«Una democrazia senza popolo»
Recensione di Gianmarco Martignoni al libro dello storico e parlamentare Federico Fornaro (Bollati Boringhieri, pagg. 167, euro 14)
Nella pletora delle pubblicazioni che si interrogano sulle cause dell’espansione e dell’egemonia delle destre su scala planetaria, il recente libro dello storico e parlamentare Federico Fornaro Una democrazia senza popolo (Bollati Boringhieri pag. 167 euro 14 ) ha il pregio di analizzare l’involuzione del caso italiano collocandola, sulla scorta delle tesi esposte da Colin Crouch nell’imprescindibile libro “Postdemocrazia” , nel quadro del vistoso arretramento della democrazia rispetto alle dinamiche della globalizzazione capitalistica.
Infatti Fornaro, dopo aver rilevato che secondo i rapporti di Freedom House il 57% dei 195 stati indipendenti nel mondo non sono ascrivibili al concetto di democrazia, si concentra sulle conseguenze che la grande recessione del biennio 2007-2008 ha determinato in Europa sui cittadini-consumatori, segnalando come l’impoverimento e la deprivazione del futuro generati dalla crescita delle diseguaglianze socio-economiche, ha permesso alle formazioni neopopuliste di sfondare sul piano elettorale, intercettando il bisogno di protezione economica ed identitaria.
I dati riferiti alle elezioni del Parlamento europeo del 2024, oltre a certificare la crisi di rappresentanza delle formazioni della sinistra in corrispondenza all’erosione del modello socialdemocratico, sono eloquenti e preoccupanti: sommando i voti del gruppo dei Patrioti europei (84 seggi) con quelli dei Conservatori e Riformisti europei (78 seggi), avremmo un totale di 162 seggi, mentre il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici ha solo136 seggi e il Partito popolare europeo 188 seggi.
La presenza di un blocco reazionario di tale consistenza, le destre sono il primo partito in ben sei nazioni, spiega le reiterate scivolate a destra del Ppe, in particolare sulle tematiche cruciali dell’immigrazione e della transizione ecologica mediante il Green Deal. Se nel nostro paese la destra missina di Alleanza Nazionale, guidata da Gianfranco Fini, era già stata sdoganata nel 1994 dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi e di Forza Italia, ha fatto scalpore non solo in Europa la perentoria ascesa di Giorgia Meloni, anche per via della condotta suicida della sinistra.
Quattro sono i fattori disgreganti la coesione sociale del paese, i cosiddetti “tarli del legno”, che hanno determinato l’affermazione di Fratelli d’Italia e che possono favorire la deriva plebiscitaria della nostra democrazia attraverso il premierato e la sottomissione della magistratura all’esecutivo: il dilagare sistemico delle diseguaglianze sociali; la distruzione del passato, ovvero l’interruzione della trasmissione inter-generazionale della memoria; nell’epoca della post-verità l’opinione pubblica subisce il condizionamento della disinformazione grazie al dominio delle piattaforme digitali; l’eclisse del futuro in un tempo dominato dall’incertezza e dallo spaesamento sociale.
Pertanto, è particolarmente interessante l’attenzione che Fornaro dedica al coefficiente Gini, ovvero “il misuratore sintetico del livello delle diseguaglianze”, e alla crescita dell’impoverimento di chi lavora, mediante statistiche sia di fonte governativa che di carattere europeo. Per quanto concerne il coefficiente Gini l’Italia con il valore pari al 31,5, si colloca poco sopra la media dell’Unione Europea, che è stimata al 29,6, mentre la Germania è attestata al 29,4 e la Francia al 29,7. Invece, analizzando le classi dei redditi e dei contribuenti sulla base dell’anno 2022, emerge come il 28,2% dei cittadini non supera i 10.000 euro lordi all’anno, mentre complessivamente il 70% è sotto i 26.000 euro all’anno.
Inoltre, l’1% più ricco dei contribuenti detiene un patrimonio 84 volte superiore a quello del 20% più povero della popolazione, tanto che nella storica lotta tra capitale e lavoro nel periodo 1983-2005 si è verificato un travaso di ricchezza pari a 8 punti sul Pil. Ovvero una cifra stimata in circa 120 miliardi di euro all’anno, che sulla busta paga di 17milioni di dipendenti privati e pubblici avrebbe significato ben settemila euro in più all’anno.
Oltre a pensioni non decurtate ingiustamente del loro valore effettivo. E’ anche da questa redistribuzione dei redditi al contrario, causata del perverso meccanismo del fiscal drag, che scaturisce per Fornaro nelle classi popolari una miscela di rabbia sociale e disaffezione rispetto agli istituti della nostra democrazia. Una disillusione ed una disaffezione che si traducono in un preoccupante indebolimento delle organizzazioni sindacali tra i lavoratori attivi, stante l’ampliarsi delle aree del lavoro desindacalizzate o non sindacalizzabile, ed una vertiginosa crisi di rappresentatività dei partiti.
Al contempo la regressione sociale che ha investito il nostro paese, affetto da un costante declino economico e culturale, stante che il Censis ha rilevato nel 2024 addirittura un allargamento a base di massa dell’analfabetismo funzionale, è fotografata dalla costante crescita dell’astensionismo, mentre si rafforza, mediante l’uso dei social, il rapporto diretto tra il leader e l’elettore nell’epoca della cosiddetta disintermediazione. Un astensionismo rancoroso, fondato sulla sfiducia nel voto quale strumento di cambiamento delle condizioni materiali, che si configura come un “astensionismo di classe”, poiché è sempre più netta la differenza tra quanti si recano alle urne sulla base di una condizione socioeconomica soddisfacente, che è invece frustrante per chi le diserta.