Salvini finanzia Mediterranea grazie a me !
di Marco Preve (*)
Nel luglio 2001 era alla scuola Pascoli, di fronte alla Diaz, dove irruppe la polizia. L’indennizzo del Ministero dell’Interno girato alla nave di Mediterranea. “Così ho ridato voce al movimento no global”.
Salvini che finanzia Mediterranea grazie a me?… Che dire … son soddisfazioni”.
Sorride il dott. Massimo Costantini, perché, seppur a 18 anni di distanza, dice di essere riuscito, come un piccolo frammento della grande Storia, a dare un senso compiuto e concreto alle ragioni della protesta di quella stagione, quella della scritta “Voi G8 noi 6 miliardi” sulle magliette bianche poi macchiate dal sangue della Diaz e di Bolzaneto.
Costantini, 62 anni, oggi è il direttore scientifico dell’Istituto Tumori di Reggio Emilia, una delle eccellenze della sanità italiane, nonché visiting professor al Palliative Care alla King’s College University a Londra.
Nel luglio 2001 era un membro dello staff medico del Genoa Social Forum.
La notte della “macelleria messicana” quando la polizia irruppe nel dormitorio allestito nelle scuole Diaz massacrando senza pietà decine di persone innocenti, Costantini si trovava nell’edificio situato dall’altro lato della strada, le scuole elementari Pascoli dove era allestito il Media center e si trovavano gli uffici di supporto a iniziare dal Legal team.
Costantini era nella Pascoli e per tutta la notte fu in balia della polizia, privato dei suoi diritti, impedito anche di ricevere il suo avvocato.
Come tanti altri reduci di quella notte ha fatto causa civile al Ministero dell’Interno per ottenere un risarcimento per danni esistenziali, biologici e morali, derivanti dallo choc subito e dai diritti violati, assistito dagli avvocati Paolo Languasco e Roberto Faure.
Prima che un giudice condannasse per l’ennesima volta lo Stato italiano, il Ministero ha deciso di transare e ha pagato il dottor Costantini.
L’ammontare della cifra non può essere rivelato a causa delle clausole di riservatezza, ma una cosa invece è sicura e si può dire: quei soldi sono finiti al progetto Mediterranea Saving Humans, ovvero la nave Mar Jonio finanziata da donazioni, che ha lo scopo di monitorare quel braccio del Mare nostrum diventato l’olocausto dell’Europa di oggi e, in caso di pericolo, intervenire in soccorso dei migranti.
“Avevo deciso fin dall’inizio che, se avessi ottenuto un risarcimento i soldi non li avrei tenuti – racconta Costantini -. Avevo pensato a un ospedale curdo o all’ambulatorio Città aperta nel centro storico, poi mi sono accorto che Mediterranea rappresenta lo spirito del movimento No global, che venne reciso violentemente a Genova nel 2001. E’ lo spirito che guarda ai bisogni delle persone e non ai confini. Non è settario perché dentro c’è di tutto, anche i preti. Ho pensato fosse il modo migliore per ridare voce al movimento, riannodare un filo spezzato dalle manganellate”.

(*)Tratto da Repubblica, cronaca di Genova, 7 maggio 2019.
Segnaliamo questo comunicato
Porti aperti alle navi che trasportano bombe?
La nave saudita «Bahri Yanbu», carica di armi che rischiano di essere utilizzate anche nella guerra
in Yemen, sta cercando di attraccare nei porti europei per caricare armamenti destinati alle forze
armate della monarchia assoluta saudita. Dopo aver caricato munizioni di produzione belga ad
Anversa, ha visitato o tentato di visitare porti nel Regno Unito, in Francia e Spagna, e dovrebbe
attraccare nel porto italiano di Genova a partire dal 18 maggio prossimo . La nave partita dagli
Stati Uniti, passata per il Canada prima di arrivare in Europa, ha come destinazione finale Gedda,
Arabia Saudita, con arrivo previsto il 25 maggio. È perciò reale e preoccupante la possibilità che
anche a Genova possano essere caricate armi e munizionamento militare; ricordiamo infatti che
negli ultimi anni è stato accertato da numerosi osservatori indipendenti l’utilizzo contro la
popolazione civile yemenita anche di bombe prodotte dalla RWM Italia (con sede a Ghedi,
Brescia, e stabilimento a Domusnovas in Sardegna).
Esiste quindi il fondato pericolo che i porti italiani accolgano gli operatori marittimi che
trasferiscono sistemi di armi e munizioni destinati a paesi in conflitto: armi che possono essere
usate – com’è già accaduto – per commettere gravi violazioni dei diritti umani e che anche
secondo i trattati internazionali firmati dal nostro Paese non dovrebbero essere consegnate.
Bombe che alimentano le guerre che a loro volta alimentano le migrazioni che, a parole, tutti
vorrebbero prevenire aiutando le popolazioni “a casa loro”: una vera follia.
La vicenda del cargo saudita «Bahri Yanbu» rischia ora di diventare un caso internazionale ,
coinvolgendo anche le autorità italiane. La nave, partita all’inizio di aprile dal porto di Corpus
Christi, USA, per poi arrivare a Sunny Point, il più grande terminal militare del mondo, il 4 maggio
ha imbarcato ad Anversa – secondo alcune organizzazioni della società civile belga – 6 container
di munizioni. L’8 maggio avrebbe dovuto entrare nel porto di Le Havre per caricare 8 cannoni
semoventi Caesar da 155 mm prodotti da Nexter, ma ha dovuto rinunciarvi per la mobilitazione
dei gruppi francesi di attivisti dei diritti umani , contrari alla vendita di armi che potrebbero
essere impiegate nella guerra in Yemen. Si è quindi diretta verso il porto spagnolo di Santander,
dove è giunta per uno scalo non previsto, presumibilmente per aggirare l’azione legale avviata
dagli attivisti francesi. Anche qui si sta registrando la mobilitazione di varie associazioni della
società civile – tra cui Amnesty International, Oxfam, Grenpeace, Fundipau – che si sono
appellate alle autorità spagnole.
La «Bahri Yanbu» appartiene alla maggiore compagnia di shipping saudita, la Bahri, già nota
come National Shipping Company of Saudi Arabia, società controllata dal governo saudita, e dal
2014 gestisce in monopolio la logistica militare di Riyadh. Anche la tipologia della nave, una delle
6 moderne con/ro multipurpose della flotta Bahri, ha una chiara vocazione militare, adatta al
trasporto sia di carichi ro/ro e heavy-lift speciali (ovvero anche mezzi militari fuori norma), sia di
container.
Le nostre associazioni hanno ripetutamente chiesto ai precedenti Governi e all’attuale Governo
Conte di sospendere l’invio di sistemi militari all’Arabia Saudita ed in particolare le forniture di
bombe aeree MK80 prodotte dalla RWM Italia che vengono sicuramente utilizzate dall’aeronautica
saudita nei bombardamenti indiscriminati contro la popolazione civile in Yemen. Riteniamo che
queste esportazioni siano in aperta violazione della legge 185/1990 e del Trattato internazionale
sul commercio delle armi (ATT) ratificato dal nostro Paese. Il Trattato sul commercio delle armi
(ATT) impone a tutti i paesi coinvolti nel trasferimento di attrezzature militari (cioè anche nel
transito e nel trasbordo) verso Paesi coinvolti in conflitti armati di verificare (art. 6.3) se le armi
trasferite possano essere impiegate per commettere crimini di guerra o violazioni dei diritti umani
e di conseguenza di sospendere le forniture (art. 7).
Secondo i rapporti dell’UE sulle esportazioni di armi, gli Stati membri dell’UE hanno emesso
almeno 607 licenze per oltre 15,8 miliardi di euro in Arabia Saudita nel 2016. I principali
esportatori europei di armi convenzionali verso l’Arabia Saudita includono Regno Unito, Francia,
Spagna, Italia e Bulgaria. Tra il 2013 e il 2018, l’Arabia Saudita rappresentava circa la metà delle
esportazioni militari del Regno Unito e un terzo di quelle del Belgio. Altri paesi – tra cui Svezia,
Germania, Paesi Bassi e Norvegia – hanno sospeso o iniziato a limitare le vendite di armi alla
coalizione guidata dall’Arabia Saudita e dagli EAU. In Italia, nonostante il presidente del Consiglio,
Giuseppe Conte, lo scorso 28 dicembre abbia affermato che «il governo italiano è contrario alla
vendita di armi all’Arabia Saudita per il ruolo che sta svolgendo nella guerra in Yemen. Adesso si
tratta solamente di formalizzare questa posizione e di trarne delle conseguenze», nessuna
sospensione è stata ancora definita e le forniture di bombe e sistemi militari sono continuate
anche in questi mesi ammontando ad un controvalore di 108 milioni di euro nel solo 2018 (come
risultante dai dati ufficiali governativi elaborati dall’Osservatorio Opal di Brescia).
Le associazioni pertanto invitano le autorità competenti a non mettere a disposizione della
nave Bahri Yanbu lo scalo di Genova.
Amnesty International Italia – Comitato per la riconversione RWM e il lavoro sostenibile –
Fondazione Finanza Etica – Movimento dei Focolari Italia – Oxfam Italia – Rete della Pace –
Rete Italiana per il Disarmo – Save the Children Italia