Turchia: democrazia, diritto di voto e la guerra in città

17807427689_cefeb13b0b_zdi Valentina Bazzarin

Oggi, domenica 1 novembre in Turchia si vota nuovamente a soli 5 mesi dall’ultimo appuntamento elettorale, che ha visto le ambizioni di Erdoğan di trasformare il Paese nel suo sultanato parzialmente ridimensionate grazie alla mancanza della maggioranza assoluta necessaria a raggiungere il suo ambizioso progetto egemonico. Con la metà dei seggi scrutinati prare che Erdoğan sia riuscito a raggiungere il suo obiettivo, nonostante le denunce di brogli presentate dai numerosi osservatori internazionali invitati a vigilare sulle operazioni di voto.

Screen Shot 2015-11-01 at 4.21.10 PM Screen Shot 2015-11-01 at 4.21.19 PM

Il clima in Turchia è teso, ma – nonostante i numerosi e sanguinosi attentati, la chiusura di alcune emittenti televisive, il suicidio avvolto di mistero di una giornalista della BBC, le quotidiane repressioni di ogni forma di dissenso – più del 70% del popolo turco ancora una volta si è recato coraggiosamente alle urne, dando prova di infinito coraggio nel difendere la democrazia. Il 10 ottobre scorso una bomba è esplosa ad Ankara e l’indagine condotta dalla magistratura ha attribuito la responsabilità dell’atto allo Stato Islamico.

Un altro episodio del quale la stampa internazionale si è poco occupata riguarda l’ingresso dell’esercito turco in alcune città turche al confine con la Siria. Ho avuto la possibilità di discutere di queste azioni con Giovanni Paglia, parlamentare di SEL di ritorno dalla Turchia, a lato di un’iniziativa organizzata dalla formazione di sinistra europea GUE/NGL, intitolata Eurhope svoltasi a Bari a fine settembre. Paglia ha accettato l’invito a partecipare alla Carovana Internazionale che aveva l’obiettivo di aprire un corridoio umanitario verso Kobane passando per le città del Kurdistan turco recentemente assediate dall’esercito turco. Nelle sue parole si intuiscono chiaramente le incertezze e i dubbi sulle condizioni in cui avviene questa tornata elettorale. E anche la frustrazione di una comunità internazionale incapace di applicare i dispositivi disegnati per garantire il diritto al voto e la libertà di espressione.

Erdoğan attualmente è presidente della Turchia. Il Presidente della Turchia non ha poteri. Ha meno poteri del Presidente della Repubblica Italiana a livello Costituzionale. In Turchia ha potere non in quanto Presidente della Repubblica, ma in quanto capo del suo partito che è il partito di maggioranza assoluta. Da qui la sua volontà di cambiare la costituzione per passare ad un sistema presidenziale sul modello russo. In cui i poteri sono concentrati sulla figura del Presidente. Lui lo vuole fare, lo deve fare e lo deve fare rapidamente. Altrimenti rischia di perdere le presa. Alla lunga ricoprendo ruolo privo di reali potere costituzionali, il rischio c’è. Quindi loro cosa fanno? Hanno questo meccanismo per cui il sistema elettorale turco è proporzionale con lo sbarramento elevato al 10%, contando che è un sistema molto frammentato dal punto di vista politico l’idea è che ne rimangano talmente tanti sotto lo sbarramento che il partito di maggioranza relativa ha la maggioranza assoluta perché scatta un premio di maggioranza enorme, perché si prende tutti i seggi. Ma nasce questo partito che si chiama HDP (Partito Democratico del Popolo, nda) dalla fusione tra il partito regionale del Kurdistan e i partiti della storica sinistra turca, e prende il 14%. Quindi entra in Parlamento e prende quei seggi che Erdoğan aveva previsto per se’ stesso e quindi non ha la maggioranza assoluta e non può cambiare la Costituzione. Quindi non è casuale che riprendano le ostilità. Perché il tema decisivo diventa, con le elezioni che ci saranno adesso a novembre, attraverso la repressione e tutto quello che si può immaginare, cercano di far stare l’HDP sotto lo sbarramento. L’HDP stesso in questo momento è indeciso se chiedere il voto. Infatti per votare dentro a delle città invase dall’esercito e dalla polizia non è facile.

Quindi dichiara guerra e vengono bombardate le postazioni del PKK, che sono sulle montagne, ma anche le città […]  ci è arrivata una richiesta formale da parte dell’HDP di partecipare come osservatori alle elezioni di novembre. Ci hanno scritto per chiederci se come deputati di SEL, ma l’invito e’ rivolto a tutti i deputati italiani, di andare a fare questa esperienza di osservatori internazionali poiché il timore di brogli è forte, anche se in Turchia, se ho capito bene, le elezioni sono mediamente corrette. L’ultimo giro è andato male per chi deteneva il potere da anni. Questa volta rischia. Poi il tema non è tanto l’andare a votare, ma attualmente, da quando è iniziata l’ondata repressiva, sono stati incarcerati 400 quadri dirigenti. E sono stati incarcerati perché da loro è possibile… intanto ti incarcero e poi vedremo. Senza nemmeno un processo attivato. Il processo si attiva dopo. L’arresto è amministrativo poi si manda da un giudice e si vedrà. Loro dicono sistematicamente ci hanno preso, non ne hanno arrestati 500 a caso, sono andati a prendere gli snodi fondamentali della nostra organizzazione, e quindi prendere impegni in partito o fare una campagna elettorale con 500 tra dirigenti e sindaci arrestati e portati dentro, impossibilitati a lavorare sulla campagna elettorale è un problema. Hanno dato fuoco alle sedi dell’HDP o le hanno assaltate nella zona curda.

L’esercito di autodifesa curdo pare non sia molto organizzato pare non si aspettasse di dover ingaggiare la battaglia dentro la capitale. Nelle montagne si combatte ogni giorno, ma il nuovo fronte del conflitto sono le città e gli obiettivi i civili.

Paglia conclude con una nota di ottimismo sull’esperienza curda:

17718815073_a67c22b8b8_z[…] la riflessione che loro fanno sul tema dell’autogoverno delle comunità e di costruzione di democrazia dal basso, organizzazione dei partiti con una riflessione sul genere, è molto avanzata e molto interessante sul piano del dibattito anche per noi, anche se in contesti assolutamente diversi, perché una cosa è autogovernarsi in realtà sostanzialmente rurali e un altro è pensare all’autogoverno di realtà complesse come possono essere le nostre città.

 

Il risultato di questa vicenda elettorale ormai pare scontato, ma l’esperienza richiama quella della Resistenza in Italia o quella dello zapatismo in Messico e sarebbe utile provare a costruire degli spazi di dialogo per incrociare il tema della governance multinazionale dei Curdi con la governance multinazionale che noi abbiamo nell’Unione Europea

Penso che ci sia un ritorno della riflessione sulla Resistenza mi ha colpito. Sono anni che nella riflessione politica, anche non mainstream, non si fa. Può ricordare in parte lo zapatismo come punto di riflessione sull’autogoverno comunitario, con in più questo elemento interessante sul tema della nazionalità. Entrambe sono realtà senza stato ma ha dei principi di governance multistato. Loro si pongono lo stesso problema. Sono comunità diverse. Solo nella Rojava hai 4 lingue diverse. Gruppi diversi che si stanno autogovernando. Quindi gruppi diversi che possono essere interessanti anche per noi come punto di riflessione. Come tenere assieme gruppi così diversi in modo democratico invece che in modo tecnico?

Foto tratte da Flickr e rilasciate con licenza CC By Julia Buzaud e immagini tratte da Twitter utilizzando #Turkeyvotes

Valentina Bazzarin
Valentina Bazzarin lavora stabilmente come ricercatrice precaria (assegnista) all'Università di Bologna sin dal 2009, anno in cui ha ottenuto il Dottorato in Psicologia Generale e Clinica. Collabora in maniera saltuaria con la Bottega e con il Barbieri, scrivendo e descrivendo quel che vede e pensa durante i suoi numerosi viaggi.

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *