Su Dacca: quinto post

di Alexik (*)

Bangladesh-maggio-2006[A questo link il capitolo precedente.]

Una ventina di giorni fa Rashida, Sabina e Najma sono state ferite in pieno giorno, in una strada affollata di Gazipur City (Bangladesh), dai colpi di fucile di un gruppo di uomini armati.
Se si fosse trattato di tre ragazze occidentali assalite da un commando jihadista forse avrebbero fatto notizia. Ma sono solo tre operaie della Kojima Lyric Garments Ltd, e gli uomini armati che le hanno colpite avevano le uniformi della polizia bengalese.
Erano scese in piazza, Rashida, Sabina e Najma (25 anni a testa) per richiedere all’impresa l’aumento dell’indennità di presenza e il pagamento pieno del bonus per l’Eid-ul-Fitr, la festività che segna la fine del Ramadan. Accanto avevano centinaia delle loro compagne e compagni, fra cui si contano altri venti feriti per le pallottole, i lacrimogeni ad altezza d’uomo, i colpi di bastone sferrati dalla polizia1.

Gazipur-giugno-2016a

Gazipur, giugno 2016. Fonte: The Daily Sun.

A Rashida, Sabina e Najma è andata relativamente bene. Hanno rischiato di fare la fine di due loro coetanei, Badsha Mia e Ruma Akter, uccisi il 19 novembre del 2013 mentre protestavano davanti alla fabbrica.
Una provocazione palese, questi due morti, calati nel bel mezzo della grande lotta per l’innalzamento del salario minimo, che nel novembre 2013 aveva svuotato le fabbriche di abbigliamento e riempito le strade di tutti i principali distretti industriali. Vale la pena raccontarla, anche per capire che aria tira – ancora oggi – in Bangladesh.

Il 6 novembre 2013 il governo bengalese presieduto da Sheikh Hasina Wazed aveva preannunciato la decisione di innalzare il salario minimo mensile da 3.000 a 5.300 tk (61 € al cambio di oggi).
Subito erano insorte le maggiori associazioni imprenditoriali del settore abbigliamento2 che non volevano sborsare più di 4.250 tk al mese (€ 48,98), sostenendo che i brand internazionali non sarebbero stati disposti a pagare di più la loro merce.
Insorsero però anche i lavoratori, che lottavano da mesi  per un aumento del salario minimo a 8.114 tk (€ 93,52), poco al di sopra della soglia individuale di povertà. Da mesi ‘8.114‘ era la loro parola d’ordine, scandita nei cortei e nei blocchi stradali.

Savar, novembre 2013. Fonte: The Daily Star.

Savar, novembre 2013. Fonte: The Daily Star.

La rabbia per i salari da fame si aggiungeva a quella per il recente crollo del Rana Plaza. Sei mesi dopo il disastro i feriti e i parenti delle operaie morte avevano ricevuto solo delle elemosine dal governo, e solo uno dei brand che si servivano delle subforniture di quelle fabbriche aveva provveduto ad un magro risarcimento. Vivevano una situazione simile anche i superstiti dell’incendio della Tazreen Fashions, dove erano morti 112 lavoratori l’anno prima3.
La tensione era dunque oltre il limite. Si era già espressa negli scioperi di maggio e di settembre, e raggiunse l’apice in prossimità dell’emanazione del decreto del governo sul salario minimo.

Morire di polizia

Il 3 novembre 20.000 lavoratori della Niagara Textile Limited di Kaliakair interruppero il lavoro. Tirarono giù le vetrate della Niagara e delle fabbriche vicine, e assieme ad altri 10.000 operai della zona industriale bloccarono l’autostrada. La polizia li disperse con granate assordanti e lacrimogeni. Quel giorno chiusero settanta fabbrica della zona4.
Una settimana dopo, 2.500 lavoratori della cintura industriale di Ashulia (periferia nord di Dacca) bloccarono la strada Jirabo-Bishmail al grido di ‘8.114’. Difesero il blocco con i copertoni incendiati e i lanci di mattone. Dieci operai rimasero feriti nelle cariche della Polizia Industriale5.

Si, perché in Bangladesh c’è la ‘Polizia Industriale‘ un particolare corpo della polizia di Stato dedicato alle agitazioni sindacali. La sua home page recita così:
Il settore industriale sta giocando un ruolo vitale nell’economia nazionale del Bangladesh. Circa l’ottanta per cento di valuta estera deriva dal settore abbigliamento…  Per salvare la nostra economia è stata richiesta una forza di polizia specializzata per far rispettare la legge e l’ordine nella zona industriale“.

Gazipur, novembre 2013. Fonte: The Daily Star.

Gazipur, novembre 2013. Fonte: The Daily Star.

Malgrado l’Industrial Police, l’11 novembre i blocchi stradali si estesero da Ashulia a Savar. Trentamila operai di 350 fabbriche di abbigliamento uscirono dagli stabilimenti, scontrandosi con la Guardia di Frontiera del Bangladesh, schierata dall’amministrazione del distretto. Lanci di mattoni contro lacrimogeni e proiettili di piombo e di gomma, per un bilancio di 50 feriti6.

Due giorni dopo fu il turno del distretto di Gazipur, dove le autorità avevano disposto la chiusura di alcune fabbriche a scopo precauzionale. Fra queste l’Islam Industrial Group di Konabari, la cui proprietà era particolarmente schierata contro l’innalzamento del salario minimo a 8.114 tk. Quando i lavoratori arrivarono per il turno del mattino trovarono i cancelli serrati, non si dispersero e vennero caricati dalla Polizia Industriale. Diecimila operai delle fabbriche circostanti scesero a dargli man forte, e in 45 rimasero feriti dai proiettili di gomma e dai bastoni.  Gli scontri a Konabari continuarono anche nel pomeriggio, quando un gruppo di manifestanti diede fuoco alla fabbrica della Standard Garment7.

Il 15 novembre ad Ashulia 5.000 lavoratori di oltre 100 fabbriche bloccarono il traffico della Dhaka-Tangail. Il blocco gli costò 35 feriti, ricoverati nei centri medici della zona dopo essere stati colpiti da manganelli e pallottole di gomma8. Dopo tre giorni  a bloccare quel tratto di strada scesero 12.000 scioperanti degli stabilimenti di Ashulia e di Savar. Questa volta i feriti furono 50. Fra questi Babul, operaio della AM Design Limited, era il più grave, colpito da sette pallottole di gomma9.

Joydebpur, novembre 2013. Fonte: The Wall Street Journal.

Gazipur, novembre 2013. Fonte: The Wall Street Journal.

Il 19/11 a Kashimpur, gli operai della GMS Composite Knitting Ltd uscirono dai cancelli per protestare contro l’aggressione fisica di una loro collega da parte di un funzionario della ditta. Erano in 10.000, tutte le maestranze al completo. Fra loro Badsha Mia e Ruma Akter. La polizia li ha attaccati con proiettili e gas lacrimogeni: Badsha è morto per una pallottola in testa, Ruma non ce l’ha fatta dopo essere stata ferita in più punti. Altri 50 manifestanti sono stati colpiti. La polizia, tuttavia, ha sostenuto che gli operai si sono feriti sbattendo sulle pareti nel tentativo di uscire dalla fabbrica10.
La GMS Composite Knitting Ltd, sul suo sito internet declama tuttora la sua attenzione all’ambiente e alle risorse umane.

Il 21 novembre, dopo un’altra giornata di scontri e feriti ad Ashulia11, il governo decretò ufficialmente l’aumento del salario minimo a 5.300 tk.  La lotta per ‘l’8.114’ subì una battuta d’arresto e la frequenza degli scontri diminuì, ma il conflitto è rimasto sempre sottotraccia, pronto a riemergere per ogni ritardo nei pagamenti, per ogni furto sui salari.

Joydebpur , giugno 2016. Fonte: The Daily Star.

Gazipur , giugno 2016. Fonte: The Daily Star.

Morire sotto tortura

Se ai lavoratori in sciopero vengono riservati manganelli e proiettili, ai sindacalisti spettano arresti,  sequestri e torture.
La libertà sindacale in Bangladesh è una conquista recente. Il diritto di organizzazione e di adesione a un sindacato è stata ottenuto con le mobilitazioni degli operai tessili del 2006, a colpi di scioperi, scontri e fabbriche incendiate (con quel ciclo di lotte si ottennero anche il riposo settimanale, il congedo di  maternità, i contratti vincolanti anche per il padrone). Il diritto formale non serve però a fermare gli arresti, i pestaggi e gli assassini di sindacalisti.

Aminul Islam. Fonte: Clean Clothes Campaign.

Aminul Islam. Fonte: Clean Clothes Campaign.

Il 16 giugno 2010 Aminul Islam, ex operaio tessile e membro dello staff del Bangladesh Center for Workers Solidarity (BCWS) venne arrestato,  pestato e minacciato di morte dalle forze di sicurezza. Aminul venne picchiato a lungo, perché i suoi aguzzini volevano che rendesse false testimonianze contro altri membri dell’organizzazione.

Il BCWS era particolarmente sotto tiro. Gli era stato appena tolto lo status legale di ONG, come rappresaglia per l’appoggio dato ai lavoratori della Nassa Global Wear, un’impresa  di proprietà di ex militari molto influenti. La Nassa produceva per i marchi statunitensi (K-Mart, WalMart, Gap Inc., Sears, AMC/Target Corporation, J.C. Penney, Woolrich) ed europei (George, ASDA, Primark, Carrefour, Tesco, H&M, C&A, Sainsburry, Metro AG). Era un’azienda ufficialmente molto ‘impegnata nel sociale’: finanziava borse di studio per studenti ‘poveri e meritevoli’, elargiva donazioni per gli alluvionati…
Peccato che gli operai che cercavano di organizzarvi il sindacato venissero assaliti da scagnozzi al soldo dell’impresa, sia dentro che fuori dalla fabbrica. Decine di attivisti sindacali vennero feriti in questo modo12.

Bangladesh, dicembre 2010. Arresto di Moshrefa Mishu.

Bangladesh, dicembre 2010. Arresto di Moshrefa Mishu. Fonte: bdnews24.

In generale, nell’estate 2010 il clima nel paese era molto pesante. Migliaia di lavoratori dell’abbigliamento scendevano in strada contro la riforma del salario minimo, che il governo stava per fissare a 3.000 tk. C’erano centinaia di arresti che coinvolgevano anche molti attivisti sindacali. Fra questi Kalpona Akter, direttrice esecutiva del BCWS (un’ex bambina operaia) e Babul Ahkter, direttore esecutivo della Bangladesh Garment and Industrial Workers Federation (BGIWF), accusati di “aver fomentato disordini”.
A fine anno venne arrestata anche Moshrefa Mishu, presidente del Garment Workers Unity Forum. In prigione venne maltrattata e minacciata.

Nell’aprile 2012 le minacce contro Aminul Islam si trasformarono in realtà: il suo corpo, pesantemente torturato, con ferite alle gambe e le dita dei piedi spezzate, venne buttato sul ciglio di una strada a 100 km da Dacca13.

Munirizzaman Monir. Fonte: Clean Clothes Campaign.

Munirizzaman Monir. Fonte: Clean Clothes Campaign.

Due anni dopo (maggio 2014) Munirizzaman Monir, dirigente della National Garment Workers Federation (NGWF) venne trovato privo di sensi, con una gamba rotta ed altre lesioni, sul ciglio di una strada a 45 km da Dacca.
La sua colpa era quella di aver supportato 32 lavoratori della Pioneer Knitwear Factory, licenziati per aver tentato di organizzare un sindacato. La Pioneer Knitwear Factory, un’impresa di Jamirdia, produceva per la catena danese C&A e la svedese H&M.
Monir disse che era stato rapito da un gruppo di uomini armati che agivano su ordine della dirigenza della Pioneer Knitwear.
Nello stesso giorno vennero vandalizzati e saccheggiati l’ufficio locale del sindacato e la casa di Monir. Altri due dirigenti sindacali della Pioneer vennero picchiati con spranghe di ferro, tenuti in ostaggio sotto tiro. La famiglia di Monir fu costretta ad abbandonare la propria casa, temendo per la propria incolumità, dopo che il cognato del sindacalista venne aggredito, ferito e minacciato14. (Continua)


  1. 3 RMG workers shot in clash with cops over Eid bonus, The Daily Star, 22 giugno 2016
  2. La Bangladesh Garment Manufacturers and Exporters Association e la Bangladesh Knitwear Manufacturers and Exporters Association.
  3. Clean Clothes Campaign, Still waiting. Six months after history’s deadliest apparel industry disaster, workers continue to fight for compensation, 2013, p. 27
  4. 70 Gazipur RMG units shut after worker cop clash, The Daily Star, 3 novembre 2013.
  5. 10 hurt in Ashulia worker-cop clash, The Daily Star, 10 novembre 2013.
  6. RMG unrest in Savar, Ashulia. 50 units shut after worker-cop clash, The Daily Star, 11 novembre 2013.
  7. 70 hurt in cop-RMG worker clash in Gazipur, Savar, The Daily Star, 13 novembre 2013.
  8. Unrest in Ashulia: 100 factories shut, The Daily Star, 15 novembre 2013.
  9. 50 hurt in cop-RMG worker clash, The Daily Star, 18 novembre 2013.
  10. 2 Killed in Gazipur as RMG workers clash with cops, The Daily Star, 19 novembre 2013.
  11. 10 hurt in Ashulia worker-cop clash, The Daily Star, 20 novembre 2013.
  12. Clean Clothes Campaign, Bangladesh labour leaders fearing for physical safety, 10 agosto 2010
  13. Clean Clothes Campaign, Bangladeshi labor rights activist tortured and murdered, 11 aprile 2012.14. Union leader tortured, CCC 7/01/15 
alexik

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