Scor-data: 7 ottobre 1934

Nasce Amiri Baraka (già LeRoi Jones e Imamu Amear Baraka)

di Franco Minganti (*)  

Perchè segnalare questa data? Perchè Amiri Baraka è Amiri Baraka e anche molto di più (e non solo perché è conosciuto anche sotto altri nomi).

Anni fa, per aprire l’introduzione a un volume che Giorgio Rimondi e io avevamo dedicato a lui – «Amiri Baraka. Ritratto dell’artista in nero» (Bacchilega Editore, 2007), un volume eccentrico, metà antologia di scritti di Baraka (conteneva persino alcuni suoi inediti assoluti!) e metà raccolta di saggi commissionati ad alcuni critici al di qua e al di là dell’Atlantico – avevo utilizzato una e-mail che mi aveva inviato un altro amico poeta appassionato di jazz, David Meltzer, cui avevo chiesto di darmi qualcosa da utilizzare in qualche modo per il libro. Così mi aveva scritto (o meglio, così avevo tradotto il suo messaggio):

«Jones/Baraka è uno come me & un compagno di sfide. Mio malgrado (& senza tanti complimenti) vengo annoverato nel movimento cosiddetto beat; attraverso un identico atto, segregazionista e istituzionalizzante, Amiri viene mantenuto in esilio (& spesso sanzionato, di questi tempi decerebrati) nell’Alterità del pugno chiuso di Black Arts/Black Power. Il nome del gioco è dissidenza; il dissenso si carica internamente come una molla & si apre la strada verso l’esterno. E’ terribilmente unificante. Siamo tutti giocatori dello Scarabeo canonico e troviamo ospitalità (& veniamo annacquati) nelle medesime voluminose antologie. La piantagione è diventata l’università. La nuova chiesa è stata risucchiata dalla corporazione. Regole & codicilli vengono stilati e modificati di continuo, imposti & supposti & l’idea grandiosa che tutti noi si sia parte di una cultura onnivora in continuo movimento viene fatta a fette, ridotta a zone di “studio” innocue & contenute (smussate), privata del tempo presente (di un presente pieno di tensioni) & pacciamata a una visione della storia annebbiata, come attraverso lenti sporche di unto».

David aveva terribilmente ragione e non è che negli ultimi anni le cose siano cambiate gran che. E nemmeno Amiri è cambiato, anzi: continua a portare in giro la sua straordinaria energia, contenuta in quel corpo da persona piccola ma grande, all’apparenza fragile ma che fragile proprio non è.

Negli anni ho incrociato Amiri parecchie volte, ascoltandolo fra il pubblico così come presentandolo in diverse occasioni, magari traducendolo anche. A Berlino, Brescia, Bologna, Providence, Mantova, Udine… non a Darmstadt, una volta che le autorità statunitensi gli avevano bloccato il passaporto impedendogli di partecipare a quel certo convegno su jazz e letteratura (nell’introduzione sopra citata avevo cercato di riassumere, in breve, le mie traiettorie di incontro, anche non di persona, con lui e il suo lavoro).

L’ho rivisto a Bologna quest’estate, quando è stato invitato dall’Associazione delle vittime della strage di Ustica (anche questo blog ne ha parlato, accompagnando la recensione della serata con la mia traduzione di una delle sue poesie recenti… bella). L’ho accompagnato, sia pure restando un po’ in disparte, a visitare il Museo della Memoria di Ustica e nelle scarne chiacchiere scambiate era evidente il forte parallelo emotivo che si stabiliva fra la carcassa di quell’aereo ripescato dai fondali del Tirreno, gli oggetti (invisibili agli occhi dei visitatori del museo), le voci dei passeggeri e la tragica epopea del Middle Passage (la traversata dell’Oceano Atlantico di schiavi incatenati nelle stive delle navi negriere) che Baraka era stato fra i primi artisti neri a rivisitare, sia pure marginalmente (persino per gli afroamericani non è stato facile rivivere quel trauma fondante della loro identità nelle Americhe: resisi conto che non sarebbero più ritornati alla Madre Africa, a un certo punto decisero di rimuovere quella madre e quei loro dèi familiari così poco efficienti e salvifici per concentrarsi sulle proprie condizioni materiali in quella terra poco ospitale). Ancora di più oggi, dopo l’ennesimo naufragio sotto le coste mediterranee d’Italia, suonano vibranti i versi di Baraka – risuona la sua voce – «at the bottom of the Atlantic Ocean … a railroad of bones». Sul fondo dell’oceano c’è il binario fatto di ossa umane dell’Olocausto nero. Il Black Atlantic riverbera fortissimo nel Black Mediterranean di oggi… chi lo può negare, ormai?

Servirebbe l’intensità di (un) Amiri per elaborare anche su questo…

Sperando di non prestare il fianco a eccezioni di facile autobiografismo, potrei mettere in fila qualche dato:

  • la mia prima tesina di letteratura americana, nel 1972, verte su «Blues People» e le canzoni del Black Power (riconoscenza eterna a Guido Fink per le aperture preziosissime e l’intensità di quei suoi seminari);
  • una delle primissime tesi che, da imberbe accademico supplente, seguo si intitola «Da Leroi Jones a Imamu Amiri Baraka, 1960-1970» (Lamberto Zapparoli, 1979);
  • alla fine degli anni ottanta, curiosando fra le rivistine di un fondo donato al mio dipartimento, riesco a sfogliare un paio di fascicoli di «Yugen», testata fondata e diretta da LeRoi Jones con Hettie Cohen (sua prima moglie): otto numeri in tutto fra il1958 e il 1962; riesco a leggere gli originali di certi saggi celebri come «Cuba Libre» (la rivista è la «Evergreen Review», il fascicolo numero 15 del 1960) o le cose di LeRoi Jones su «Big Table (54 numeri fra il 1959 e il 1960) e le sue recensioni di jazz su «Kulchur»;
  • nel 1995, fra gli open stacks, scaffali tanto bui quanto aperti (God bless ’em!) della McHenry Library, cuore pulsante del campus di Santa Cruz dell’Università della California, mi imbatto in una edizione ciclostilata autografa di «Slave Ship» (diventerà uno dei testi-chiave per la rilettura contemporanea del middle passage e lo uso spesso nei miei corsi); 
  • tengo care due brevissime sequenze video, rispettivamente di LeRoi Jones (Castelporziano 1979) e Amiri Baraka (Milano Poesia 1992), catturate da serate tv della Rai: le uso fino all’abuso in lezioni, conferenze e saggi, magari insieme con l’ascolto di «In Walked Bud», testo barakiano antologizzato nel bel cd «JazzSpeak. A Word Collection» (1991); 
  • ash tedeschi: nel novembre 1994 vedo Baraka esibirsi col suo progetto Blue Ark al JazzFest di Berlino, dove porta in scena «Funk Lore / Black History Music» (un paio di  schegge  compariranno  su  «Real  Song»,  un  cd  registrato  nel  1993  fra  Newark e  Monaco,  in  uscita  nel  1995  per  l’etichetta  tedesca  Enja),  poi  nell’ottobre  1997  lo  manco  alla  quinta  edizione  del  Jazzforum  di  Darmstadt,  interamente  dedicato  alle  influenze  del  jazz  sulla  letteratura:  io  ci  sono,  è  lui  che  non  viene…  in  compenso  conosco  George  Gruntz,  che  ha  scritto  le  musiche  per  il  libretto  barakiano  «Money»,  una  jazz  opera  andata  brevemente in  scena (o forse solo arrivata alle prove generali) nel 1982 nell’atelier o-Broadway del Café La Mama a New York, e che gentilmente mi fa anche leggere il dattiloscritto originale); 
  • chiacchiero con Baraka nella primavera del 1998 a Providence, dopo una conferenza tenuta alla Brown University, poi ancora a Brescia nel 2001 e a Mantova nel 2005.

(*) Qui in blog trovate una mia recensione al libro di Minganti («Amiri Baraka. Ritratto dell’artista in nero») e altro. Eccovi un paio di link: Una serata con Amiri Baraka e Due foto di Amiri Baraka.  A proposito: auguri al giovane-vecchio che resta arzillissimo e geniale.

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 7 ottobrec’erano varie ipotesi: la «giornata mondiale del lavoro dignitoso» oppure 1571: la verità di Lepanto; 1885: nasce Niels Bohr; 1909: nasce Joe Hill; 1931: nasce Desmond Tutu; 1970: alluvione a Genova; 1985: dirottamento nave Lauro; 2001: inizia l’attacco Usa in Afghanistan; 2006: uccisa Anna Politkovskaja. E sull’8 ottobre avevo preso appunti su: 1354: muore Cola Di Rienzo; 1848: nasce Pierre de Geyter; 1882: nascita del «trasformismo» italiano; 1909: muore Cesare Lombroso; 1919: uccisi 11 contadini a Riesi; 1920: Henri Christophe si suicida; 1946: nasce Hanan Ashrawi; 1982: Andreatta ammette il furto del Vaticano contro il Banco Ambrosiano; 1990: uccisi 21 palestinesi a Gerusalemme; 2001: a Linate 118 morti e processo farsa; 2010; legge boliviana contro il razzismo. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

Redazione
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  • Ricordo Le Roi Jones, che vive ancora e che piu’ che ricordato va letto, rileggendo CUBA LIBRE, il racconto di un suo viaggio a Cuba nel 1960 in occasione della festa nazionale del 26 luglio.

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