame era costituito, da un lato, dalle convenzioni situazionali che fissavano per i van luoghi i comportamenti appropriati e, dall’ altro, dal fatto che chi stava in un medesimo luogo condivideva delle particolari informazioni e valori che potevano essere conosciuti solo all’interno di quel luogo e non altrove. La televisione, rompendo questo legame fra collocazione fisica e situazione sociale, ha confuso le identità di gruppo che un tempo erano separate. Questo e avvenuto perché gli individui attraverso il medium televisivo hanno potuto sfuggire, dal punto di vista informativo, a gruppi ancorati in un luogo definito e hanno potuto invadere molti luoghi a cui erano estranei senza neppure entrarci”. (Auge, 1996, p. 51).

    • Giuliano Spagnul

      Salvini non è un dispositivo tecnologico, è solo la faccia scoperta del fascismo. Discutere sulla sua sconfitta (si fa per dire) ci porterebbe lontano dal problema in questione. Ci sarebbe invece molto da discutere sui “punti di riferimento naturali e antropologici” dell’uomo. Cioè sulla presunta natura umana. Se partiamo dal presupposto di un’essenza umana da salvaguardare allora alzo le mani e mi arrendo perché entriamo in nel campo della fede. Ma non credo sia questo il caso, spero. E allora mi piacerebbe che lo “sguardo consapevole” fosse tale nel senso di essere capace di interrogarsi sul senso e il significato di questi dispositivi, che non sono semplicemente parte integrante della nostra vita ma che ci costituiscono, ci formano per quel che siamo, ci piaccia o no. Del resto non saremmo soggetti se non fossimo anche assoggettati. Oppure pensiamo di poter, di dover essere liberi? Resistere? Certo, ma la resistenza è la vita stessa, cioè quella cosa che resiste alla morte. E allora è ovvio che dobbiamo anche resistere ai dispositivi, al loro assoggettarci. Ma non certo con uno sciopero, che induce all’idea di una nostra natura che è di per sé libera. Resistere vuol dire lottare per quelle possibilità diverse che riusciamo a intravedere in quel nostro resistere agli assoggettamenti, che grazie ai dispositivi del potere, ci vengono imposti. È una guerra, non uno sciopero.

  • Nel tentativo di coinvolgere altre persone nello sciopero propongo due frasi di Giuliano Spagnul: “ E allora è ovvio che dobbiamo anche resistere ai dispositivi, al loro assoggettarci…. Resistere vuol dire lottare per quelle possibilità diverse che riusciamo a intravedere in quel nostro resistere agli assoggettamenti, che grazie ai dispositivi del potere, ci vengono imposti. È una guerra, non uno sciopero”. Mi permetto solo una piccola aggiunta: la guerra incomincia sempre con una dichiarazione…. di guerra.
    P.S. L’esempio di Salvini voleva essere solo un esempio sul metodo, non l’esegesi del fatto.

  • Adesione:
    Luigi Gelati, Curtatone (MN)

  • Ci sembra la battaglia di chi affronta uno tsunami con paletta e secchiello, ma aderiamo lo stesso.
    Lucia Marchetti, Monteriggioni (SI)
    Franco Capelli, Voghera (PV)

  • Adesione:
    Fabio Tommasi, Rivalta (MN)

  • Gian Marco Martignoni

    Le interessanti riflessioni di Giuliano Spagnul non le vedo in contraddizione con la giornata di sciopero rispetto ai dispositivi tecnologici che, volenti e nolenti, ci assoggettano. L’interruzione anche di una sola giornata di questo assoggettamento è simbolicamente solo una provocazione, ma da qualche parte bisognerà pur iniziare , per contrastare l’ordine del discorso di quel fascismo tecnologico di cui Trump e Salvini sono la perfetta espressione.

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