Un’Arena di pace e disarmo

di Donata Frigerio

25 aprile 2014, giornata della Liberazione e della Resistenza.
«La Liberazione oggi si chiama disarmo». «La Resistenza oggi si chiama nonviolenza».
Sono le due frasi che accolgono il popolo della pace, quando si aprono i cancelli dell’Arena di Verona,

ai lati del grande palco da cui parleranno preti, sindaci, responsabili di cooperative, sindacalisti, artisti, testimoni. Unico tema è la pace, declinata in mille modi diversi.
Fa caldo, si aprono gli ombrelli che proteggono anche dal sole. Sventolano decine di bandiere della pace. Siamo una macchia che colora di arcobaleno le gradinate dell’anfiteatro.
Come riassumere 7 ore di manifestazione serissima e festosa insieme? Per approfondimenti invito tutti a visitare il sito arenapacedisarmo.org. Io provo a comunicarvi le emozioni, parte integrante dell’Arena. La pace deve entrarci nelle viscere, che si contorcono quando sono snocciolati e denunciati i mille casi di violenza, ingiustizia, guerra.
Scrivo qualche frase sul mio quadernino, in ordine sparso.
«Chiediamo al governo di ascoltare e rispettare la nostra scelta di difendere l’Italia in modo nonviolento» gridano i giovani del servizio civile e i corpi civili di pace.
«La nostra generazione ha distrutto il mondo» tuona padre Zanotelli: «o la nonviolenza o la nonesistenza, e non si tratta solo delle armi”. Padre Alex denuncia “O’ sistema”, come lo definiscono a Napoli, la dittatura delle banche e della finanza, degli 85 uomini più ricchi, che hanno complessivamente lo stesso reddito annuo suddiviso fra 2miliardi e mezzo degli esseri umani più poveri del mondo. «No al razzismo di Stato, no alle 200 bombe atomiche in Europa e alle 70 installate in Italia, no ai droni a Sigonella, no ai cappellani militari, sì alla giustizia sociale… noi non vogliamo armi, vogliamo la vita».
Il sindaco di Messina, Renato Accorinti, accaloratissimo, richiama tutte/i ad essere protagonisti di impegno politico per la pace, sottolinea che «mentre altri lavorano per dividersi, noi (Messina e Reggio Calabria insieme) stiamo lavorando per unirci».
Veniamo a sapere, dal sindacalista Gianni Alioti, che «gli aderenti a Fim e Fiom dicono no agli F35» anche a rischio di perdere posti di lavoro. E si parla di riconversione delle fabbriche. Monsignor Bettazzi – vescovo 90enne, da sempre in prima linea per la pace – ricorda come la riconversione non fu difficile, alla fine della guerra, nel ’45. Si rammenta anche il 100esimo anniversario della prima guerra mondiale, scoppiata nel luglio 1914, «inutile strage». E anche l’anniversario, il 26 aprile, del disastro di Chernobyl.
Don Albino Bizzotto, dei Beati costruttori di Pace, chiede «il disarmo della terra dal cemento», ricordando la sofferenza del nostro pianeta e la necessità di tener conto del punto di vista della Terra. Dobbiamo continuare a guardare «i nostri Paesi come luoghi dove è bello abitare e non come corridoi di velocità» come ci impongono le “grandi opere”.
Don Ciotti, fondatore di Libera, grida fino a diventare rauco contro l’ingiustizia, la terribile ingiustizia giudiziaria, per cui «alcuni stanno in carcere una vita e altri sconteranno la loro pena con 4 ore di lavoro settimanale».
L’impegno per la pace porta energia… la musica si intreccia a discorsi più seri, con una sfilata di artisti…. in contrasto, ma solo apparentemente, con momenti di silenzio assoluto. Il primo momento spontaneo è quando ha preso la parola un sopravvissuto ai campi di concentramento tedeschi. Il secondo, richiesto, lungo un minuto, per commemorare le vittime delle guerre. Silenzio anche durante la commemorazione dei “morti dell’Arena”, da don Tonino Bello ad Alex Langer, da padre Turoldo a Vittorio Arrigoni.
Mao Valpiana, del Movimento Nonviolento, chiude gli interventi, con la lettura dell’appello dell’Arena (lo trovate sul sito arenapacedisarmo.org) e con la richiesta della creazione di un Dipartimento di difesa civile, non armata e nonviolenta, che gestisca i Corpi civili di pace, il servizio civile volontario aperto a tutti i giovani (ora solo 1 sui 10 che lo richiedono arriva a svolgerlo), la protezione civile.
Il sole tramonta, si alza la brezza (della speranza?): sono le 20, l’Arena si svuota lentamente. Siamo tutte/i scaldati dal clima di riflessione e incoraggiamento che si è creato fra noi, in fondo non siamo soli. Ci han detto che eravamo almeno 13mila, tutti “cotti” dal sole.
Alla prossima “Arena”. Intanto cominciamo-continuiamo a costruire la pace, piccoli semi clandestini e pubblici.

 

Redazione
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Un commento

  • Potrebbe essere importante questa scesa in campo di Beati i costruttori di pace e dell’arcipelago nonviolento. Bisognerà vedere se queste proposte si tradurranno in un impegno quotidiano.
    Intanto è interessante notare che i due slogan dell’Arena sono esattamente l’opposto delle vergognose dichiarazioni militariste che “re Giorgio” lanciava nella stessa giornata.
    Condivido al riguardo quanto ha scritto Antonia Siani e lo incollo.
    «Due gravissime affermazioni hanno segnato negativamente l’intervento del nostro presidente della Repubblica nella celebrazione presso l’Altare della patria nel 69esimo anniversario della Liberazione.
    La prima riguarda la connotazione di “pulsioni demagogiche” indirizzata a coloro che a suo giudizio denigrano l’importanza delle forze militari, che non devono essere “decurtate in modo sommario”. Il presidente fa di ogni erba un fascio. Un conto è stata l’azione armata nella Resistenza sia dei partigiani che dei militari che si sono battuti per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Nessun democratico la denigra. Ma da allora sono trascorsi 70 anni e un rifiuto della violenza delle armi ha attraversato il nostro pianeta. La grande manifestazione di oggi a Verona ne rappresenta l’attuale approdo. Il decurtamento delle spese militari è una necessità, imposta – prima che dalle ragioni economiche – dalle ragioni ideali che devono presiedere alla formulazione della spending review.
    La seconda affermazione altrettanto grave riguarda i 2 marò. Essi non danno “onore all’Italia”, secondo quanto affermato dal presidente Napolitano. Hanno ucciso, sia pure non volontariamente, due pescatori. Le lentezze delle procedure giudiziarie li penalizzano, come peraltro spesso avviene anche nei meandri della nostra giustizia nazionale, ma non fanno di loro due emblemi dell’onore nazionale».

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