Teorema pasoliniano

di Gianluca Cicinelli

Il grande nemico di Pasolini oggi non sarebbe stato soltanto il politicamente corretto, ma il “citazionismo” che accompagna il suo ricordo sui social, nemico mortale della sua infinita dialettica umanistica, che mai tentava di ridurre la complessità ma di restituircela depurata da ovvietà e luoghi comuni. Molti anni fa, per il ventennale della sua morte, organizzai una diretta radiofonica di 24 ore, Radio Corsara, dalle frequenze di Radio Città Futura, che andò a finire sulla prima pagina cultura del Corriere della Sera, per quanto questo possa avere un valore. Furono tre mesi di preparazione e di studio di grande intensità, che videro la fine soltanto perchè ormai la data della messa in onda si avvicinava e non certo perchè si era esaurito lo studio di un essere umano complicato e talvolta sgradevole oltre che illuminante, perchè tutte queste cose, non riducibili all’icona della citazione per tutte le occasioni, questo era Pasolini.

Nel ventesimo secolo soltanto due personaggi in vita e in morte possono essere accostati a Gesù Cristo per aver consumato con la loro passione per la vita e il sacrificio della morte tutto l’amore possibile per l’umanità e aver tentato di varcare i confini delle relazioni tra opposti e sono Che Guevara e Pasolini. Nei motivi della loro morte “per gli altri” troviamo quel Cristo rivoluzionario che amiamo anche noi atei, essere umano estremo nella ricerca di uguaglianza e di conseguenza politicamente radicale nel sostenere le ragioni degli ultimi. Ma se il Che ha trovato in qualche modo la sua liberazione nella rivoluzione di Cuba, prima di essere venduto e ucciso in Bolivia, a Pasolini il destino, se per destino intendiamo ciò che altri esseri umani potenti decidono per noi, ha riservato di morire senza aver mai vinto una battaglia, insultato e deriso in vita, insultato e travisato in morte. L’unica battaglia rimasta dell’eredità culturale pasoliniana è quella della corsa all’ipocrisia per impossessarsi del suo patrimonio ideologico, questa sì un’eresia. Una corsa fallita ancora prima di cominciare.

Se nella letteratura italiana contiamo almeno una ventina di “nuovi” Pasolini svaniti nel nulla del divora e trangugia editoriale di massa, in politica e nel costume le indicazioni di Pasolini sono rimaste inascoltate, come accadde per la polemica anti prospettivista che gli riversò addosso il Partito Comunista Italiano, accusandolo di non dare speranza ai suoi ragazzi di borgata, a cui invece il sol dell’avvenire avrebbe portato una nuova società. In quell’epoca, per dare la dimensione della follia ideologica all’interno della quale operò Pasolini, le stesse accuse venivano fatte non solo da Andreotti al neorealismo (“i panni sporchi si lavano in famiglia”), ma dalla parte opposta si riscrivevano i finali dei film, come accadde per “Ladri di biciclette”, che nella versione circolata in Unione Sovietica continuava, dopo l’ultima scena della versione originale in cui il bambino dà la mano al padre, con i due che si avviavano (di spalle perchè ovviamente era una scena aggiunta) verso un comizio di Togliatti. Non soltanto la nuova società non è venuta, o meglio, è venuta e fa più schifo di prima per mancanza d’inclusione, dando quindi ragione a Pasolini, ma non esistono più nemmeno gli spazi di libertà intellettuale e artistica in cui ha operato Pasolini.

Ho conosciuto e sono stato amico di Pino Pelosi, l’unico condannato per l’omicidio di Pasolini, per lungo tempo. E’ ormai risaputo che i due avevano avuto una storia da diversi mesi prima della notte dell’omicidio e non si conobbero la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975. Probabilmente era solo Pasolini ad avere una storia con lui, che aveva comunque visto nel poeta un’occasione per uscire dalla miseria. Ma nonostante mi fossi personalmente convinto della sincerità del dolore di Pino per aver preso parte alla spedizione mortale, mi ha sempre colpito il modo in cui, le pochissime volte che sono riuscito a portare il discorso su Pasolini come persona, il giudizio di Pelosi fosse rimasto comunque di grande rispetto ma con una sorta di “condanna” per l’illusione di Pasolini di costruire un rapporto puro, scevro da altro che non fosse amore per l’altro, per gli altri. E’ però il giudizio più sincero che ho ascoltato su Pasolini, l’unico che sarebbe in grado di farci rileggere libri e poesie di Pasolini alla luce della contemporaneità. Un illuso, saggio ma illuso, la cui mente affilata e in grado di penetrare nelle profondità dell’analisi sociologica e di costume non è stata in grado di penetrare la corazza dell’incomunicabilità tra esseri umani. Possiamo capire l’opera di Pasolini soltanto pensando a lui come un illuso, l’uomo più solo del ventesimo secolo.

ciuoti

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