Una sfida poco nota a Tacho Somoza

Storie dal Nicaragua

di Bái Qiú’ēn

La nave ha anche un motore / Ed avendo un motore non sa dove va ma continua ad andare (Giorgio Gaber, 1973).

La difficoltà della Verità è nel fatto che la Verità non è semplice se non per coloro che la colgono come un tutto. La vera definizione di un entusiasta, sarebbe quella di un individuo che ha afferrato una singola verità, ma senza volere né poter essere in grado di porla in relazione con altre verità. Costui è incapace di comprensione e di umanità (Marshall McLuhan).

Plata para los amigos, palo para los indiferentes y plomo para los enemigos (Anastasio Somoza García).

Un modesto commerciante di Granada, il contabile ventottenne Daniel Simeón Ortega Cerda, nel 1933 ebbe un breve scambio epistolare con Sandino, proponendo al Generale degli Uomini Liberi di facilitare lo sviluppo dell’appena fondata Cooperativa Río Coco (formata da contadini smobilitati dall’Esercito liberatore) con il trasporto dei prodotti agricoli per la vendita sul mercato, con l’intercessione di Sofonías Salvatierra, l’allora ministro del lavoro e dell’agricoltura.

Scrive un paio di lettere il 19 marzo e poi probabilmente il 1° maggio 1933, nelle quali avanza la suddetta proposta e aggiunge: «Stimato generale Sandino… da questo momento mi annoveri tra i suoi incondizionati e soldati leali. Gradirei un salvacondotto non datato… per venire da lei e poter combattere al suo fianco». Scusandosi per il ritardo, il successivo 8 luglio Sandino gli risponde da Wiwilí.

Il 21 febbraio 1934 Sandino è assassinato dalla Guardia Nacional su ordine di Anastasio Somoza García con il placet dell’ambasciatore gringo Athur Bliss Lane e il successivo 26 maggio Daniel Ortega Cerda invia una lettera al direttore della G.N., la quale è resa pubblica:

«Signor Direttore,

«So che il Quartier Generale della G.N. recentemente stava cercando di localizzarmi a Jinotega e che il mio nome è nella sua lista nera per aver trovato una mia lettera indirizzata un anno fa all’indimenticabile generale A.C. Sandino.

«Se essere in quella lista nera significa che sarò assassinato dalla G.N., subendo così la stessa sorte dell’eroe vilmente sacrificato la notte del 21 febbraio 1934, per il solo fatto di ammirare e simpatizzare con l’ideale e con l’uomo che ha incarnato l’eroica ribellione del nostro sangue indio-latino e il patriottismo nicaraguense, accetto di buon grado il sacrificio per sostenere i miei ideali.

«Mi piace pensare che nella G.N. ci debbano essere alcuni ufficiali e soldati tra quelli da voi arruolati che non saranno talmente eunuchi da farsi spogliare impunemente del loro grado e delle loro armi dall’invasore imperialista yankee nel suo futuro ritorno in questo sfortunato paese incompreso dall’ambizione dei loro figli ingrati.

«Per sua informazione, le comunico che attualmente lavoro presso la ditta Guillermo Hüper di Matagalpa, e per una più facile identificazione, allego una foto.

«Senza ulteriori indugi, mi firmo».

Fu arrestato e obbligato a camminare scalzo per quasi ventidue chilometri, da Matagalpa a Jinotega, e si salvò dalla fucilazione grazie all’intervento di suo padre Marcos Antonio Ortega Echaverri, direttore del Instituto Nacional de Oriente e maestro elementare di Somoza, oltre che suo fervido sostenitore alla guida della Guardia Nacional (oltreché autore dell’Inno nazionale cantato dal 1910 al 1939 Patria Amada). Daniel Ortega Cerda, figlio illegittimo, fu comunque incarcerato per tre mesi a La Pólvora di Granada.

Meno di tre anni dopo, il 1° gennaio 1937 Somoza divenne Presidente del Nicaragua; l’anno precedente aveva pubblicato a suo nome El verdadero Sandino o el calvario de Las Segovias, scritto però da un suo sottoposto.

Daniel Simeón Ortega Cerda nacque il 18 febbraio 1905 a Los Rincones (Masatepe) e morì in esilio il 21 aprile 1975 a Oakland (California), negli stessi giorni in cui suo figlio José Daniel Ortega Saavedra (con il nome di battaglia Enrique) entrò a far parte della Direzione nazionale del FSLN, costituitasi a La Habana.

Sia lui sia la moglie Lidia Albertina Saavedra Rivas (1908-2005), quando il figlio José Daniel (Danielito) è arrestato e condannato nel marzo del 1969, organizzano proteste e manifestazioni, scioperi della fame, rilasciano interviste agli organi di stampa nazionali e internazionali, pubblicano a pagamento vari annuncio sui quotidiani. Oggi sarebbero entrambi accusati di atti terroristici, in base alle norme volute dal loro stesso figlio a partire dal 2018, che nel loro combinato disposto non ci paiono molto diverse come spirito dall’art. 5 del primo decreto del governo Meloni (n. 162/2022), che punisce chiunque organizzi e/o partecipi a un raduno in uno spazio privato o pubblico (leggasi: occupazione universitaria o manifestazione in piazza). Ma noi abbiamo un governo neofascista, mentre in Nicaragua c’è il socialismo realizzato.

Il 27 dicembre 1974 un commando guerrigliero del quale faceva parte Hugo Torres assaltò l’abitazione del notabile somozista José María Castillo Quant (detto Chema), ottenendo la liberazione di vari carcerati, tra i quali Daniel Ortega Saavedra, detenuto dal novembre 1967 nel carcere La Modelo di Tipitapa.

Trascorrono parecchi anni e, dopo la morte in ospedale del comandante guerrigliero Hugo Torres, incarcerato il 13 giugno 2021 con accuse pretestuose, il 18 febbraio 2022 Humberto Ortega Saavedra, ex capo dell’Esercito Sandinista e ministro della Difesa che per sua fortuna vive da tempo in Costa Rica (essendo da tempo dichiarato con amore fraterno «vendepatria», «golpista» e «lacché dell’Impero»), fa pubblicare ne La Prensa le proprie condoglianze e aggiunge il ricordo personale: «Nel febbraio del 1934, poco dopo l’assassinio nel corso delle trattative di pace del generale Augusto César Sandino, don Daniel Simeón Ortega Cerda, mio ​​padre, viene catturato per aver scambiato lettere con Sandino, e un luogotenente della G.N. decide di non rispettare l’ordine di assassinarlo. […] Hugo Torres […] non rifugge dal sacrificio, dal carcere, con cui dimostra ancora una volta le sue convinzioni rivoluzionarie, e muore, come chiunque a quell’età e nelle sue condizioni fisiche, essendo esposto a una crudele reclusione».

Pochi giorni prima, il 12 febbraio, il Ministerio Público, con il comunicato n. 22-2022 (successivo di qualche ora rispetto alla morte) aveva informato che «Dal momento in cui le sue condizioni di salute sono peggiorate, è stato trasferito in un ospedale della capitale per essere curato. Il Ministero Pubblico, venuto a conoscenza della gravità della malattia, per motivi umanitari, ha chiesto all’Autorità giudiziaria la sospensione definitiva dell’avvio del processo orale e pubblico, che è stato autorizzato dal tribunale».

«La nave e sopra la nave / A parte le masse, son tutti presenti gli amici e i parenti».

In un precedente articolo abbiamo affrontato la situazione attuale dei magistrati nicaraguensi, ligi agli ordini provenienti da El Carmen ma sempre più incerti sulla loro sorte, viste le facili destituzioni che sono ormai prassi quotidiana da oltre un paio di anni, quando non le carcerazioni. Non a caso, seppure con il contagocce, molti fuggono dal Paese a gambe levate e si sa che da un misero e insignificante sassolino può formarsi una frana di dimensioni gigantesche. Il 31 ottobre 2022 si è saputo che la fedele orteguista (fino al giorno prima) María Concepción Ugarte Barillas, che ricopriva l’incarico di magistrato di sorveglianza (Juzgado Sexto de Distrito Penal de vigilancia y ejecución penitenciaria) ed era ufficialmente nel “cerchio magico” del vicepresidente della Corte Suprema de Justicia (CSJ) Marvin Ramiro Aguilar García, il 28 ottobre è uscita clandestinamente dal Paese (non si sa esattamente da dove), è salita su un aereo e si è diretta negli Stati Uniti, probabilmente intenzionata a richiedere asilo politico come hanno fatto in luglio Roberto Samuel Zúñiga Martínez giudice a Puetro Morazán-Tonalá (Chinandega), in agosto Juan Ramón Jarquín Reyes appena nominato Juez de Ejecución y Embargos de la Circunscripción Sur (dipartimenti di Granada, Carazo e Rivas), negli stessi giorni pure Léster René Bojorge Rodríguez della Corte d’appello di Managua ha lasciato il suo posto per uscire dalle frontiere e in settembre Liseth de los Ángeles Santamaría Duarte, magistrato penale a Nueva Guinea (Costa Atlantica).

A costoro, probabilmente non unici, occorre aggiungere parecchi magistrati che negli ultimi due-tre anni hanno rinunciato volontariamente al loro incarico. Ciascuno con la propria motivazione, che non sempre è politica o di coscienza, ma alle volte forse dovuta al mobbing.

La fuga clandestina attraverso quelli che sono comunemente definiti puntos ciegos, evadendo in tal modo i controlli migratori, è praticamente l’unica via per uscire dal Paese, poiché da tempo ai funzionari del Potere Giudiziario è vietato lasciarlo senza l’autorizzazione dei loro diretti superiori (in numerosi casi è stato loro ritirato il passaporto, ma non a tutti a quanto pare, forse perché ritenuti assolutamente fedeli). Eppure, l’art. 31 della Costituzione afferma senza possibilità di interpretazioni distorte che «I nicaraguensi hanno il diritto di circolare e stabilire la loro residenza in qualsiasi parte del territorio nazionale; entrare ed uscire liberamente dal Paese» e nessuna legge o regolamento ufficiale limita questi diritti, se non gli ordini verbali che provengono da El Carmen. Ai quali è rischioso non obbedire ciecamente, come è accaduto di recente a Roberto Larios Meléndez, incarcerato con l’accusa di essere un traditore della Patria (palo para los indiferentes y plomo para los enemigos).

Dubitiamo che il piccolo naviglio (con il comandante Daniel nel ruolo di nocchiere e Rosario come navigatrice bendata che «non sa dove va ma continua ad andare») stia affondando, come afferma qualcuno, però è indubbio che siano già in parecchi ad averlo abbandonato, in un modo o nell’altro. Nulla di grave, poiché il Potere tace e i megafoni esteri pure (Plata para los amigos).

Essendo anteriore all’era informatica, nel mondo orwelliano di Millenovecentoottantaquattro in cui impera il culto della personalità, all’interno del ministero della Verità esisteva il «Buco della memoria» (Memory hole), per alterare o far sparire fotografie, trascrizioni e documenti scomodi o imbarazzanti, cancellandone definitivamente la memoria. Se però un fatto non lo si rende di pubblico dominio («Buco dell’informazione»), per il comune cittadino è come se non fosse mai accaduto e non occorre inventare un meccanismo per cancellarlo e soffocare il ricordo di fatti politicamente scomodi. Il peggiore dei mondi possibili, già presente e operante: «persino la correzione continua della storia (una delle trovate più popolari e agghiaccianti del romanzo), […] era già cronaca, anche se rimossa» (Umberto Eco).

Chissà se George Orwell (al secolo Eric Arthur Blair) si sarebbe oggi domandato se il moderno primo centro di cremazione (gratuito) inaugurato a fine ottobre presso il Centro di salute di Mateare (a soli 24 chilometri da Managua) sarà utilizzato dal MINSA solo per evitare lo sfruttamento eccessivo di suolo nei cimiteri o anche dal Ministero della Verità per eliminare documenti compromettenti?

«Avanti, avanti, avanti, / si può spingere di più / Insieme nella vita a testa in su».

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