Raccontare il Belice… a chi sa solo di un terremoto

Un amico mi ha inviato questo bell’intervento di Alessandro La Grassa, presidente del Cresm (Centro di ricerche economiche e sociali per il Meridione) che in Sicilia prosegue il prezioso lavoro di Danilo Dolci. Chi volesse saperne di più contatti il Cresm: cresm@cresm.it oppure 0924 69000. (db)

Per noi del Cresm raccontare la storia del Belìce, dagli anni cinquanta ad oggi, a chi del Belìce conosce solo il terremoto e le polemiche della ricostruzione è una bella fatica, ma alla fine ne vale sempre la pena.
Perché nella nostra storia tutti gli stereotipi che affossano la Sicilia e il Sud sono spesso ribaltati. La prima a saltare è l’apatia che viene affrontata e sconfitta, nel 1956, con uno “sciopero alla rovescia” in cui un centinaio di braccianti e disoccupati, guidati da Danilo Dolci, aggiustano a Partinico una
trazzera demaniale. Mostrando cosi a tutta l’Italia che il lavoro c’è, se ognuno fa la sua parte, Stato compreso, e per questo saranno arrestati.
Anche il familismo esasperato nella nostra storia non compare, anzi ci sono Comitati Cittadini in tutti i comuni della Valle, a partire dal 1960, e ci sono spianate di contadini con la coppola, donne con i figli, tecnici, studenti, artisti e sindaci visionari, che dibattono pubblicamente a Roccamena e in tutto il Belice, aiutati da Lorenzo Barbera e altri volontari del Centro Studi di Dolci, su come organizzarsi per cambiare volto a tutta la Valle attraverso scuole, strade, dighe, vigneti, uliveti, cantine sociali e frantoi. E poi ci sono digiuni collettivi, marce per lo sviluppo e per la pace, per testimoniare che il mondo lo si cambia tutti insieme, a cominciare dal Belìce.
La mafia c’è, e non solo non è ossequiata, ma addirittura è pubblicamente denunciata, con nomi, cognomi e ‘nciurie , anche quando si nasconde dietro il paravento della politica.
Lo spreco invece verrà, dopo il terremoto del 1968, ma è soprattutto uno spreco di tempo, di carte e di gente che dovrà emigrare, che impedisce al Belìce di rialzarsi in breve tempo come avverrà invece in Friuli.
Perfino la siccità nel nostro racconto scompare, perché i contadini sanno che l’acqua c’è, tutta quella che serve, ma la devono strappare prima ai fiumi, con le dighe e poi al controllo mafioso.
Di questa storia noi abbiamo le prove: si tratta di stupende foto in bianco e nero, di giornali e di lettere di sostegno da tutto il mondo, di progetti di sviluppo, di resoconti stenografati e filmati. Ma soprattutto abbiamo il paesaggio della Valle del Belìce che è in gran parte diventato un susseguirsi di vigneti, uliveti e altre coltivazioni; abbiamo le cantine e i frantoi, abbiamo le dighe sullo Jato e sul Belìce.
Alcune di queste prove le vogliamo mostrare alle nuove generazioni nel nuovo Spazio della Memoria Viva. Perché sia chiaro che il futuro va inventato insieme, e noi vogliamo continuare a dare il nostro contributo.
Il resto lo mostreranno i giovani del Belice, che stiamo aiutando a organizzarsi in cooperative turistiche, accompagnando i viaggiatori e le scuole attraverso i paesaggi, le campagne e le città antiche e nuove di questa splendida Valle.
PS:
Dimenticavo: alla fine del racconto la gente di solito ci guarda strano:”se non è una favola, deve essere stato davvero un terremoto…”

Redazione
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