Quel 25 aprile e oggi – 11

«Senza tregua: la guerra dei Gap»

di David Lifodi (*)  

E’ ormai un classico della memorialistica partigiana: «Senza tregua» (Feltrinelli, pubblicato nel 1967 ma più volte ristampato) di Giovanni Pesce racconta la resistenza urbana al fascismo, coinvolge, emoziona e commuove. Il comandante Visone (il nome di battaglia deriva dal suo paese d’origine, Visone d’Acqui) ha fatto la storia dei Gap – i Gruppi di Azione Patriottica – che combattevano nelle città e non davano mai tregua ai fascisti: li colpivano ovunque, anche nei loro covi, dove meno se lo aspettavano. Una guerriglia urbana condotta in pochissime unità, diversamente dalle brigate partigiane che operavano nei boschi e sulle montagne, in condizioni forse ancora più dure. Spesso i gappisti trascorrevano giorni interi in rifugi di fortuna, sotto copertura, in attesa dell’ordine di compiere un’azione direttamente dal Cln, il Comitato di Liberazione Nazionale.

Giovanni Pesce (1918-2007) fu il fondatore dei Gap a Torino, protagonista di primo piano nella liberazione di Milano, e prima ancora fra i più giovani ad arruolarsi come volontario nelle Brigate Internazionali durante la guerra di Spagna (che raggiunse con il gruppo del fondatore degli Arditi del Popolo, Guido Picelli), arrestato al suo ritorno, nel 1940, e inviato al confino sull’isola di Ventotene: ha scritto dunque alcune delle pagine più belle della Resistenza italiana, alla quale si unì al momento della sua liberazione dal confino, avvenuta nel 1943. Le azioni isolate, i sopralluoghi rischiosi, il timore della delazione hanno accompagnato Visone durante tutta la guerra di Liberazione, nella quale non mancano mai episodi di grande umanità. A differenza dei fascisti, scrive lo stesso Visone nella prefazione del libro, «i gappisti credevano profondamente nella libertà, aspiravano a un avvenire di pace, non erano spronati da ambizione personale». I partigiani combattono una lotta durissima, riflette più volte Visone, in cui danno e ricevono la morte, ma ne sentono tutto il dolore e tutta l’angoscia. Al contrario, la mancanza di umanità che caratterizza i repubblichini emerge «nella loro insolenza, nella loro spavalda vigliaccheria: mitra ostentati, bombe a mano al cinturone, facce feroci, lugubri camice nere». Le azioni dei gappisti servirono più volte a scompaginare le linee nemiche dei fascisti e degli occupanti tedeschi: molte rappresentano degli atti di vero e proprio eroismo. Una di queste, condotta dallo stesso Giovanni Pesce, si svolge a Torino, dove insieme ad altri partigiani, fra cui il giovanissimo Dante Di Nanni, attaccano la stazione radio dell’Eiar (la voce del fascismo durante il ventennio) che disturbava Radio Londra. Traditi e sorpresi da un reparto nemico, molti gappisti, compreso lo stesso Di Nanni, restano feriti. Giovanni Pesce riesce a portare Di Nanni in una casa, lo fa visitare da un medico antifascista, ma quando si allontana per organizzare il trasporto in ospedale, al ritorno trova l’edificio circondato dai fascisti. Dante Di Nanni, nonostante sia gravemente ferito, non cede e non si consegna al nemico, ma utilizza tutte le munizioni che ha. I fascisti pensano che nella casa siano presenti molti partigiani, e non un unico ragazzo che era riuscito, da solo, a decimarli: «Incerti e sconcertati guardano il ragazzo coperto di sangue che li ha battuti. E non sparano. È in quell’attimo che Di Nanni si appoggia in avanti, premendo il ventre alla ringhiera e saluta con il pugno alzato. Poi si getta di schianto con le braccia aperte, nella strada stretta, piena di silenzio». È il 18 maggio 1944: due settimane più tardi un opuscolo clandestino, edito a Torino, saluterà l’azione del giovane gappista come «una delle più belle pagine della storia italiana». L’episodio di cui è protagonista Di Nanni rappresenta solo una delle tante azioni a cui ha partecipato Giovanni Pesce, che durante il suo racconto evidenzia una serie di riflessioni a voce alta che non poteva condividere con nessuno o al massimo con poche persone: le formazioni gappiste sono composte da nuclei urbani di poche unità, anche nelle metropoli; spesso, in occasione delle loro riunioni, una sola stanza bastava a contenerli tutti. Inoltre, sono costretti a convivere con il dubbio: durante le ore che trascorrono fuori dalle loro abitazioni (molto spesso in stanze prese in affitto sotto false generalità per esigenze di sicurezza) è necessario fare estrema attenzione alle persone che si trovano di fronte: chiunque potrebbe essere una spia o un fascista che già li conosce. Più volte, ai gappisti arrestati, sotto tortura viene chiesto se il mandante delle loro azioni è proprio Visone.

Le regole della clandestinità sono ferree e vanno rispettate. Per questo, come se fosse una liberazione anche personale, al termine del suo racconto, in una Milano non più occupata dai tedeschi e dai fascisti, Visone scrive: «Parlo, finalmente parlo. Sono Visone, comandante della terza Brigata Gap… .C’è tutta la città che corre, che grida, che risorge… Quarantotto ore prima eravamo pochi, ora siamo folla. Però, dietro di noi a sorreggerci, ad aiutarci, a nasconderci, a sfamarci, a informarci, c’è sempre stata questa massa di popolo che ora corre per le strade, si abbraccia e ci abbraccia, e grida: viva i partigiani».

Dagli uomini che popolano le pagine di «Senza Tregua» nacque l’Italia antifascista, quella che credeva nella pace, nella fratellanza dei popoli, nei diritti del mondo del lavoro, nella libertà e nella giustizia sociale: «Tocca ai giovani continuare sulla strada maestra» ha scritto Giovanni Pesce, «ai giovani continuare la Resistenza».

(*) Oggi un blog speciale con 24 post, uno ogni ora, su Liberazione e sulla resistenza – sia minuscola che maiuscola – al nazifascismo. Nella piccola redazione (un po’ allargata per l’occasione) abbiamo discusso l’idea, partita da David, di scegliere 24 testi o immagini che raccontassero quel giorno e l’oggi; che mostrassero qualcosa (o qualcuna/o) importante da ricordare; che attualizzassero e/o problematizzassero la Liberazione e la Resistenza. Alcuni post sono firmati, gli altri sono nati – come già è successo – nel lavoro comune che possiamo chiamare Qbea cioè Questo Blog E’ Antifascista.

 

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